Socialismo
Ieri 2 aprile 2009, 16.10.03
Una socialdemocrazia globale
Ieri 2 aprile 2009, 11.14.36
Nei periodi di crisi economica, puntualmente, all’interno della sinistra, si ripropone l’interrogativo se la crisi sia una delle crisi cicliche del capitalismo, oppure se essa sia di gravità tale da giustificare una diagnosi di totale collasso del capitalismo e, quindi, la ricerca di una fuoruscita dal capitalismo verso un sistema economico diverso; talora si è esplicitamente parlato di transizione al socialismo.
Negli anni ’70 - dopo lo choc petrolifero seguito alla guerra del Kippur e nel pieno dell’inflazione a due cifre - questo dilemma fu apparentemente sciolto dal PSI. Apparentemente, perché quella prospettiva fu accettata come una lontana ipotesi, non praticabile nell’immediato, da un personale politico che, per la maggior parte coinvolto nella gestione del potere centrale e nell’amministrazione dei poteri locali, ormai non sapeva più ragionare in termini di lotta e di opposizione. Infatti, il congresso di Roma del marzo 1976 proclamò la linea dell’alternativa di sinistra come fase di transizione al socialismo autogestionario, imperniata su profonde riforme di struttura della società italiana, ma la batosta elettorale del successivo 20 giugno fece svanire le suggestioni mitterrandiane e ci fece ripiombare rovinosamente nella dura realtà politica italiana, da cui il movimento socialista rischiava, già allora, di scomparire.
Oggi come allora il pericolo è quello di scambiare un desiderio, un sogno, una speranza soggettivi, anche se diffusi, con una situazione oggettiva. In questo atteggiamento mentale c’è anche un residuo delle concezioni di quei pensatori (come Hegel, Comte, Marx) che consideravano la storia un susseguirsi di fasi con caratteri ben definiti, quasi degli organismi sociali animati da una vita propria. Invece, secondo la concezioni storiografiche più recenti, come quella di Fernand Braudel, i cambiamenti storici seguono ritmi diversi: accanto alla “storia evenemenziale”, quella delle battaglie e delle personalità, c’è la “storia di lunga durata”, quella dei mutamenti nell’economia e nella vita materiale, caratterizzata dalla lentezza delle trasformazioni. In questa visuale, il termine “capitalismo” perde le connotazioni di condanna moralistica di cui si è caricato per effetto della polemica politica; e viene a designare una forma di organizzazione economica che si è sviluppata ed evoluta da almeno quattro secoli e che ancora oggi, usando un’espressione di Giorgio Ruffolo, “ha i secoli contati”, nel senso che dovremo convivere a lungo con questo meccanismo di produzione della ricchezza.
Il capitalismo ha enormi doti di elasticità e di adattabilità alle situazioni più diverse, grazie alle quali è sempre riuscito, in un modo o nell’altro, ad uscire dalle proprie crisi. E dopo Keynes le tecniche di contrasto delle crisi economiche, elaborate dagli economisti, si sono affinate. Perciò questa crisi non è la crisi definitiva del sistema, ma si presenta con un’estensione più ampia e con più forza rispetto a quelle che l’hanno preceduta perché ormai il capitalismo abbraccia tutto il mondo e lo sviluppo delle tecnologie della comunicazione accelera la velocità di propagazione dei fenomeni economici sul pianeta.
Una forza socialista deve preoccuparsi dei costi sociali che la crisi fa ricadere sui lavoratori e le loro famiglie in termini di perdita dei posti di lavoro e di impoverimento generale. Essa deve agire, pertanto, come un elemento di stabilizzazione promuovendo l’intervento diretto del potere pubblico nel sistema economico.
Le concezioni liberiste si sono rivelate, una volta di più, fallaci. Non esiste una mano invisibile che regola i mercati e li riporta automaticamente all’equilibrio. In questa crisi è stato subito evidente che era necessario un intervento del potere politico, espressione dell’interesse generale, per fissare regole e stanziamenti di capitali pubblici a correzione delle distorsioni create dalle manovre spericolate di molti operatori finanziari. Su questi principi generali c’è accordo per quanto riguarda la dimensione dello Stato-nazione, anche se continuano a sussistere divergenze sugli strumenti da utilizzare e sulle quantità di denaro pubblico da immettere nell’economia.
Ma la dimensione planetaria dell’economia capitalistica richiede ormai la costruzione di un sistema di “governance” dell’economia mondiale che riproduca, su scala sovra-nazionale, il compromesso socialdemocratico tra potere pubblico e “animal spirits” del capitalismo. Come dice uno slogan del think-tank laburista “Policy Network”, vicino al ministro Peter Mandelson (di cui il compagno Gatti ha analizzato le posizioni nel precedente post n. 117), è necessaria una socialdemocrazia globale (“a global social-democracy”). Un potere pubblico internazionale, basato su di un’architettura istituzionale tutta da inventare, con una distribuzione di poteri tra governi, espressione diretta della volontà popolare dei singoli Stati, ed organizzazioni internazionali (FMI, Banca Nondiale, ecc) sull’esempio delle relazioni tra i singoli organi che l’Unione Europea ha formalizzato in base alla sua pluridecennale esperienza.
In questo quadro, l’Internazionale Socialista è chiamata ad un salto di qualità della propria azione; non dovrà più essere soltanto un organismo di collegamento tra partiti fratelli, ma dovrà agire come soggetto politico globale che affronta problemi globali, perché intrecciate alle questioni economiche portate alla ribalta dalla crisi esistono drammatiche condizioni di sfruttamento del lavoro e dei minori e di disprezzo dei più elementari diritti dell’uomo.
Nicolino Corrado
Direttivo della Federazione PS di Imperia
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