Se Marx seduce la destra
Data di pubblicazione: 14.06.2009
Autore: Spinelli, Barbara
“Marx e Keynes sono usati non per cambiare modello, ma per perpetuarlo con l’ambulanza del Welfare”. La Stampa, 14 giugno 2009
Anche le destre - forse soprattutto le destre - guardano d’un tratto a Karl Marx in altro modo: l’odierna crisi economica somiglia non poco al «continuo stravolgimento dei rapporti consolidati», alla «continua evaporazione di quel che è solido», descritti dal filosofo nel 1848. Il padre del comunismo fantasticò il riscatto di una sola classe, e fu funesto, ma la descrizione era realista, tutt’altro che fantasiosa. È vero che la borghesia tende a rispondere alle crisi «provocando crisi sempre più generalizzate, più distruttive, e riducendo i mezzi necessari a prevenirle». È vero che «la moderna società borghese è come l’apprendista stregone, incapace di controllare le potenze sotterranee da lui stesso evocate». È vero che essa «ha spietatamente strappato tutti i variopinti vincoli feudali che legavano l’uomo al suo superiore naturale, e non ha lasciato fra uomo e uomo altro vincolo che il nudo interesse, il freddo "pagamento in contanti". Ha affogato nell’acqua gelida del calcolo egoistico i sacri brividi dell’esaltazione devota, dell’entusiasmo cavalleresco, della malinconia piccolo-borghese. Ha disciolto la dignità personale nel valore di scambio e al posto delle innumerevoli libertà patentate e onestamente conquistate, ha messo, unica, la libertà di commercio priva di scrupoli». È vero infine che il capitalismo sormonta spesso i mali coi veleni che li scatenano: tra essi, «l’epidemia della sovrapproduzione». Il Capitale è di moda da qualche tempo.
A prima vista può apparire stupefacente quel che è accaduto alle elezioni europee. Marx e Keynes tornano in auge, ma per le sinistre socialiste o radicali è catastrofe: sono crollate in 16 paesi su 27, con punte massime in Francia, Germania, Inghilterra, Italia, Spagna. Al momento sono come istupidite, e non sapendo spiegare a se stesse il disastro si rifugiano nella denegazione. Il capo dei socialdemocratici tedeschi Müntefering fa finta di nulla e giudica assurdo l’esito, «visto che abbiamo spiegato così bene l’Europa sociale». I compagni francesi balbettano. Franceschini, in Italia, emette il verdetto, consolatorio e falso: «Abbiamo perso perché il vento della destra soffia così forte in Europa».
In realtà non ha vinto un vento di destra ma un vento ben contraddittorio: il vento di una destra pragmatica, spregiudicata, non più ideologica, che pur di mantenere il potere agguanta ogni utensile a disposizione. Soprattutto gli utensili della socialdemocrazia: lo Stato che protegge i deboli, e se necessario governa estesamente l’economia. Quel che la destra ha fatto in pochi mesi è impressionante: è stata lei a chiudere l’era Thatcher, sorpassando una sinistra paralizzata dai complessi di colpa, allergica a una conflittualità di cui si vergogna, ammaliata per 13 anni dal Nuovo Labour di Blair e dal suo mimetismo thatcheriano. Senza patemi la destra europea ha smesso l’antistatalismo, la lotta alla spesa pubblica, il dogma delle privatizzazioni. Con sotterfugi linguistici esalta perfino il Welfare: dice «stabilizzatori automatici» per non dire Stato Provvidenza. Uomini come Tremonti scoprono l’anticapitalismo, chiamandolo anti-mercatismo. Qualche tempo fa, in una manifestazione della sinistra estrema a Parigi, ho incontrato un militante che mi ha detto: «Beati voi che avete Tremonti!».
Niente vento di destra dunque, ma un’usurpazione più o meno cinica di idee socialdemocratiche e anche marxiste che devasta le sinistre classiche. Se in Europa si riapre la questione sociale saranno Sarkozy, Tremonti, Angela Merkel a gestirla, nazionalizzando o stampando moneta. Essenziale è traversare il torrente con ogni mezzo, e sperare che si torni allo status quo ante senza mutare il modo di sviluppo produttivistico. Marx e Keynes sono usati non per cambiare modello, ma per perpetuarlo con l’ambulanza del Welfare. È un modello che socialisti e sindacati condividono, quando accusano la destra di ultraliberismo o si limitano a chiedere aumenti salariali e tutela dei posti fissi. Per questo sono oggi ombre di se stessi.
Le elezioni europee non dicono tuttavia solo questo. Le sinistre defraudate sono aggrappate allo status quo ma nuove forze emergono, che pensano la crisi con sguardo più profondo e lungo. Che seguono con estrema attenzione Obama e presentono, in quel che annuncia, la possibilità di una trasformazione, di un ricominciamento. È il caso dei Verdi in Francia, Germania, Inghilterra, Svezia, Belgio, Grecia, Finlandia. È il caso dei liberali-legalitari di Di Pietro, e perfino di forze inedite come i Pirati in Svezia. Quattro consapevolezze accomunano questi gruppi. Primo, la crisi presente è tettonica, e non si esaurisce nella questione sociale. Secondo: il capitalismo di Stato che ovunque risorge accresce i poteri dello Stato censore sulle libertà cittadine. Terzo: la corruzione che ha accompagnato la crisi può perdurare, perché le urgenze governative sono altre. Quarto: il ricominciamento dovrà accadere in Europa, non negli Stati-nazione.
Daniel Cohn-Bendit è precursore in questo campo, e il suo successo è significativo. La questione sociale non è negata, ma egli la vede in connessione stretta con il clima: dunque con una crescita alternativa, e come ha detto Obama al vertice dei G-20, con un «mercato dei consumi meno vorace». A suo avviso sia la destra che la sinistra difendono lo status quo: la crescita dei consumi e di vecchie produzioni, la lotta sul clima rinviata al dopo-crisi, come nei desideri di governanti e imprenditori italiani. «È come se le sinistre avessero nel computer un software inadatto», dice: un «software produttivistico» sorpassato e nocivo. Il carisma del leader verde non è senza legami con quello di Di Pietro, De Magistris, Arlacchi. Anche i francesi di Europa-Ecologia hanno schierato giudici: Eva Joly, numero due nella lista, ha indagato sulla corruzione dei potenti (incriminando il faccendiere Tapie o - nell’affare Elf - l’ex ministro degli Esteri Roland Dumas) ed è esperta in delinquenza finanziaria internazionale. Anche lei è cittadina d’Europa: come Cohn-Bendit è franco-tedesco, lei è franco-norvegese.
Infine c’è il Partito dei Pirati: una formazione che ha raccolto il 7 per cento ed è il terzo partito svedese per numero di iscritti. La sua battaglia per il libero e completo accesso a internet è emblematico segno dei tempi: con il dissesto dei giornali e l’estendersi del capitalismo di Stato, si è visto negli ultimi giorni quanto sia prezioso lo spazio internet e dei blog. È prezioso in Francia, dove la Corte costituzionale ha appena invalidato una legge che vieta lo scaricamento di programmi, affermando che solo il giudice può emettere sanzioni e non l’autorità amministrativa. È prezioso in Italia, dove la libertà internet è minacciata dalla nuova legge sulle intercettazioni: lo spiega molto bene Giuseppe Giulietti sul quotidiano online per la libertà d’espressione (Articolo21.info).
L’impotenza dello Stato-nazione accelera le cose. Sono cresciuti i partiti concentrati sull’Europa, per respingerla o approvarla. I Verdi sono i soli, nel voto di giugno, ad aver appreso la dimensione sovranazionale delle politiche europee. Cohn-Bendit è l’unico ad aver parlato in nome d’un partito non nazionale: il che vuol dire che non siamo giunti, con la crisi delle sinistre tradizionali e del modello produttivistico, alla fine del progetto europeo pensato dai fondatori. Sono sfibrate le forze dimentiche dell’Europa, non quelle che investono su essa e reinventano. L’analisi di Cohn-Bendit è giusta: «Una forza politica moderna deve avere oggi dimensioni europee. E la crisi della socialdemocrazia la si risolverà solo formulando, contro le alternative nazionali, alternative europee. È qui che il socialismo ha fallito: aveva davanti a sé un boulevard in Europa, e ha dato risposte solo sul piano nazionale».
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