mercoledì 29 aprile 2009

Aldo Giannuli: un'alleanza coi socialisti l'ultimo atto della RSI

Un’alleanza coi socialisti l’ultimo atto della Repubblica sociale
di Aldo Giannuli - 28/04/2009


Fonte: L'Unità [




Nell’estate 1944, alcuni gerarchi di Salò (il ministro Pisenti, Franco Colombo, capo della «Ettore Muti», il capo della polizia Renzo Montagna, Junio Valerio Borghese ed altri) iniziarono a cercare una via d’uscita con l’«operazione ponte»: spaccare il Comitato di liberazione nazionale, trattare una tregua con socialisti ed azionisti con i quali dare vita ad un governo di «unità nazionale». Più tardi si arrivò ad ipotizzare una nuova Repubblica socialista, neutrale. Questo avrebbe posto gli Alleati di fronte alla scelta di usare le armi contro una repubblica governata da partiti antifascisti o invitare i due governi (repubblica del nord e monarchia del sud) a trovare una mediazione. Ed avrebbe messo il Pci in una situazione assai imbarazzante: appoggiare il governo monarchico contro una repubblica socialista o rischiare di compromettere l’ intesa con gli inglesi. Nella situazione di stallo fra due governi antifascisti, avrebbe avuto qualche possibilità di sopravvivenza anche al progetto del «ridotto alpino» della Valtellina, tanto più che Mussolini si illudeva di giungere ad una pace separata con i sovietici.
In questa ottica, il duce autorizzava la costituzione del Raggruppamento Nazionale Repubblicano Socialista, guidato da Edmondo Cione e da Carlo Silvestri (già spia dell’Ovra).
L’offerta di collaborazione, avanzata dal questore di Milano Bettini e dal generale Nunzio Luna (della Guardia Nazionale Repubblicana) trovò disponibile Corrado Bonfantini, capo delle Brigate Matteotti (Psi) e i suoi vice, l’ex comunista Gabriele Vigorelli e l’anarchico Germinale Concordia. Ma Riccardo Lombardi per il Partito d’Azione e Sandro Pertini e Lelio Basso per il Psi avrebbero respinto l’offerta.
In realtà, Bonfantini ed i suoi non credevano affatto nel progetto, ma cercavano di ricavarne il massimo vantaggio. Infatti, essi chiesero - ed ottennero - la liquidazione della famigerata «banda Koch», con la liberazione di parte dei loro prigionieri. Ed è probabile che si ripromettessero anche di migliorare i propri rapporti di forza rispetto alle altre componenti del Cln. Infatti, grazie a Luna, iniziarono una massiccia infiltrazione nella Gnr e nella X Mas, quel che gli consentirà, negli ultimi giorni, di occupare punti nevralgici come radio Milano. Prudenzialmente, in dicembre Bonfantini dichiarò di ritirarsi dall’operazione, una volta constatato che non se ne poteva ricavare altro.
Gli storici (con l’eccezione di Cesare Bermani) hanno dedicato poco spazio a questo piano, rilevandone il carattere disperato e sottolineando come l’indisponibilità di Pertini e Basso lo avesse fatto fallire sul nascere. Documenti recentemente emersi ci descrivono una vicenda più complessa, che merita una maggiore attenzione, anche se resta fermo che il piano non aveva concrete possibilità di riuscita.
L’8 marzo 1945, la fonte C.O.M.O. riferiva al Servizio di Informazioni Militari del sud che, negli ultimi giorni di febbraio si erano riuniti il capo della Gnr, un rappresentate del Comando regionale dell’Esercito, uno del prefetto ed il capo ufficio stampa della «Muti» Gastone Gorrieri. Dall’incontro era scaturito un piano per il quale, nelle settimane successive, si sarebbe riunita una assemblea di consigli operai che avrebbe proclamato la repubblica socialista. Gran parte delle Forze armate si sarebbe ammutinata, schierandosi con la nuova repubblica, nel cui governo si sperava di attirare socialisti ed azionisti.
Ma complicare le cose era giunto l’arresto di Germinale Concordia, organizzatore della lega dei consigli operai che avrebbe dovuto proclamare la repubblica (nota 4 aprile). Mussolini avrebbe chiesto al generale Wolff la sua liberazione, ma senza successo. Dunque, il tentativo era proseguito ben oltre dicembre, si era ulteriormente evoluto ipotizzando addirittura un governo dei consigli operai e prevedeva l’appoggio di una parte molto consistente delle Forze Armate della Rsi.
Il 7 febbraio 1946, un reparto della polizia ausiliaria (composto da partigiani) traeva in arresto il generale Nunzio Luna che viveva, sotto falsa identità, in una casa di Milano (rapporto del 9 febbraio 1946 del servizio speciale del ministero dell’Interno); nulla di strano se la padrona di casa non fosse stata Carla Voltolina, futura moglie di Sandro Pertini e se lo stesso Luna non avesse dichiarato che Pertini era perfettamente a conoscenza della sua vera identità e che lo aveva nascosto per ringraziarlo dei servigi resi durante la guerra di Liberazione. Nell’abitazione di Luna vennero trovati anche documenti sulla situazione interna al Partito Socialista ed un mazzetto di assegni firmati da Bonfantini. Nonostante il generale fosse sospettato di essere finanziatore dei gruppi fascisti clandestini, l’inchiesta venne rapidamente avocata dal questore, che prendeva provvedimenti contro il tenente della polizia ausiliaria che aveva operato l’arresto. Il nome di Luna non comparirà fra gli imputati al processo contro le Squadre d’Azione Mussolini svoltosi poco dopo a Venezia. Nelle carte del Pci milanese compare un appunto su Bonfantini nel quale si richiama l’affaire Luna, sottolineando come esso «venne passato sott’acqua per non mettere in cattiva luce i socialisti».
Un episodio sin qui sconosciuto: è plausibile che le esigenze della lotta clandestina abbiano imposto molti di questi negoziati sotto banco, anche in nome di ragioni in sé nobili, ma tutto questo diventava difficile da raccontare dopo la Liberazione, quando ognuno di essi sarebbe potuto apparire come un cedimento morale. E, probabilmente, fu questo ad obbligare Pertini - sulla cui dirittura morale e sui cui antifascismo non ci sono dubbi - a quella difficile operazione per salvare l’immagine del partito.
I documenti non ci permettono di far piena luce sulla vicenda e sulle reali motivazioni con cui si mossero i suoi singoli attori, ma sono sufficienti a farci capire che è una pagina di storia ancora da scrivere.


Pertini, Lelio Basso e Lombardi tre padri della democrazia
Sandro Pertini diventerà presidente della Repubblica, Junio Valerio Borghese legherà il suo nome a un tentativo di colpo di Stato. Molti dei protagonisti delle convulse giornate raccontate nell’articolo di Aldo Giannuli lasceranno una traccia importante nella storia della Repubblica. Vediamo in breve i percorsi politici nel dopoguerra.
SANDRO PERTINI (1896-1990). Deputato alla Costituente, quindi senatore nella prima legislatura e deputato in quelle successive, sempre rieletto dal 1953 al 1976. Dopo essere stato eletto per due volte consecutive presidente della Camera, divenne capo dello Stato l’8 luglio del 1978.
RICCARDO LOMBARDI (1901-1984). Deputato alla Costituente e sempre eletto alla Camera, è stato il leader della sinistra socialista. A lui si deve la formula «riforme di struttura» la cui mancata attuazione fu, nell’analisi lombardiana, la ragione del fallimento del primo centrosinistra.
LELIO BASSO (1903-1978). Deputato alla Costituente. Esponente della sinistra socialista, si oppose all primo governo di centro-sinistra e fondò il Psiup. Ma il suo prestigio, in campo internazionale, è legato all’impegno per la difesa dei diritti umani. Fece parte del «Tribunale Russel» e promosse la nascita della «Fondazione Internazionale e la Lega Internazionale per i Diritti e la Liberazione dei Popoli» che oggi prosegue la sua attività con la Fondazione che porta il suo nome.

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