martedì 16 giugno 2009

Gian Enrico Rusconi: Berlusconi spiegato agli stranieri

Da La Stampa

16/6/2009

Berlusconi spiegato agli stranieri





GIAN ENRICO RUSCONI

Sui giornali europei si è assistito nelle settimane scorse a una campagna accusatoria senza precedenti sui comportamenti privati (e non solo) di Silvio Berlusconi. Ma il Cavaliere è uscito indenne dalle elezioni. Gli osservatori europei sono sconcertati. Ai loro occhi l’anomalia italiana prosegue. Incomprensibile.

Perché un numero così alto di italiani - si chiedono - accetta con indifferenza il conflitto di interesse di Berlusconi, i suoi scontri continui con la giustizia che finiscono in contumelie, i discutibili comportamenti privati, le intemperanze verbali contro gli avversari e le istituzioni? Perché accettano le spiegazioni che ne dà lo stesso interessato, che si presenta come vittima della giustizia italiana, della sinistra e dei giornali stranieri? Perché gli oppositori di Berlusconi sono sostanzialmente impotenti politicamente?

Evidentemente le descrizioni sarcastiche, offerte quotidianamente dai giornali e dai settimanali europei, non colgono la sostanza della questione. C’è un dato oggettivo che si può sintetizzare in tre elementi. 1) Il berlusconismo dà voce a una società civile profondamente scontenta, al limite della sopportazione, carica di conflitti, moralmente sfacciata, che non si fida più della sinistra. 2) Alle spalle del Cavaliere c’è un ceto politico emergente (una nuova classe politica) che sta giocando interamente la sua partita. Fa quadrato attorno a lui, razionalizzando le sue esternazioni emotive e cercando di orientarlo secondo i propri interessi. La Lega di Bossi in particolare sta stringendo un’alleanza politica strategica che porterà lontano. 3) È il trionfo del «populismo democratico» che rappresenta una vera mutazione della democrazia italiana che va studiata nella sua originalità.

Il «popolo» berlusconiano-bossiano è il «popolo-degli-elettori», nel senso che la maggioranza elettorale ritiene di poter incarnare automaticamente «il demos sovrano» che può plasmare a suo piacimento la Costituzione. Un successo elettorale maggioritario legittima quindi uno spoils system applicato in modo radicale, nel senso che chi vince stabilisce le regole del gioco a suo piacimento. Il popolo-degli-elettori è destrutturato rispetto al popolo diviso secondo le linee classiste tradizionali e le loro convenzionali proiezioni partitico-politiche. Trova la sua omogeneità soltanto nell’immediatezza (apparente) del rapporto leader-elettori.

La stratificazione sociale non ha perso oggettivamente i suoi connotati fondamentali di classe, ma soggettivamente è diventata estremamente complessa per la diversità delle fonti di reddito e delle posizioni di lavoro, per la molteplicità degli stili di vita e di consumo e soprattutto per l’autopercezione degli interessati. Non a caso Berlusconi non parla mai di «classi sociali» ma di «cittadini fortunati/sfortunati», «prilegiati/deprivilegiati», e le classi inferiori sono composte di chi è «rimasto indietro». A tutti promette un indistinto miglioramento generale purché lo si lasci agire contro l’ordine istituzionale esistente che frena ogni innovazione e contro la sinistra che «lo odia». Il berlusconismo ha reinventato tutta la potenza politica della contrapposizione amico/nemico. E in questo modo trova consenso.

A questo punto occorre fare una precisazione importante. Spesso per spiegare l’anomalia italiana, compreso il fenomeno Berlusconi, molti analisti parlano di una estraneità tra «il sistema politico» (inefficiente, inadeguato) e «la società civile» (vitale e ricca di risorse ed energie). In questa ottica, molti a sinistra fanno appello a una «società civile» italiana che si contrapporrebbe a Berlusconi. È un errore. Il berlusconismo infatti è esso stesso la prima espressione della «società civile» italiana. O se vogliamo, del suo profondo disorientamento. Molte patologie sociali (generalizzata assenza di senso civico e senso dello Stato, endemica complicità di molte regioni e gruppi sociali con la mafia e la camorra, comportamenti antisolidali e razzismo latente) non provengono dal di fuori, ma dal ventre della società civile. Non ha senso quindi contrapporre «la società civile» al «sistema politico» come se fossero due poli ed entità autonome.

Il berlusconismo infine prima che il sintomo di una crisi di rappresentanza politica-partitica, è una domanda di decisione di governo. A questo proposito, non è qui la sede per discutere l’opportunità di una riforma in senso presidenziale (sul modello francese o americano) o comunque di forme di rafforzamento dell’esecutivo in Italia. Se ne discute da anni senza successo per la ferma opposizione non solo della sinistra ma anche dei partiti di centro (ex-democristiano). Ma non c’è dubbio che l’idea di competenze decisionali più forti per il governo è sempre più popolare in Italia. E su di essa Berlusconi giocherà la sua carta più impegnativa. Sullo sfondo di una società profondamente divisa, socialmente disgregata, frammentata, incattivita può succedere che moltissimi cittadini guardino con scettico (persino divertito) distacco ai comportamenti personali disdicevoli del premier, che all’estero appaiono intollerabili. Ecco perché più che un «fenomeno Berlusconi» esiste un «caso Italia».

Questo articolo è stato pubblicato sulla «Süddeutsche Zeitung», che aveva chiesto all’autore di spiegare ai tedeschi il fenomeno Berlusconi

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