martedì 26 aprile 2011

peppe giudice: la strumentalizzazione di craxi

La strumentalizzazione di Craxi
.pubblicata da Giuseppe Giudice il giorno lunedì 25 aprile 2011 alle ore 23.58.Piero Sansonetti è forse l’esponente comunista che ha maggiormente contribuito a liberare il giudizio su Craxi dalla pura e semplice demonizzazione.

L’altro giorno ha scritto un interessante articolo in cui ha ripetuto molto sinteticamente il suo giudizio.

Ora una riflessione su Craxi (specie dopo quello che affermò con lucidità il presidente Napolitano due anni fa) va rifatta, proprio nel momento in cui la destra berlusconiana sembra vivere sul serio la crisi più profonda (non c’è solo Fini, ma uno scontro ormai aperto e totale dentro il PDL).

Perché Craxi? Perché sia Berlusconi che Di Pietro utilizzano strumentalmente Craxi a sostegno delle proprie ragioni. Berlusconi per presentarsi come l’erede di Craxi nella presunta persecuzione giudiziaria che afferma di subire, i professionisti dell’antiberlusconismo per evidenziare Craxi quale simbolo del malaffare ed il “latitante” che sfugge alla giustizia quale prefigurazione di Berlusconi stesso. Insomma c’è da entrambe le parti un uso ideologico della figura dell’ex segretario del PSI che in realtà poco ha a che vedere con il Craxi storico. Debbo aggiungere che tutti i figuri ex craxiani oggi berlusconiani (Cicchitto, Boniver, Brunetta) accreditano con forza l’idea di un Berlusconi erede di Craxi. Così come i professionisti del giustizialismo orchestrati da Scalfari (lì c’è la radice dell’antisocialismo pseudo-progressista) hanno bisogno di mantenere in piedi la “leyenda negra” antisocialista. Infatti nel quadro dello scontro mediatico e della estrema banalizzazione e semplificazione delle ragioni del contendere che esso provoca, risulta estremamente difficile separare Craxi dal socialismo, cosa che in un articolato ragionamento storico-politico è perfettamente possibile. Per cui la “leyenda negra” inevitabilmente ricade anche sui socialisti non-craxiani o anti-craxiani. In più il perpetuarsi della “leyenda negra” rende difficile la piena riappropriazione della tradizione socialista da parte della sinistra. Anzi la liberazione della “leyenda negra” è un problema di cui tutta la sinistra seria deve farsi carico.

Vedete, io credo ad una sinistra di ispirazione socialista ma plurale nelle provenienze. Lungi da me qualsiasi forma di integralismo identitario. Ma al tempo stesso è molto difficile se non impossibile costruire questa sinistra senza che la migliore tradizione socialista costituisca una delle architravi su cui essa dovrà poggiare.

Lo ripeto. La sinistra italiana deve separare nettamente i suoi destini da quelli del giustizialismo antipolitico. E’ un qualcosa che va oltre i passaggi elettorali (in cui sei costretto a tenere l’IDV nel centrosinistra) . E’ un problema culturale non di tattica politica.

In effetti cosa ha portato un pezzo di sinistra di matrice comunista a simpatizzare per quello che sbrigativamente definiamo dipietrismo? Indubbiamente la radice di tale scelta sta nella rivendicazione di una superiorità morale ed antropologica comunista che Berlinguer sintetizzò nella famosa idea della “diversità” che si spostava dal terreno ideologico (nel 1981 le differenze ideologiche tra comunisti e socialisti si erano notevolmente assottigliate) a quello etico-antropologico.

Leggendo la autobiografia politica del presidente Napolitano, ci si rende conto del forte scontro che ci fu nel PCI, proprio sul tema della “diversità”. I cosiddetti miglioristi ribatterono a Berlinguer che lanciare l’idea della diversità in funzione anti-PSI soprattutto (il PSI dell’81 non aveva ancora sviluppato le degenerazioni di quello di fine anni 80) di fatto precludeva lo sviluppo positivo di rapporti a sinistra e quindi la costruzione di una alternativa alla DC.

C’è da dire che alla scelta sciagurata di Berlinguer, Craxi contrappose una altra scelta sciagurata: quella di rinchiudere il PSI nel pentapartito (che poi si rivelò la tomba della politica socialista). Anche se negli anni successivi vi furono diversi tentativi per ricostruire un rapporto positivo tra i due partiti (nel 1983 soprattutto), è indubbio che, a partire dal 1981 i rapporti a sinistra subirono un progressivo e continuo deterioramento con grave danno per tutta la politica italiana.

Nel 1993 in conseguenza della scelta di Occhetto di cavalcare l’ondata giustizialista (anche per sottrarre il PDS al processo dissolutorio che coinvolgeva gli altri partiti) riemerge la sindrome della diversità. Il PCI era coinvolto come gli altri nel finanziamento illegale ai partiti e quindi al sistema di tangentopoli (dal 1974 al 1992 abbiamo avuto un modello di democrazia consociativa). Ma poiché il PCI aveva un sistema di amministrazione centralizzata delle risorse, in quel partito non vi furono casi di arricchimento individuale (se non estremamente sporadici). Nel PSI il sistema correntizio, che negli anni 80, sotto il bonapartismo craxiano, si trasforma in scontro tra cordate elettorali regionali sviluppa forme “autonome” di finanziamento illegale che il partito non riesce più a controllare. Di qui i casi di arricchimenti individuali. Ma naturalmente questo non faceva del PSI un partito di criminali o di gente geneticamente predisposta alla delinquenza come in alcune semplificazioni arbitrarie e sciagurate dell’ipocrisia qualunquista italica veniva fuori (e talvolta queste semplificazioni venivano fatte proprie dai militanti più imbecilli del PDS).

Nel PSI c’era una grande quantità di militanti, amministratori e dirigenti seri, rigorosi ed onesti che hanno lavorato disinteressatamente per il partito (come il sottoscritto e tanti altri). Naturalmente poi c’erano i faccendieri, i “corridoisti” (come li chiama Vincenzo Lorè), i portaborse ed i segretari particolari (i peggiori). Quanti bravi compagni sono stati insultati ingiustamente, quanti sono stati indagati, arrestati e poi prosciolti da una magistratura degna di Torqumnada? Fu tuttavia la politica di pentapartito a provocare i fenomeni degenerativi morali e quelli degenerativi ideologici (il postcraxismo neoliberaloide di Martelli). Non basta avere una grande tradizione alle spalle per garantire la moralità dei comportamenti. La politica come esercizio del potere provoca fortissime tentazioni. Nessuno ne è potenzialmente immune e non esiste diversità al riguardo. Lo si è visto poi (dagli anni 90 fino ad oggi) quando, in tutti gli schieramenti politici, a destra prevalentemente, ma con evidenza anche nel centrosinistra, l’amoralità politica ha raggiunto livelli che hanno fatto impallidire gli anni 80. Quanti ex dirigenti del PCI nel sud Italia hanno assunto gli stessi atteggiamenti degli odiati craxiani?

Del resto la gestione di alcune regioni come la Campania o la Calabria da parte del centrosinistra è nota a tutti. La diversità è una chimera. Il guaio è che quando illudi la gente sul tema della diversità, la disillusione è poi terribile e provoca o astensionismo o rende molto spuntata la critica alla destra basata sulla questione morale. Alla fine poi prevale l’assuefazione e la rassegnazione al degrado. Ma, fratelli cari, se Berlusconi viene salvato da una sfiducia l’avrebbe probabilmente fatto uscire di scena, da due deputati del partito che si proclama antiberlusconiano per antonomasia, quello del “trebbiatore di Montenero”?

In più il concentrarsi su una visione puramente moralistica della alternativa alla destra, ha fatto completamente smarrire alla sinistra la centralità della questione sociale.

Una ricostruzione della sinistra che recuperi il socialismo come asse portante, dovrà delineare un progetto politico forte che faccia perno su due temi centrali: la giustizia sociale (redistribuzione della ricchezza e rivalorizzazione del lavoro) e la ricostruzione della democrazia dalle macerie della II Repubblica. La questione morale va affrontata laicamente, senza rivendicazioni di superiorità etno-antropologica , inquadrandola nel tema della riforma della politica. In tale direzione l’impegno primario va verso la soppressione della vergognosa legge elettorale esistente e la sua sostituzione con una che permetta la costruzione di soggetti politici coerenti con l’Europa.





PEPPE GIUDICE

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