GIM CASSANO
DOPO IL VOTO EUROPEO
Che si può dire?
a- il cavalier-menzogna non è imbattibile (una lezione per il PD).
Papi esce sconfitto da queste elezioni. Il referendum richiesto dal cavaliere sulla sua stimabilissima figura di statista e di uomo ha dato esito negativo: Il PdL perde il 2,2% rispetto ad un anno fa. Rispetto alle roboanti affermazioni della vigilia, è un risultato negativo. Ancor più negativo ove si consideri lo sfacciato servilismo che ha caratterizzato tutta l’informazione televisiva.
Considerando il risultato complessivo dell’area di governo, si osserva che questa si colloca attorno al 45,5%. Neanche questo pare un risultato brillante per l’azione dell’esecutivo e per la figura di un capo del governo che ha imposto la sua presenza come capolista in tutte le circoscrizioni. Pur considerando gli impresentabili residui fascisti di Storace ed altri camerati, in Italia non c’è, oggi, una maggioranza di destra per l’attuale governo. Questa potrebbe sussistere, risicata, solo qualora la forza dell’UdC venisse a sommarsi all’attuale compagine governativa.
Gli equilibri interni alla maggioranza si spostano ulteriormente in favore di Bossi; e, se si esamina il voto del Nord, centro di quel popolo delle partite IVA dal quale è partita la marcia del cavaliere, la Lega incalza non troppo da lontano il PdL. Intanto, da un lato crescono le tensioni all’interno dell’area di governo: la faida siciliana ne è prova, e tra non molto cresceranno appetiti e richieste della Lega; e, fuori d’Italia, precipita la credibilità internazionale del padrone di Villa Certosa.
Non solo, ma l’esecutivo italiano si trova in una delicata posizione dal punto di vista dei rapporti internazionali: un capo impresentabile e quotidianamente sbertucciato; nessun serio riferimento internazionale che non siano i compagni di merende di Villa Certosa; rapporti cattivi, esacerbati da una Lega di cui non può fare a meno, con le Istituzioni Europee ed internazionali (vedi, al riguardo, su questo sito, http://www.spazioliblab.it/?p=1498 ).
Non è un bel momento per papi, che appare oggi come meno imbattibile di quanto non apparisse sino a ieri. E questo è un dato del quale bisogna tenere conto: se l’Italia è governata da un signore che tutta Europa definisce come un clown, ciò si deve all’incapacità, per ragioni diversissime da caso a caso, delle forze di opposizione a presentare una comune alternativa.
Il che dimostra quanto siano stati miopi e rinunciatari i primi 18 mesi di vita del PD: la teoria della ”opposizione responsabile” ha condotto non al rafforzamento del Paese ed al consolidamento della democrazia italiana, ma al suo sgretolamento ed alla sua trasformazione in Berlusconistan. Il fatto che, ciò nonostante, gli italiani non abbiano risposto al plebiscito indetto dal cavaliere su di sé, è il vero fatto significativo di queste elezioni. Il PD è (a dire il vero, non per la prima volta) avvertito.
Il PD perde più del 7% rispetto ad un anno fa. Il dato va “pesato” per tener conto dell’apporto dei voti radicali al risultato delle politiche di un anno fa, che d’altra parte è lecito ritenere che non sia stato molto significativo. Il 7% in meno non è poco, ma rispetto ad un disastro annunciato, ed alle precedenti tornate elettorali (Abruzzo, Sardegna), che avevano condotto al cambio di segreteria, Franceschini può fingere di tirare un sospiro di sollievo, e continuar così. E’ da presumere che coloro che puntavano su una resa dei conti interna debbano attendere e cambiar strategia.
A trasformare il crollo totale in una frana sono stati, a mio parere, due fatti: un certo indurimento nei toni usati nei confronti della maggioranza e del suo capo da parte di Franceschini; ed il fatto che il ragionamento sulla “diga” e sul voto “utile” ha mantenuto una certa presa.
Ma la sostanza resta la medesima: vedi il SI al referendum elettorale, e le trionfalistiche quanto insulse dichiarazioni sulla grande forza di sinistra che,sola, può opporsi alla destra. Se la destra non ha sfondato è perché è montata nell’opinione del Paese un’opposizione che non si riconosce nel PD e nella politica della opposizione responsabile. Questa, e non il PD attuale, ha dimostrato che il cavalier menzogna non è imbattibile, ed è da questo punto che occorre ripartire.
La vera sconfitta è quella del bipartitismo. A dire il vero, già le elezioni di Abruzzo avevano espresso un segnale in questa direzione: i due partiti maggiori oggi non arrivano, sommati, al 61%. Sarebbe grave non tener conto di questo dato, ed insistere su una strada che una parte grande degli italiani non condivide.
Come tutte le volte che gli elettori italiani sono messi davanti al rischio di firmare cambiali in bianco, preferiscono non farlo. La mia impressione è che gli italiani, diffidando della politica e dell’attuale sistema dei partiti, preferiscano evitare che il sistema politico si chiuda in un rapporto a due dal quale sarebbe poi impossibile uscire.
Ed il 16% degli elettori italiani, corrispondente a circa 10 milioni di abitanti (un intero Paese Europeo di media importanza), resta senza alcuna rappresentanza politica, in un’elezione nella quale non veniva posto alcun problema di governabilità, ed in virtù di una legge che PdL e PD hanno imposto agli italiani a pochi giorni dall’apertura della campagna elettorale.
Di tutte queste considerazioni occorrerà tener conto: il non volerlo fare, per convinzione antidemocratica, o per ancor più pericoloso calcolo di bottega, significa assumersi responsabilità gravissime.
b- una nuova sinistra.
Prima constatazione è quella che esiste nel Paese un fronte (non fatto tutto di forze di sinistra), prossimo al 20%, ed avverso all’accoppiata PdL-PD fatta di ammicchi e scambi di cortesie, a volte confessabili, a volte meno. Non è un’opposizione omogenea, sia negli obbiettivi e nei contenuti politici, che nel modo di concepire il funzionamento del sistema politico. E va ripetuto che questo fronte è quasi per intero non rappresentato, e che questo è un problema di non poco conto per le prospettive della democrazia italiana. In altre parole, l’opposizione, sia pur da diverse posizioni, è presente nel Paese, anche se solo parzialmente rappresentata in quantità ed in qualità. E’ una questione non secondaria il fatto che questa opposizione arrivi a trovare una rappresentanza politica.
Nell’ambito delle forze di sinistra, Sinistra e Libertà ottiene quello che negli anni della Prima Repubblica sarebbe stato considerato un successo. Le condizioni ignobili nelle quali si è svolta questa campagna elettorale, l’esclusione dai media, l’ostacolo della soglia posto volutamente tra i piedi all’avvio della campagna elettorale sono fatti indegni di una democrazia. Il 3% di elettori che, in queste condizioni, hanno votato per S&L, rappresentano un patrimonio prezioso, un voto di opinione “puro”, che va coltivato.
Ma resta la considerazione, amara, che, se la proposta originariamente partita dal Partito Socialista (una sinistra da Pannella a Vendola) fosse stata attuata, oggi questa sarebbe ben oltre il 4%.
I flussi in uscita dal PD si sono trovati di fronte a quattro alternative: IdV, Radicali, Comunisti, S&L. In un ventaglio così ampio di alternative, questi si sono indirizzati là dove l’alternativa appariva più radicale (comunisti), o più consolidata dalla presenza in Parlamento (IdV); oppure, per altri, dove questa appariva più rassicurante sul piano delle questioni economiche e sociali (radicali e, di nuovo, IdV). S&L non è riuscita così ad intercettare a sufficienza i flussi in uscita dal PD. Si ha la sensazione che S&L e radicali abbiano pescato nello stesso lago, e che una più forte caratterizzazione di S&L sulla questione dei fondamenti di una democrazia sarebbe stata utile. In definitiva, i radicali hanno tratto vantaggio dal proprio essersi identificati nella lotta alla partitocrazia, toccando tematiche che oggi sono di moda.
Chi, come il sottoscritto ed altri amici, ha aderito, all’interno di un percorso liberale, a Sinistra e Libertà, non credo abbia ragioni per doversene pentire. Credo invece che abbia più di un motivo per ritenere che il ragionamento sulla costruzione di una nuova sinistra, aperta, pluralistica, federativa, debba proseguire e debba essere approfondito e concretato.
Intanto, occorre che il Referendum elettorale fallisca. Se il voto di ieri fosse stato soggetto alla legge elettorale che emergerebbe dal successo del SI, otterremmo il più totale violentamento delle indicazioni espresse dagli italiani: in Senato, sarebbero presenti solo PdL, Lega, e PD; alla Camera, vi si aggiungerebbero Casini e Di Pietro. Al Senato, il 30% degli italiani non sarebbe rappresentato. Il cavalier-menzogna, cui gli italiani non hanno affatto tributato un trionfo, governerebbe da solo.
In secondo luogo, occorre che Sinistra e Libertà sappia tradurre la propria intuizione nel disegno di una Sinistra che possa crescere in termini di rapporti politici, prima ancora che elettorali in senso stretto: si tratta di far da catalizzatore all’aggregazione di coloro che intendono combattere il berlusconismo in nome delle libertà e dei diritti di tutti, e ricondurre l’Italia sulla strada della democrazia europea. Ritengo che occorra riuscire a liberare energie, potenzialità, capacità oggi ingabbiate in sigle partitiche o disperse nella sfiducia e nel rifiuto dell’impegno politico.
Occorre saper proporre agli italiani, alle forze politiche e sociali, al mondo del lavoro passato, attuale o ricercato, a quello dell’impresa, al Sud come al Nord, un progetto ed un patto per uscire dalla crisi con un’Italia migliore di quella attuale. Questo è uno sforzo politico e culturale insieme: la nuova sinistra deve saper opporre alla furbizia ed allo stravolgimento delle regole la visione di una società aperta, mobile, equa, fondata sulle conquiste liberaldemocratiche, su quelle del socialismo riformatore, sulle esperienze dei movimenti per la difesa dei diritti e dell’ambiente. Occorre saper proporre agli italiani una concezione di sinistra non impiantata sul determinismo ideologico, ma su una razionalità empirica ed aperta al confronto con la realtà, dotata di concrete capacità progettuali e di gestione, saldamente ancorata alla difesa delle libertà e dei diritti individuali, civili e sociali.
E, se vogliamo vederla in altri termini, non si tratta di altro che di riprendere in mano quei principii sui quali è fondata la nostra Costituzione.
Occorre riportare al centro dell’attenzione pubblica l’etica del lavoro e della corretta amministrazione, e considerare che senza coesione e mobilità sociale, senza un progetto di società economica e politica che coinvolga tutti, questo Paese resterà, comunque vadano le cose, sempre in ritardo rispetto agli altri sulla strada dell’uscita dalla crisi e, quando questo vi sarà, dello sviluppo.
Ritengo che occorra promuovere la liberazione di energie, capacità, forze, oggi ingabbiate negli schemi partitici o disperse nella sfiducia e nel disinteresse: non si tratta di cercare proseliti, ma di individuare e coinvolgere gli interlocutori insieme ai quali combattere le battaglie che verranno.
In terzo luogo, occorre che il progetto di S&L sappia in sé, nella sua forma, rappresentare quella concezione della politica che viene riassunta nei termini di sinistra e di libertà: non la fotocopia in miniatura del tradizionale partito di massa della sinistra italiana; non il partito-persona di questi anni sciagurati; ma un luogo aperto, libero, costruito su un principio federativo e tale da poter accogliere quelle diverse storie della sinistra italiana che riconoscono il criterio generale delle libertà come la premessa necessaria di ogni società aperta e giusta.
Gim Cassano, 08-06-2009
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