Fabio Vander, If not socialism what? Saggio sulla scomparsa della sinistra in Italia, Lacaita editore, Manduria-Roma, 2009, pp. 117, euro 8.
Si tratta di un pamphlet di stretta attualità politica, diviso in due parti: la prima è una ricostruzione dei passaggi salienti più recenti che hanno segnato la scomparsa della sinistra italiana, la seconda una riflessione sul socialismo ancora possibile, in serrato confronto con avvenimenti e studi interni e internazionali.
La critica investe soprattutto le responsabilità del gruppo dirigente dei Ds, che ha sciolto l’ultimo grande partito della democrazia italiana post-bellica, per un Partito democratico che assomma tutti i vizi e tutti gli equivoci delle culture politiche prevalenti nella sinistra della “prima Repubblica”. Oltre ad aver determinato la caduta del governo Prodi e la conseguente vittoria di Berlusconi e della destra.
Ma una critica serrata è rivolta anche alla sinistra “radicale”, particolarmente alla Rifondazione di Bertinotti e oggi di Ferrero, senza dimenticare le responsabilità della ex sinistra Ds, troppo a lungo rimasta in un partito morituro, al prezzo di differire l’elaborazione di un nuovo, indispensabile partito della sinistra italiana.
La conclusione è appunto nell’auspicio di un nuovo partito, presentato come “l’organizzazione di quanti: comunisti, socialisti, ambientalisti, femministe, pacifisti credono che un diffuso ma oggi disperso senso comune di sinistra debba riorganizzarsi, per tornare a svolgere una funzione politica di primo piano, nel Paese e nelle istituzioni”.
Quanto alla domanda sulle ragioni del socialismo è risposta con le parole di Gaetano Arfè: “perché voglio vedere ripristinati i valori dell’umanesimo cristiano e liberale, confluiti nel mio socialismo; perché voglio che trionfi la solidarietà tra le persone e tra i popoli; perché voglio città non avvelenate dallo smog e non governate dalla legge della ‘tolleranza zero’”.
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