giovedì 11 giugno 2009

Francesco ramella: Perdere l'Italia di mezzo

Da La Stampa

FRANCESCO RAMELLA

Cos’è successo realmente nell’Italia di mezzo? Nelle regioni rosse - come hanno scritto alcuni - il Pd ha resistito? Oppure - come commentato da altri - c’è stato un disastroso cedimento strutturale?

I risultati delle Europee danno ragione a chi sottolinea una sostanziale tenuta del partito democratico. Nelle quattro regioni, considerate complessivamente, il Pd ottiene un ragguardevole 37,1%. Undici punti sopra la media italiana. Rispetto alle elezioni del 2004, inoltre, perde meno (-3,8%) che a livello nazionale (-5%). In termini di voti reali l’arretramento è più consistente (-12,7%), ma comunque molto inferiore a quanto avviene in Italia (-20,9%). Aggiungo che il calo dei votanti è stato inferiore rispetto al resto del Paese e che i democratici continuano ad ottenere più consensi nelle città principali e nelle zone più ricche e dinamiche di queste regioni: confrontando le 8 province con il maggiore e il minore reddito pro capite, il Pd ottiene il 7% di consensi in più nelle prime rispetto alle seconde. Nonostante il sorpasso messo a segno dal Pdl in Umbria e nelle Marche (una regione rossa a metà), e la penetrazione della Lega (soprattutto in Emilia e di più nei piccoli centri) non c’è stato nessun crollo elettorale. Nelle sue regioni-roccaforte il Pd perde terreno ma meno che nel resto d’Italia, in termini assoluti e ancor più relativi (cioè considerando la diversa forza di partenza).

Tanto rumore per nulla quindi? No. Come previsto, le novità vere sono arrivate dalle amministrative. Qui il quadro che emerge è piuttosto diverso. Nel 2004 il centro-sinistra si era assicurato tutte le province in lizza. Ricorrendo al ballottaggio solo in due. Stavolta delle 22 città al voto ne cede immediatamente due al centrodestra (Piacenza e Macerata) e in altre otto è costretto al ballottaggio. Stessa storia negli 85 comuni con più di 15 mila abitanti: 2 vanno al centro-destra e altri 30 al ballottaggio (la scorsa volta erano stati soltanto 10). Inoltre i candidati sindaci del centro-sinistra - al primo turno - perdono mediamente il 10% dei consensi e - dappertutto - si accorciano le distanze con gli «sfidanti».

E’ evidente che per spiegare questi risultati non basta rifarsi al clima nazionale e al «vento di destra» che soffia in Europa. Naturalmente sono elementi che hanno un loro peso. Ma che rischiano di diventare comodi alibi buoni a nascondere i problemi locali messi in luce dal voto. Due aspetti in particolare meritano attenzione. Il primo riguarda l’economia. Il Pd (nelle europee) è calato di più nelle province che hanno subito un arretramento nella graduatoria nazionale del reddito pro capite. Va poi sottolineato che notevoli difficoltà iniziano a registrarsi anche nei distretti industriali. Per quanto in queste aree il Pd continui a ottenere - soprattutto in Emilia Romagna - consensi leggermente superiori, il differenziale si è assottigliato rispetto al passato. Tanto che oggi il centro-destra sopravanza il centro-sinistra in 26 dei 60 comuni capofila dei distretti (prevalentemente nelle Marche).

Il secondo aspetto riguarda l’élite politica di queste regioni, le cui divisioni hanno frammentato l’offerta elettorale sottraendo consensi importanti ai «candidati ufficiali» del centro-sinistra. Il numero degli aspiranti sindaci, infatti, è notevolmente cresciuto. Nei comuni maggiori si sono presentati 131 candidati in più rispetto all’elezione precedente (con una media di 6 candidati e 12 liste per ogni municipio). I risultati elettorali vanno letti anche alla luce dei segnali di deterioramento della classe politica locale, logorata dall’assenza di ricambio politico e di un efficace controllo sulle amministrazioni locali. Dove si scorgono inquietanti - e non giustificabili - pratiche di lottizzazione, privilegi e divisioni personalistiche.

I vertici del Partito democratico farebbero bene a puntare i riflettori su queste regioni. Facendone un cantiere di rinnovamento e di coraggiosa sperimentazione. Questa è un’Italia particolare. Dove sviluppo economico e qualità della vita, benessere privato e beni pubblici, sono sempre andati a braccetto. E’ da questi territori, dove la sinistra è ancora forte e dove in passato ha ben governato, che dovrebbe partire un segnale forte per il resto del Paese. Soprattutto per le regioni del Nord. Se non qui, allora dove? E se non ora, quando?

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