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Perchè voto Sinistra e Libertà
di Giuseppe Genna
Sab, 06/06/2009 - 08:45
C’è stato un tempo – novecentesco – che non vorrei riproponesse più certe sue istanze, e in particolare una, che mi riguarda: l’idea che esistano masse su cui gli intellettuali si illudono di esercitare un’illuminata influenza. Io sono un intellettuale (ma anche un lavoratore salariato) ed è senza alcuna arroganza che esprimo una speranza e un’azione concreta di ordine politico. La speranza è che il movimento Sinistra e Libertà cresca, si trasformi e trasformi la società in cui vivo. L’azione concreta è il voto che io darò a Sinistra e Libertà in queste elezioni.
Posso mettere discretamente a disposizione di chiunque gli strumenti di analisi di cui dispongo, perché la storia e l’esperienza di una persona si misurano a mio parere con atti di abbraccio collettivo. Da un lato, non si tratta di fare marketing arrogante per un voto elettorale. D’altro canto, la mia intenzione di voto intende esprimere desideri e sogni abnormi – una pratica che sembra al momento essersi perduta nell’angosciante pragmatismo che trionfa in questi giorni popolati dallo spettro dell’Uomo Qualunque. Che però non è lo spettro che si aggira per l’Europa. O, almeno, non è l’unico. Per il continente si aggirano infatti anche altri spettri. Per esempio il fantasma di un fascismo radicale e tecnocratico, tutto dedito a trasformare in pratiche reali le strategie malcerte e disumane del liberismo più selvaggio che la storia umana abbia mai vissuto. Io spero vivamente che ci si accorga presto che un altro genere di spettro non ha mai smesso di aggirarsi per l’Europa – ed è lo spettro del comunismo e più ancora del socialismo.
Credo che in questi anni sia in gioco alla massima intensità il valore basale della politica, sul quale è stato effettuato un tentativo di rimozione: intendo l’umano, il fenomeno umano. Ci sono attualmente due politiche che si scontrano, ovunque. Una di queste politiche è disumana e propone in qualità di valori degli oggetti e delle configurazioni dei rapporti (economici, collettivi, individuali), finendo con l’abolire la dignità e la pietà e il desiderio. L’altra politica è a favore dell’umano, tenta di tutelarne non solo la sopravvivenza (che il capitalismo avanzato, ma gretto come l’arretrato, mette concretamente a rischio) bensì anche la vita, che è altra cosa dalla mera sopravvivenza.
Io mi schiero per questa politica umanista, che a mio avviso non può fare a meno di porre in circolo le esperienze comunista, socialista, ecologista, aprendosi l’orizzonte di una sperimentazione sociale vasta, costituita da un sogno che è un’avventura: il soddisfacimento totale non solo dei bisogni, ma anche dei desideri degli uomini.
E’ dunque soltanto con un composito laboratorio di idee, visioni, prospettive e vite che si può tentare un’esperienza comunitaria all’altezza delle sfide che abbiamo deciso di affrontare. Sfida tecnologica, economica, per l’allargamento dei diritti. E il laboratorio in cui misuro il massimo fervore, la curiosità più acuta e coraggiosa, la condivisione di diritti fondamentali, la memoria e l’apertura al futuro più penetrante è in Italia per me Sinistra e Libertà. Per questi motivi voto Sinistra e Libertà, consegnando la delega preziosa a rappresentarmi a persone come Nichi Vendola e Claudio Fava, che si prendono la responsabilità della mia responsabilità verso gli altri con cui vivo e vorrei vivere. Compiono questo gesto in un Paese sdrucito dal materialismo più grezzo, dalla dimenticanza dell’empatia su cui si fonda una società di giusti, dalla visione della complessità in cui ci siamo immersi, dal tentativo di colonizzare con superstizioni medievali la laicità, che è uno dei valori portanti del luogo in cui sono cresciuto.
“Quale antenato parla in me? Io non riesco a essere una sola persona. Sono capace di sentirmi un’infinità di cose contemporaneamente. Il male del nostro tempo è che non ci sono più grandi maestri. La strada del nostro cuore è coperta d’ombra. Bisogna ascoltare le voci che sembrano inutili. Bisogna riempire gli occhi e le orecchie di cose che siano all’inizio di un grande sogno. Qualcuno deve gridare che costruiremo le Piramidi, non importa se poi non le costruiremo. Bisogna alimentare il desiderio. Dobbiamo tirare l’anima da tutte le parti come se fosse un lenzuolo dilatabile all’infinito”. Queste parole di Tonino Guerra, scritte per Nostalghia di Andreij Tarkovskij, danno forma alla grande idea che ha fatto, fa e continuerà a fare da motore al comunismo, al socialismo, al movimento ecologista. Non è con le piccole pratiche di assicurazione che giungeremo non a salvare, ma a fare fiorire il pianeta, e cioè anche l’uomo. E’ su queste ambizioni sconsiderate, enormi che misuro la possibilità e il cuore della politica oggi.
Scelgo Sinistra e Libertà per rappresentarmi proprio nella speranza che si crei un simile movimento, innovativo nelle modalità di aggregazione, ma erede del sogno di abbattere lo stato presente di cose. Per quanto mi sarà consentito, a questo movimento darò assenso, energia e lavoro personali.
Si dirà che poi c’è comunque il principio di realtà, la politica di tutti i giorni. Questa trappola indegna, con cui sono state alimentate le peggiori fantasie delle classi più disagiate, è l’autentico carcere della politica e il principio genetico dell’alienazione. Però provo a stare su questo piano e traggo qualche ulteriore considerazione personale.
La situazione politica in Italia ha radici storiche troppo complesse perché qui si possa anche soltanto compiere il tentativo di un accenno. Limitandosi alla contingenza, ciò che ne deriva mi lascia attonito: il più antico partito italiano, quello socialista, non è rappresentato in Parlamento; la sinistra in genere non è rappresentata in Parlamento; il Paese esprime la propria sintomatologia, che è un sistema antiumano di disvalori, il peggio del più greve tra i materialismi, intriso di razzismo becero, particolarismo, assenza di pietà e compartecipazione, trionfante di nichilismo a ogni livello.
La forza che si autoproclama di sinistra è addirittura più a destra della socialdemocrazia, al cui gruppo europeo non va a iscriversi. Il Partito Democratico è un organismo geneticamente modificato, una mistura in cui convivono, come l’acqua e l’olio, elementi provenienti dall’epopea del lungo addio al comunismo e settori afferenti all’epopea del lungo ritorno al cattolicesimo politico. Queste due forze contrastanti e incompatibili, radunate sotto il segno di un americanismo ingiustificabile alle nostre latitudini politiche, con questa vaga sigla che richiama non si capisce bene quale idea di democrazia, è la più autentica mascheratura di una formazione che si oppone radicalmente al comunismo, al socialismo e all’ecologismo di nuovo tipo. Il Partito è stato fondato da quello dell’Iri, un cattolico che ha fatto sedute spiritiche rivelando il covo in cui nascondevano Moro ma non per intero, l’uomo delle privatizzazioni a inizio Novanta, un democristiano tecnocratico. Tale personaggio fonda un partito che vorrebbe simile all’omonimo statunitense, ma in cui qualunque decisione fondamentale per la vita complessa che ci troviamo ad affrontare in questo tempo viene rimandata alla libertà di coscienza individuale – e questa è la fine dell’idea stessa di politica. Tentazioni vaticane condotte con palese ipocrisia o con verace e sincero radicalismo convivono con ipocrisie di apparato che, già nel recente passato, hanno indotto un intellettuale schivo come Nanni Moretti a esplodere la sua rabbia perfino contro le fisionomie di una tale inamovibile schiera di supposti capipopolo: gente che ha fatto di tutto per abolire l’idea stessa di popolo. Nessuna indicazione su questioni biopolitiche centrali, nessuna difesa di diritti acquisiti o da acquisire, nessuna idea di futuro. Il Partito Democratico rivendica con un suo esponente il primato del respingimento di migranti in mare. Si divide sul testamento biologico e sul caso di Eluana Englaro. E’ guidato da un ex democristiano, dopo essere stato guidato da un ologramma che andava avanti a citazioni da Martin Luther King e da Elvis Presley – un’incarnazione fantasmatica dello spettacolo dominante, ovverosia l’emulazione fallita di chi sta dall’altra parte, cioè Silvio Berlusconi, che come si è visto lo spettacolo perlomeno lo sa far gradire molto bene.
Nell’imbelle incertezza delle burocrazie partitodemocratiche, va a pescare consenso un personaggio che, di per sé, è molto più rischioso per la democrazia di quanto lo sia il suo acerrimo avversario: Antonio Di Pietro è l’idealtypus legalista, forcaiolo, giustizialista, privo di contenuti ideologici che tutto sono tranne che un danno, anche se questo tempo si scaglia contro l’ideologia come se fosse la barbarie umana, non rendendosi conto che questo stesso violento rifiuto è una potente ideologia. Di Pietro non ha nulla a che vedere con la sinistra, con il comunismo, con il socialismo, con l’ecologismo, con tradizioni nobili che sarebbe folle gettare alle ortiche, anche se è evidente che tali tradizioni vanno trasformate, messe in dinamica e in metamorfosi. Ciò non toglie che l’Italia dei Valori (una sigla spettacolarmente vuota quanto Forza Italia), per la reattività che esprime contro la persona e alla politica di Silvio Berlusconi, soddisfa certi istinti che, anch’essi, appartengono più al qualunquismo che alla sinistra. Il populismo feroce di Antonio Di Pietro mantiene elementi della formazione esistenziale del personaggio: che non a caso ha fatto il carabiniere. E questa sarebbe l’alternativa al Partito Democratico e alle sue programmatiche esitazioni.
Nell’altro campo, che è però l’Italia per i tre quarti, domina qualcosa che fa rizzare i capelli a uno come me, che è autore di un romanzo su Hitler: sembra di vivere la transizione da Weimar a un pericoloso regime. L’antiparlamentarismo, la parola “democrazia” svuotata ma reiterata ogni minuto, la xenofobia per ragioni di particolarismo economico, l’emergenza continua, la proposta poliziesca a tutela della securitas borghese, il circolo vizioso tra propaganda e richiesta di spettacolo dal basso, l’idea di sedurre i poteri forti, lo schierarsi con il padronato, il nazionalismo esasperato, componenti che non si vergognano (né, in base al reato di apologia del fascismo, vengono legittimamente censurate) a definirsi eredi dirette del Ventennio. Gabbie salariali, abbandono del solidarismo, la globalizzazione euforicamente messa accanto a pratiche di statalismo finanziario. E, sopra tutto, l’incultura, l’ignoranza, l’odio pervicace verso ciò che è valore umanistico. E’ il neocapitalismo vincente, che qui in Italia è voluto, desiderato ed espresso nel corpo di Silvio Berlusconi – non invece causato da costui, come spesso erroneamente si è creduto.
Questo è il disastrato panorama politico italiano, per come lo vedo in sintesi – senza lasciarmi andare a considerazioni di costume, che prenderebbero lo spazio di un’enciclopedia.
A fronte di questa situazione di disagio e lugubre emivita sociale, la sinistra ha subìto la più mortificante delle sconfitte. Quindi, si è divisa. Da una parte c’è Rifondazione Comunista, che avanza legittimamente i suoi programmi e i suoi distinguo. Dall’altra c’è Sinistra e Libertà. Spesso, nelle ultime settimane, mi è stato chiesto in cosa le due formazioni si dividano e perché non vadano unite al voto. La mia risposta è che, comunque, Sinistra e Libertà nasce in logica di movimento e laboratorio. Personalmente non sono interessato al superamento di barriere con cui si regolamenta oscenamente l’accesso alla rappresentanza democratica: se ne vada a quel paese il 4% fatidico. E’ la fase costituente che mi interessa.
L’idea stessa di non ridurre il socialismo a 15 anni di craxismo mi pare fondamentale. Il fenomeno del craxismo, peraltro, non è ancora stato storicizzato, se non à la Travaglio. Sarà vero che la Scala Mobile ha dissestato il terreno sociale, ma è anche da ricordare che Bettino Craxi mai pose in vigore lo sciagurato provvedimento, che fu invece attuato nei Novanta da Giuliano Amato, tecnocrate antiabortista che milita nel Partito Democratico. Ciò non significa affatto che io difenda un grammo dell’esperienza craxiana. Da intellettuale però mi indigno per il fatto che vivo in un Paese che prima di storicizzare i suoi periodi critici impegna sessant’anni e, se lo fa, compie l’opera quasi sempre in direzione revisionista.
Accanto ai socialisti, la cui presenza in Sinistra e Libertà è uno degli argomenti prediletti dai critici, ci sono persone che portano con sé l’esperienza comunista e la speranza di mantenere intatta la forza rivoluzionaria dell’idea stessa comunista, rendendo le forme contingenti di espressione di quell’idea mobili e collettivamente dinamiche.
C’è l’esperienza ecologista, che oggi appare una componente ineludibile del fare politico – poiché la politica è ormai biopolitica (e quando mai non lo è stata?).
Ciò determina uno stato di fatto: esistono due forze comuniste, di cui una più complessa e strutturata dell’altra, che concorrono a una tornata elettorale. Non vedo dove risieda il problema. Più cresce l’area di sinistra nel Paese e più mi sento tutelato rispetto a una civiltà in cui mi piacerebbe vivere e in cui non sto vivendo affatto.
Queste considerazioni personali, tuttavia, non mi fanno dismettere l’atteggiamento massimalista. Se c’è un aspetto antigramsciano, nello scrivente, risiede nell’odio per la cautela pragmatista di certi rivoluzionari. Scrive Gramsci: “Reagire al velleitarismo. Proporsi obiettivi discreti, raggiungibili, anche se si intenda approfondirli ed estenderli”. Ecco, no: io ritengo che questo sia il momento di essere velleitari, di sognare alto, di parlare di desiderio, di abbattere il disagio psichico in cui è rimasta prigioniera l’Italia, la nazione europea che consuma più psicofarmaci in Europa.
“Si può resistere all’invasione degli eserciti, ma non a quella delle idee”: non era un programma politico, quello di Victor Hugo, ma un programma di azione. Il banco di prova è certamente la realtà. Sta a tutti coloro che nell’idea comunista, socialista ed ecologista si riconoscono portare avanti, letteralmente incarnare i modi con cui queste idee possono attecchire, non soltanto in Italia – poiché, vividdio, andiamo a votare anche per l’Europa, luogo non propriamente secondario di rappresentanza democratica, laddove sono state assunte decisioni, dai gruppi conservatori e pseudosocialisti, che io ritengo semplicemente criminali e criminogene.
Non ho dubbi nel rispondere a chi, come un tormentone di Renzo Arbore, mi chiede se il comunismo ha senso oggi. Ha più senso di prima: basta che sia radicale come chiedeva Marx – miri cioè a un’orizzonte vastissimo. Oggi si vive una lotta di casta, addirittura, e non semplicemente un conflitto di classi. Oggi la coscienza sociale è azzerata dallo strapotere degli idola tribui, scelti con un feticismo scambiato per desiderio. Oggi la vita è sopravvivenza in molte parti del pianeta, ma in effetti anche in Italia, sebbene in un senso più sofisticato e non intuibile di primo acchito.
E’ per mettere in movimento un comunismo e un socialismo, non aventi nulla a che fare con le burocrazie assassine che ne hanno macchiato il passato, che mi sento rappresentato dai candidati di Sinistra e Libertà. Ed è per tutto ciò che ho scritto che li vado a votare.
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