Dal sito radicalsocialismo
Tutti insieme in un nuovo partito!
Scritto da Fausto Bertinotti
sabato 20 giugno 2009
Un partito nuovo, unitario e plurale, della sinistra, di tutta la sinistra. Un partito capace di rappresentare il mondo del lavoro e le “grandi mete” (eguaglianza e libertà, laicità, nonviolenza) che danno senso alla sinistra. Una forza da ricostruire processualmente entro un tempo politico “medio” – tre anni – entro, cioè, le prossime elezioni politiche. Questa a me pare la sola prospettiva percorribile, dopo il (disastroso) risultato del 6-7 giugno, che ha sancito la fine, o la sconfitta storica, dei partiti eredi del 900. Conosco le obiezioni. Come si fa a mettere in moto un processo costituente efficace, che non sia velleitario o non si riduca alla somma delle debolezze attuali? Come si fa a superare quello spirito “scissionista” (e\o identitario) che sembra gravare su di noi come una maledizione? Quale demiurgo, individuale o collettivo potrebbe mai incaricarsi di far scattare il big bang al momento giusto? Conosco queste obiezioni e so che, se si guarda allo “stato delle cose” presenti, sono tutte fondate. Ma la risposta forte e dura viene, prima di tutto, dai fatti: tutti gli spazi finora percorsi si sono esauriti. Continuare sulla strada (sulle strade) fin qui seguite non ha più nulla di “realistico”, diventa anzi la più folle delle utopie. Se non ci si vuole rassegnare ad un’Italia (ad un’Europa) senza sinistra (o con sinistre ridotte ad una condizione permanente di marginalità e ininfluenza), bisogna dunque tentare una radicale inversione di rotta. E assumere con forze e determinazione l’obiettivo di una Grande Sinistra.
Con chi? Con tutti coloro che ci stanno, dai comunisti ai radicali, dal Pd agli alternativi - dai soggetti politici ai movimenti, dai gruppi più o meno organizzati alle persone singole. Noi di sinistra siamo tutti sconfitti, dobbiamo tutti metterci, davvero, in discussione. Come? Non possiamo pensare a una somma dell’esistente, o a processi puramente fusionistici: questa è un’altra utopia, per di più banalizzata. Se è vero che esiste una sinistra all’interno di tutte le forze che compongono il panorama dell’opposizione, se è vero che questa soggettività è oggi “imprigionata” in involucri diversamente inadeguati, bisogna intanto promuovere la liberazione di queste forze - la loro disponibilità a un nuovo progetto.
Penso, insomma, a un processo di scomposizione e ricomposizione generale, nel quale nessuno confluisca in qualcosa che già c’è, ma tutti concorrano, possano effettivamente concorrere, alla rifondazione di qualcosa che non c’è ancora.
Naturalmente, perché questo possa avvenire, non basta la disponibilità e nemmeno la buona volontà: bisogna prendere atto che, davvero, una storia è finita, si è conclusa. Da questo punto di vista, l’analisi proposta ieri da Giuliano Ferrara sul Foglio ha una fondatezza: la risposta che la sinistra radicale ha tentato di incarnare per qualche decennio, rispetto alla crisi dei partiti storici del movimento operaio, è fallita. Ma non è altrettanto fondata la conclusione che egli ne trae: confluire tutti nel Partito Democratico, se si vuole continuare ad esercitare un ruolo. Tutti nel Pd, per dare piena compiutezza all'americanizzazione della politica. Questa idea non funziona perché non tiene conto di un fatto fondamentale: anche il progetto del Partito Democratico è fallito. Anche, se non soprattutto, un progetto che è nato da un'istanza analoga - sia pure politicamente e strategicamente diversa - a quella che ha mosso la sinistra radicale: offrire una risposta riformista al declino della sinistra storica. Non è un giudizio personale, è il giudizio impietoso che hanno dato gli elettori: un anno fa, bocciando il partito a “vocazione maggioritaria”, quello che doveva battere Berlusconi e sfondare al centro; pochi giorni fa, con l’ulteriore secco ridimensionamento alle europee e la débacle alle amministrative.
Quattro milioni di voti perduti in dodici mesi, la perdita massiccia di comuni e province, la penetrazione leghista nelle regioni rosse, con il 40 per cento degli operai (secondo un’inchiesta di Mario Agostinelli pubblicata ieri su Terra) che hanno votato per il partito di Bossi: mi pare un bilancio grave e, soprattutto, mi pare che, purtroppo, la tendenza che si delinea sia ancora più grave.
Prima di ogni altra considerazione, il Pd ha fallito nel suo compito di base: contrastare davvero, fermare, arginare, l’avanzata della destra, la sua egemonia “valoriale”, la sua conquista di un consenso largamente popolare.
Dunque, come diceva Giorgio Amendola quando nel 1964 propose un partito unico della sinistra, i fallimenti sono due: ieri, quello del Pci e quello della socialdemocrazia, oggi. A partire da questa necessaria presa d’atto, si può ricominciare a pensare al futuro - e far tesoro anche di altre lezioni del passato.
Penso, ancora a Luigi Longo, che nel ’45 propose l’unità organica di comunisti e socialisti o, in una stagione un po’ più recente, all’unità sindacale organica realizzata negli anni 70 dai consigli di fabbrica: idee e pratiche che sono state sconfitte o non hanno avuto corso, certo, ma che hanno rappresentato qualcosa che andava oltre la potenzialità.
Penso all’Epinay di Francois Mitterrand: non è oggi un'esperienza riproponibile, ma ha pur consentito ai socialisti francesi un lungo ciclo politico. Penso, insomma, ad un cimento difficile, difficilissimo, ma non impossibile. Un percorso al termine del quale può nascere un Partito fondato su un obiettivo e una discriminante chiare: la rappresentanza del mondo del lavoro. Dentro un partito di tale natura, che abbia archiviato l'impianto interclassista e la subalternità ai potentati economici, quella che fu la sinistra radicale potrebbe continuare a svolgere il suo ruolo “naturale”: l’anticapitalismo. Si può fare? Abbiamo forse un po’ più di trenta mesi, per provarci. Per scuotere gli alberi che compongono la sempre più ridotta foresta della sinistra. A chi ci rivolgiamo? Come disse Vladimir Illich Lenin: A tutti! A tutti!
Fausto Bertinotti
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