Sinistra e Libertà rimane in campo, è la via d’uscita tra le macerie delle elezioni dell’anno scorso. Con il senno del poi, non può stupire che non abbiamo superato la forca caudina del 4%. Privi com’eravamo dell’organizzazione e dei finanziamenti adeguati ad una campagna europea, silenziati dalle televisioni, e soprattutto partiti in extremis, con un deficit incolmabile di comunicazione con la gente. Eppure, i dati dimostrano che Sinistra e Libertà c’è per davvero, risponde ad un bisogno dell’elettorato, a necessità reali della società: ben presenti al Sud, siamo anche nelle grandi città, a partire da Roma. Non abbiamo risolto la “questione settentrionale”: in due mesi di campagna elettorale non si poteva pretenderlo. Occorre quindi proseguire sulla strada delle nostre buone ragioni, del nostro buon programma che non abbiamo potuto spiegare in tv, del nostro coraggio. Il regime a “bipartitismo unico” voluto da Berlusconi e Veltroni non è accettato dagli italiani: il quadro dell’Italia reale è pluripartitico, così come in tutta Europa. A sinistra, Sinistra e Libertà ha patito la concorrenza di Rifondazione e della lista Bonino-Pannella. Entrambe queste liste erano alternative a Sinistra e Libertà, e sarebbe sbagliato rammaricarsi per la mancata alleanza con gli uni o con gli altri. Sinistra e Libertà è stata la vera alternativa al Pd in queste elezioni, perchè non subalterna e non complementare ad esso. Rifondazione, com’è evidente, rappresenta la “riserva indiana”, quella da cui Nichi Vendola è voluto giustamente evadere. La scelta di Vendola in polemica con Ferrero non si è basata su astratte diatribe ideologiche, ma sulla comprensione che la Sinistra Arcobaleno, e ancor più il ritorno alla falce e martello, significava subalternità alla visione dalemiana (Pd grande partito riformista, poi Rifondazione, spazio folcloristico per gli inevitabili mattacchioni): da qui il rifiuto di svolgere il ruolo prefissato, la ricerca di uno spazio autonomo, dove poter esprimere non solo velleità di opposizione ma anche proposta di governo, e quindi l’incontro con noi socialisti. La lista Bonino-Pannella ha svolto funzione opposta ma simile a Rifondazione: anch’essa funzionale e subalterna al Pd, ne ha costituito non il complemento massimalista ma l’accessorio, la copertura per intercettare il voto democrat deluso, parcheggiarlo e refrigerarlo, a cura della vicepresidente del Senato in quota Pd, signora Bonino, a cui Franceschini non ha mai rimproverato l’apparente tradimento (essendo, in effetti, piuttosto una parte in commedia). Occorre ribadire bene che l’esperienza della Rosa nel Pugno, nel 2006, avrebbe avuto successo se si fosse creata un’effettiva egemonia liberalsocialista nel progetto (si ricorda qui che liberalsocialismo significa, da Calogero e Capitini in poi, un movimento di liberali che si muove in avanti verso posizioni socialiste, non il contrario in retromarcia...). All’inizio, con i socialisti che “trascinarono” i radicali nel centro-sinistra, questa egemonia parve concretizzarsi. Ma poi l’autoreferenzialità dei radicali, la loro forte componente ideologica liberale-liberista assolutamente allergica a politiche sociali e del lavoro ragionevoli (del tutto speculare a quella rifondarola) ed anche, occorrerà finalmente dirlo, le loro dinamiche settarie, più simili a quelle di Scientology che di un gruppo politico, affossarono la “Rosa”. Da domani partirà una piccola offensiva radicale nei confronti dei militanti socialisti, che andrà respinta con serenità e fermezza: gli incontri di Chianciano servivano prima, quando si parlava di una sinistra laica ampia, non oggi, se non per “pannellizzare” qualche socialista deluso. Ma non c’è da essere delusi: questa campagna elettorale ha mostrato la possibilità di rilanciare in Italia una forza di sinistra in sintonia con quanto si muove in Europa (socialisti e verdi, in alternativa ai popolari e ai liberali, per un’economia sostenibile e tecnologicamente avanzata). Da qui si riparte.
Luca Cefisi
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