giovedì 28 aprile 2011

Peppe Giudice: Quel brutto pregiudizio verso il socialismo europeo

.pubblicata da Giuseppe Giudice il giorno giovedì 28 aprile 2011 alle ore 0.12.…quel brutto pregiudizio verso il socialismo europeo







Massimo Salvadori nel suo libro “Introduzione al 900” contesta la definizione del secolo scorso data da Hobsbown quale “secolo breve”. Salvadori dice che Hobsobown (intellettuale comunista inglese) riduce il 900 allo scontro tra capitalismo e comunismo quale elemento condizionante della sua storia.

In realtà, secondo Salvadori, il 900 non è affatto definibile come secolo breve ma piuttosto come “secolo lungo” non solo perché tutta la sua storia non è riducibile al conflitto prima citato, ma anche perché il 900 è segnato al suo interno da grosse linee di frattura (la più evidente ma non certo l’unica è la II Guerra Mondiale).

In secondo luogo, come sostiene uno storico americano eterodosso, Wallerstein, lo scontro capitalismo-comunismo, successivo alla II Guerra Mondiale, è stato un mascheramento ideologico della ripartizione del mondo in aree di influenza tra potenze imperiali. E che ha garantito agli Stati Uniti la egemonia sui 2/3 del pianeta. L’Unione Sovietica, in tale quadro, è quella che ha garantito la forza dell’egemonia americana. Entrambe le super-potenze hanno utilizzato l’ideologia (nel senso marxiano, come falsa coscienza) per giustificare la propria egemonia imperiale. Gli Stati Uniti come difensori del “mondo libero” (che non gli ha impedito di sostenere le peggiori dittature in diverse parti del mondo) e l’URSS come difensore del proletariato e del socialismo (i carri armati sovietici hanno represso nel sangue le principali rivolte operaie della II metà del 900).

In realtà la rivoluzione comunista era già fallita nel 1921 (e Lenin se ne era reso conto) – con Kronstad, sia per la immaturità delle condizioni oggettive e soggettive (in senso marxiano) sia perché era impossibile esportare il modello sovietico nelle realtà dell’Europa Occidentale caratterizzate da società ben più articolate, complesse ed evolute di quella russa.

Gran parte dei socialisti occidentali si rese conto di ciò. E pur non condannando in se la rivoluzione bolscevica riteneva assurdo il tentativo di esportare un modello frutto di circostanze non riproducibili.

Turati, profeticamente, disse che il bolscevismo sarebbe diventato uno strumento del vecchio nazionalismo russo. Stalin così lo fece diventare. Il comunismo nei fatti diventa lo strumento di qualcosa che nulla ha a che vedere con i suoi principi. Una ideologia che affidando una missione “civilizzatrice” (di nuova civiltà) alla Russia occultava in realtà nazionalismo e militarismo. Del resto l’ideologia della civilizzazione è sempre stato un pretesto (in molte fasi storiche) di tutti gli imperi. Giorgio Ruffolo ribadisce: non solo l’URSS ma tutte le rivoluzioni comuniste sono di fatto strumentalizzate dai nazionalismi dei grandi paesi emergenti (la Cina ad esempio). Ruffolo conclude affermando che il comunismo del 900 è in tutto e per tutto una rivoluzione abortita.

Questo quadro storico serve per meglio inquadrare il ruolo che il socialismo democratico ha svolto in Europa dagli anni 20 in poi ed esaminarlo libero da pregiudizi ideologici.

Intanto già dopo la ricostruzione della Internazionale Operaia e Socialista nel 1924 i partiti socialisti e socialdemocratici in Europa costituiscono la grande maggioranza della sinistra. Solo in Francia il PC ha una consistenza pari a quella dei socialisti. In Germania i socialdemocratici (durante la Repubblica di Weimar) erano quasi il triplo dei comunisti. In Inghilterra ed in Austria i comunisti non esistono. Belgio, Olanda, paesi scandinavi hanno i socialisti largamente maggioritari. Lo stesso in Spagna. In realtà la “spinta propulsiva della rivoluzione bolscevica” si arresta ben presto. Anche perché nei partiti comunisti si instaura un regime che elimina ogni minima sospetta dissidenza.

Molti comunisti rientrano nei partiti socialisti di provenienza. Un caso significativo è quello di Paul Levi primo segretario del KPD in Germania il quale dopo essere stato espulso perché luxemburghiano rientra nel 1924 (dopo che la socialdemocrazia si era riunificata dalla scissione del 1916) nella SPD e va a fare il leader della sinistra interna. Negli anni 30 vi saranno molti trotzkisti che entreranno nei partiti socialisti. Quindi già alla vigilia della II Guerra Mondiale i partiti socialisti europei sono quelli che rappresentano la grande maggioranza dei lavoratori.

Nel dopoguerra, in Europa, in Italia (dove diventano il primo partito della sinistra) ed in Francia ( su un piano di parità con i socialisti) vi sono grossi partiti comunisti. Negli altri paesi il comunismo è una realtà politica trascurabile. Ma anche in Francia ed Italia gli stessi comunisti progressivamente adottano una prassi di fatto non distinguibile da quella socialdemocratica. Dalla seconda metà degli anni 70 il PCF in Francia progressivamente si indebolisce a vantaggio dei socialisti fino a scendere al 10% (e poi anche meno).

Quindi in Europa, il socialismo democratico resta di gran lunga, per tutto il dopoguerra il principale rappresentante degli interessi del mondo del lavoro e di ampie masse popolari. Ed è anche il costruttore di un modello sociale che si afferma come il più avanzato (soprattutto nei paesi dove il peso elettorale socialista è più alto) ed impone al capitalismo un compromesso sociale di alto profilo.

Massimo Salvadori mette in rilevo come il socialismo in Europa abbia attuato una rivoluzione copernicana nel concepire i diritti di cittadinanza che si estendono dal piano puramente politico a quello sociale ed economico. Il welfare universalistico, una nuova legislazione del lavoro, l’economia mista, lo sviluppo del cooperativismo e della democrazia economica, la programmazione economica sono tutte conquiste dovute in larga parte all’azione socialista. E conquiste che caratterizzano l’Europa rispetto a tutto il mondo occidentale.

Non a caso qualcuno (esagerando) ha parlato di “secolo socialdemocratico”.

Quindi se noi sgomberiamo il campo del giudizio politico da tutto ciò che è stato influenzato dai “paradigmi della guerra fredda” non potremo che fare passi avanti. Perché in Italia il giudizio negativo sulle socialdemocrazie è oggettivamente stato influenzato dall’ideologia sovietica del “campo socialista”. Abbiamo già visto che quello dei “campi contrapposti” è la ideologia su cui si basava la spartizione del mondo tra le superpotenze.

Ora poiché la socialdemocrazia ed i socialisti europei erano collocati nell’occidente con quel metro di giudizio assurdamente schematico facevano parte del “campo capitalista”.

In realtà i partiti socialdemocratici avevano una ispirazione di fondo neutralista. Nello stesso programma di Bad Godesberg della SPD si parla di una Germania unificata in una area europea neutrale. Accettarono la Nato non per ideologia ma come stato di necessità imposto dalle circostanze.

Lo dimostra il fatto che Brandt seguì una politica estera di autonomia rispetto agli USA. Come fecero Palme in Svezia e Kreysky in Austria (ma loro non erano nella Nato). Come fecero Mitterrand e lo stesso Craxi.

Quindi il 900 non è il secolo della contrapposizione capitalismo-comunismo; il 900 è il secolo in cui le masse fanno irruzione nella politica. Il grande merito delle socialdemocrazie è di aver favorito l’integrazione di queste masse nella evoluzione democratica e di aver fatto evolvere la democrazia verso la “democrazia sociale”.

Ovviamente la storia del socialismo europeo è costellata di errori, di contraddizioni, di tradimenti se vogliamo (ci sono stati anche quelli). La socialdemocrazia spesso ha realizzato solo parzialmente i suoi programmi. Vi erano limiti imposti talvolta dai rapporti di forza e talvolta dalla viltà delle classi dirigenti. Si dice che la socialdemocrazia ha realizzato un compromesso con il capitalismo, ma non ha trasceso l’ordine capitalistico stesso. E’ vero. Ma neanche il comunismo l’ha fatto. Ha creato un capitalismo di stato totalitario al servizio di potenze imperiali.

Del resto l’esperienza storica ci dice che il passaggio dal capitalismo al socialismo è qualcosa di molto più complesso dello schematismo teorico marxista-leninista.

Io credo che il socialismo del XXI secolo dovrà porsi il tema di trascendere il capitalismo quale orizzonte del proprio agire, sapendo che è un processo lungo ed a tappe con le necessarie mediazioni. Ma la critica al capitalismo è l’essenza del socialismo. Non possiamo concepire il capitalismo come fine della storia.

Liberata la storia del 900 dal vincolo unico della Guerra Fredda, non è possibile affermare come fanno alcuni neo-comunisti che il crollo del Muro di Berlino (e quindi, nell’immaginario, del comunismo) rappresenta la sconfitta storica del movimento operaio: questa è proprio una cazzata.

A parte il fatto che non si può concepire la lotta politica e la lotta di classe come scontro militare (questo è leninismo primitivo), se si afferma che il 900 si chiude con la sconfitta totale della sinistra, si dimostra da un lato di essere succubi dei paradigmi della guerra fredda, e dall’altro lato di essere masochisti perché se fosse vero che insieme al comunismo è stato sconfitto pure il socialismo democratico, vuol dire che ha avuto ragione la destra e che la sinistra non ha futuro. Infatti è molto difficile poter costruire un futuro se tutta l’esperienza del 900 è da buttare a mare.

Se liberiamo la storia dalle deformazioni mitologiche forse ne usciamo fuori. Una nuova sinistra non si reinventa da zero. Nella storia non si sono voli pindarici. L’esperienza positiva e le conquiste del socialismo del 900 (che hanno coinvolto anche i partiti comunisti che si sono gradualmente social democratizzati come il PCI) sono una necessaria base di partenza per rilanciare sinistra e socialismo nella costruzione di una alternativa al neoliberismo, il quale ha certo messo in discussione conquiste e prodotto gravissime diseguaglianze, ma ad un prezzo altissimo per il capitalismo stesso: dell’aver innescato la più grave crisi economica dal 1929. Che dimostra quello che dicono Ruffolo e Gallino: il capitalismo senza antagonismi sviluppa forze autodistruttive.

Non si potrà uscire in modo durevole dalla crisi senza una forte redistribuzione della ricchezza ed una regolazione sociale ed ecologica del mercato . Forse anche qualche “moderato” lo sta capendo.

Oggi il socialismo europeo resta l’unico campo dove si può ricostruire questa sinistra. Se vogliamo una sinistra popolare, di governo e socialista.

SeL non è la forma definitiva che avrà la sinistra nuova ma ne è una delle premesse per costruire qualcosa che coinvolga (diciamolo con chiarezza) il grosso di un PD liberato dal moderatismo e dal nuovismo. Il PSE ne è l’indispensabile orizzonte strategico.



PEPPE GIUDICE

Nessun commento: