L’Europa è percepita come un bancomat
Data di pubblicazione: 08.06.2009
Autore: Gravagnuolo, Bruno
Nell’intervista allo storico Giovanni De Luna, l’analisi del risultato elettorale in Europa fra errori e pericoli. Da l’Unità, 8 giugno 2009 (m.p.g.)
Risultato comunque grave e da non edulcorare. La destra sfiora il 50% e il Pd deve puntare su se stesso per sbarrarle la strada». Giudizio preoccupato quello di Giovanni De Luna, storico a Torino. Che insiste su due concetti: debolezza identitaria del Pd e crisi dell’idea di Europa. E aggiunge: «Il Pd deve calare i suoi valori sul territorio e sceglierli con chiarezza, prima ancora di pensare alle alleanze».
Professor De Luna: forte vento di destra in Europa. Liberali, conservatori ed euroscettici trionfano in Francia, Austria, Inghilterra, Olanda e Gran Bretagna. E poi c’è il dato massiccio dell’astensione. Che significa?
«Il calo del voto in Europa dal 1979 indica una perdita di fiducia nell’europeismo. Prima c’era una spinta dal basso, oggi atrofizzata. E il vento xenofobo ed euroscettico esprime lo svuotamento delle sovranità nazionali, con incremento dei localismi. Lo stato nazionale post-novecentesco si impoverisce sotto una duplice spinta: territoriale e sovranazionale. E l’astensione è una spia di tutto questo. Insomma, l’Europa è diventata una specie di bancomat, oppure un vincolo economicistico. Certo l’Euro e la banca centrale sono stati fattori utili e risolutivi. Ma è mancata la politica, la memoria, la religione civile degli europei. Quello che gli stati nazionali avevano fatto caso per caso. È stupefacente che sia stato Obama a dover rivitalizzare i luoghi chiave dell’identità europea democratica: il D-Day, Buchenwald. Mentre Brandt aveva fatto qualcosa di simile col suo viaggio a Varsavia. Dieci anni fa quasi tutta l’Europa era socialista e poteva fare molto in questo senso... ».
Dieci anni di arcigne politiche «mercatiste» e monetariste
«Totalmente burocratiche. Indifferenti a ogni questione di futuro e di identità civile. La reazione all’immigrazione si nutre di questo disincanto. L’unico squacio identitario è stato quello sulle radici cristiane, usato però in chiave etnocentrica. Ripeto, c’è voluto Obama al Cairo per sentire un discorso europeista e inclusivo sull’Islam! Su questo la sinistra, anche italiana, si sarebbe dovuta legittimare fortemente. Invece si è fatta dettare l’agenda da Repubblica. Per carità: l’etica, il basso impero di Berlusconi. Cose sacrosante. Ma la carta da giocare doveva essere l’Europeismo, non l’indignazione per le veline».
L’astensione italiana segnala anche un disinteresse per la politica nazionale oltre che per l’Europa, non crede?
«Sì, ma la disaffezione verso l’Europa mi pare prevalente, come altrove. Quanto alla politica interna, c’è qualcosa di simile in Europa: la cannibalizzazione interna al Labour. Esempio di sfilacciamento della sinistra in questo momento di passaggio, che alimenta l’astensionismo. Un fenomeno da leggere inoltre in relazione al diffuso degrado della politica: nani e ballerine in tutte le liste. Irruzione del gossip e del privato. Fattori che caricano e insieme scaricano di valori la politica».
E ora il dato italiano. Le prime proiezioni segnalano una tenuta del Pd sopra il 27%, e il Pdl attorno al 36. Con la Lega verso il 10%, Di Pietro all’8% e le due sinistre radicali che probabilmente non passano il quorum. Che ne dice?
«Inutile minimizzare. Anche se la coalizione di governo resta sotto il 50%. Il pericolo rimane, per l’arroganza e lo strapotere di questa destra. Perciò lo ripeto. Il Pd non può più farsi dettare l’agenda da Repubblica - che pure fa il suo mestiere - in termini di costume. Il suo gruppo dirigente deve recuperare a pieno la sua autonomia politica. Bisognava parlare di Europa e di programmi, non di scandali».
E domani? Quali priorità immediate per il Pd, interne e all’esterno? E ancora: è giusto appoggiare il referendum maggioritario?
«Un errore cominciare a parlare subito di alleanze, con Di Pietro o con Casini. O con ciò che resta della sinistra radicale, incapace di gestire un’area potenziale tra il 10 e il 12%. Il Pd deve puntare a ritrovare sè stesso. Trovare un baricentro chiaro, sul piano dei principi e dei valori. Sulla laicità ad esempio, anche pagando dei prezzi. Quanto al referendum, sarebbe una follia votare per il maggioritario in questo frangente. Occorre ritrovare le radici parlamentari e proporzionali della democrazia contro il populismo. Nel solco della nostra Costituzione».
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