mercoledì 13 aprile 2011

Peppe Giudice: Il recupero del socialismo

Il recupero del socialismo

quale premessa alla decolonizzazione

culturale della sinistra.





Dando una occhiata a quelli che sono stati i programmi televisivi più seguiti e considerati “progressisti” ( Floris e Santoro), negli ultimi due anni, di quante volte si è trattato della gravissima questione sociale che attraversa il paese: sulla condizione operaia, sulla abnorme diffusione del precariato nel settore pubblico e privato, sull’impoverimento di vaste fasce del ceto medio? Credo che, in percentuale, tali trasmissioni non siano più del 10-15%. Eppure è questo il vero tallone di Achille che può inchiodare questo governo.

Chi ha parlato della questione sociale in maniera più estesa è stato Gad Lerner nell’Infedele. Occorre dargli atto. Ma la trasmissione di Lerner ha un taglio talvolta eccessivamente intellettualistico; questo è il suo limite nell’imporsi negli ascolti di massa.

Invece se andiamo a vedere di quante volte si è parlato del caso Ruby, delle puttanelle in carriera alla Minnetti, dell’avvocato Mills, esse occupano la quasi totalità delle suddette trasmissioni televisive nonché degli articoli di Repubblica, L’Unità e della ultima splendida invenzione della ditta Scalfari-Travaglio: il Fatto Quotidiano.

Io considero Berlusconi un uomo senza dignità. E certo in un altro paese si sarebbe già dimesso. In un altro paese, che però a differenza dell’Italia, non fosse stato invaso e condizionato pesantemente da quell’antipolitica che è stata abbondantemente alimentata, ad esempio, da quelli che scrivono sul “Fatto Quotidiano”.

Ed è appunto l’antipolitica che alimenta uno scontro che nulla ha a che vedere con i problemi reali del paese.

Ora, come ho già scritto abbondantemente, l’antipolitica è lo strumento con i quali delle lobby ben definite, Mediaset e De Benedetti-Scalfari , hanno pesantemente condizionato un sistema politico che è stato privato di soggetti politici autentici. Ed è un condizionamento che va tutto a vantaggio di Berlusconi e tutto a svantaggio della sinistra.

I sondaggi parlano chiaro: di fronte ad un calo evidente del PDL, il centrosinistra non incrementa, Cresce l’astensione.

E’ la chiara spia che il centrosinistra attuale non riesce ad intercettare il malessere crescente che si registra nel paese. Ma se del resto il centrosinistra non ha nessun progetto organico alternativo alla destra per affrontare tali temi e si affanna solo per scoprire se Renzi (un essere inutile) sia più telegenico di Bersani?

Ho parlato di colonizzazione della sinistra di culture e comportamenti estranei alla sua identità ed alla sua funzione. Credo che lo stato attuale del centrosinistra fotografi bene tale condizione.

Fatto è che al popolo interessa poco delle depravazioni di Berlusconi, o del’avvocato Mills. Non perché il popolo sia in maggioranza immorale o abbia una infatuazione per imbroglioni come Mills. E’ che purtroppo quando in troppe famiglie non si riesce a mettere insieme il pranzo con la cena sono ben altre le preoccupazioni. Ed anche perché poi subentra un sentimento di assuefazione per cui certe campagne sono sentite solo come espedienti propagandistici. Anche perché il centrosnistra in materia di questione morale non ha poi dato delle prove eccellenti. Se il governo Berlusconi viene salvato in parlamento da due deputati di Di Pietro (che vive sull’antiberlusconismo) dietro probabili lauti compensi…

Ecco perché oggi la sinistra ha bisogno di recuperare il socialismo quale centro gravitazionale della propria identità e funzione e liberarsi dalla colonizzazione delle lobby …da quella di Scalfari a quella di Prodi.

E’ su un progetto di socialismo del III millennio che sarà posibbile fornire risposte organiche a problemi che non sono isolati fra frutto di interdipendenze sistemiche.

La crisi odierna è crisi derivante dalla grave sperequazione del reddito che il modello economico e sociale neoliberale ha determinato. In Italia particolarmente, ma in tutta Europa. Se in Italia il 10% della popolazione possiede il 45% della ricchezza, questo non può essere imputato alle sole politiche della destra. C’è un intreccio sistemico nella subalternità al pensiero unico da parte di centrodestra e centrosinistra (Prodi e Tremonti sono entrambi uomini del capitalismo globalizzato).

Io non ho mai creduto che l’alternativa potesse risiedere nella sinistra neo-comunista, inutilmente movimentista e mezza fricchettona. Sono posizioni politicamente inoffensive e che anzi esaltano la crisi della sinistra.

E’ solo in un processo di rifondazione di un socialismo democratico che recuperi i suoi valori di fondo quale alternativa democratica al capitalismo che è possibile immaginare una sinistra che progetti una nuova società. Non è nell’ecologismo post-ideologico da società liquida. Non è un caso che i verdi in Germania siano più a destra dei socialisti (e che talvolta indugino in politiche liberiste).

Occorre, al contrario, un socialismo che si definisca come modello di produrre e consumare alternativo (come lo immaginava Lombardi) e che integri in se le istanze di giustizia sociale ed equilibrio ambientale.

Ma torniamo al caso specifico nazionale.

Il processo di deindustrializzazione del paese, favorito dalle sciagurate privatizzazioni, ha determinato una notevole frantumazione del tessuto imprenditoriale che ha ridotto la capacità competitiva nei punti alti, ed ha favorito la crescita del blocco sociale leghista al nord. La sciagurata ideologia del “piccolo è bello” cavalcata da settori del mondo cattolico ma anche da qualche imbecille del PSI e del PDS, ha impedito la crescita e la messa a sistema delle piccole imprese. Il progetto socialista del 1978 (altra cosa rispetto a Francesco Forte e De Michelis) metteva in evidenza il profondo iato che c’era in Italia tra la grande impresa pubblica e privata e la piccolissima impresa. Insomma mancava un tessuto di imprese di media dimensione (come in Francia ed in Germania) quale collante del sistema. Per cui il “progetto” auspicava la crescita verso la media dimensione di una parte delle piccole imprese.

Negli anni 90 invece cosa abbiamo avuto? Lo smantellamento della grande industria tramite la liquidazione delle partecipazioni statali e la finanziarizzazione della grande impresa privata (Fiat, Olivetti) ed una ulteriore frantumazione del tessuto imprenditoriale. Sulla base di due ide geniali: che la grande industria fosse al tramonto (oggi la Germania è all’avanguardia perché non ha mai pensato a tale coglioneria) e che l’Italia doveva puntare sui servizi finanziari come l’Inghilterra (ma senza il mercato finanziario inglese) e sulla piccola impresa quale sostitutiva e non integrativa della grande! E la cosa grave è che soprattutto nel centrosinistra “veltroniano” che si sono pensate certe cose.

Se l’Italia è cresciuta meno degli altri per questi ultimi 16 anni è conseguenza di tali aberrazioni.

Certo il fatto che le famiglie si sono indebitate molto meno rispetto alla Spagna, all’Irlanda o alla Gran Bretagna, ha limitato gli effetti devastanti della crisi.

Ma il fatto è che l’Italia si trovava con grandi diseguaglianze, con bassi salari e con una industria “fai da te” già prima della crisi! Le prospettive sono inquietanti.

Ecco perché la sinistra potrà svolgere un ruolo forte in grado di imporre alla intera coalizione una idea diversa di sviluppo (anche rispetto a quella dell’Ulivo) se saprà riappropriarsi del socialismo.

Non è un compito facile. La pressione di certe lobby sul centrosinistra sono e resteranno forti (hanno i media). Tra la la gente che si è arricchita molto (alle spalle dell’impoverimento generale) vi sono anche elettori di centro-sinistra; mentre molto elettorato popolare vota a destra. Occorre una scomposizione e ricomposizione anche nei blocchi sociali. E non è cosa istantanea.

Intanto quella sinistra che vuole ricostruirsi può iniziare a costruire una sua agenda e cercare di far parlare il centrosinistra più della redistribuzione della ricchezza sociale che di Ruby e Mills.

SeL dopo le elezioni amministrative dovrebbe sciogliere i nodi identitari: sarà più facile in tal modo accrescere le contraddizioni del PD. L’adesione piena al socialismo è un di questi nodi. Non credo invece che possa venire qualche contributo in positivo al socialismo dal partito di Nencini (tranne naturalmente le minoranze dissidenti che comunque stanno intensificando gli sforzi) in quanto si muove maggioritariamente in una collocazione a destra del PD.

Come socialisti di sinistra (Network ed associazioni) abbiamo un grande campo da arare; forse troppo grande per le nostre forze. Ma se diamo l’esempio altri verranno ad ararlo con noi. Il campo è la battaglia culturale e politica per decolonizzare la sinistra.



PEPPE GIUDICE

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