martedì 14 aprile 2009

vittorio melandri: parresia

Parresia

Ovvero quella “libertà di parola” specialissima, che merita la più alta protezione possibile



“Le critiche ad una trasmissione, anche quando ben motivate, non hanno tuttavia nulla a che fare con tentazioni censorie”; così ci rassicura il gentilissimo Paolo Gentiloni, responsabile comunicazione del Pd. Forza sedicente di opposizione.



Non sembra, a legger queste parole, che sia particolarmente in apprensione, questo comunicatore, dinnanzi al fatto che si continua a sparare ad alzo zero sull’ultima puntata della trasmissione di Santoro, Annozero, quella in cui si è osato dire che in terra d’Abruzzo accanto all’abnegazione, al sacrificio e alla commozione, di tanti, hanno camminato ritardi ed errori, e sono pure emerse subito orride responsabilità, che incombono sulla ennesima strage italiana.



Il fatto che dette “critiche” stiano assumendo la forma di un “coro indecente” che accomuna in modo oscenamente trasversale quel “potere” che in democrazia le critiche le deve fronteggiare e non criticare, non sembra turbare questo autorevole esponente di una opposizione sempre più somigliante ad un’ombra.



A me, cittadino che valgo zero, che invece sono sempre più turbato, non dal “Santoro che fa il Santoro”, ma, ben più che da Berlusconi, da i “berluscones che fanno i berluscones” e dai critici come Grasso, fan del GF e del più “pornografico” degli anchorman televisivi …. in margine alla dichiarata “indecenza” dell’ultima puntata di “Annozero”, “indecenza” affermata niente meno che dalla “Terza” carica dello Stato, mi è venuto alla mente il termine “Parresia”.



Termine che non si trova nel vocabolario italiano, perché per quanto non lo sembri, è una parola greca (la cui etimologia U. Galimberti in un articolo del 1996, fa risalire a “pan –tutto- e rhema -ciò che viene detto-) e la cui problematica traduzione rimanda appunto, al “diritto-dovere di dire la verità”.



Galimberti nel 1996 si riferiva al termine “parresia” argomentando della pubblicazione del libro: “Discorso e verità nella Grecia antica” (Donzelli, pagg. 120, lire 25.000), che raccoglieva una serie di conferenze tenute all’Università californiana di Berkeley nel 1983, da Michel Foucault un anno prima di morire.



Lo stesso termine si è incontrato per la notizia di un altro libro, “Le gouvernement de soi et des autres” (Gallimard e Seuil, pagg. 382, euro 27) curato da Frédéric Gros, che raccoglie un altro corso tenuto sempre nello stesso anno da Foucault, questo al Collège de France.



Usando parole di Remo Bodei poste ad introduzione del primo libro citato, sono libri “sulla libertà di parola”.



Libertà specialissima, che non solo merita la più alta protezione possibile, ma che dovrebbe essere anche aiutata a sopravvivere, sovvenzionata in ogni modo, in tempi in cui si va sostenendo ormai ad una voce che, “democrazia è decisione”, e nemmeno più si canta nei sottoscala che, “democrazia è partecipazione”. Salvo ovviamente esibirne impudicamente in ogni dove i suoi modernissimi simulacri.



Fin qui, in poche righe fatte di carattere Times New Roman corpo 11, so bene di aver più volte reiterato il peggior peccato che venga oggi imputato a chi non può esibire i carati di vescovo, o cattedratico, o opinionista del Corriere della Sera: ho speso molte dotte citazioni.



Quindi, una più una meno, con alle spalle una reputazione perduta, concludo ancora con parole di Galimberti che condivido in toto perché nel nostro Paese non abbiamo la minima speranza, quanto a libertà di parola, quanto al dire la verità, almeno a noi stessi:

“da noi ha fatto scuola –Odissea- con il resoconto delle mille astuzie del suo eroe, non -L’apologia di Socrate- con la parresia del suo nobile testimone

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