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Autopsia di una campagna elettoraleCondividi
Oggi alle 1.53
Adesso si può anche tirare il fiato. Stendere il cadavere sul tavolo settorio, mettersi una strisciata di canfora sotto il naso, incidere dallo sterno fino all’inguine e dare un’occhiata dentro per verificare quali organi non hanno funzionato a dovere.
La mia campagna elettorale è morta, e devo dire che è anche morta male, portando a casa solo 4.241 preferenze (4.209 in Italia, 32 dall’estero). Con i parametri consumistici in voga tra gli specialisti della comunicazione politica, prendere 4241 voti significa o contare poco, oppure avere fatto una campagna poco «virale», cioè avere colpito poco l’attenzione.
Eppure – guardo il mio cadavere – i polmoni sono rosei, il fegato è a posto, solo un poco ingrossato, il pancreas bianco e rosa, lo stomaco bello integro. Tutto funzionava. Però non sono stato «virale». Dottore, sarà mica la tiroide? No, il fatto è che quei 4241 voti li ho portati a casa di persona, parlando con persone fisiche, non con oggetti di marketing idealizzati. Guardo i risultati disaggregati e vedo che in tutti i posti dove sono stato di persona c’è stata risposta. Sanremo 100 voti tondi, Ospedaletti (Imperia) 19 voti, subito dietro al capolista Cofferati (con 62), poi Imperia, con 55 voti; e Bergamo, Brescia, Lecco, Olgiate Comasco, Como, Erba, Genova, Torino, Biella, Cossato, Torino (più di 200), Genova (idem), poi Cremona, Cesano Boscone, Desio e tanti altri posti dove ho parlato, stretto mani, ascoltato.
Ho speso poco per il materiale, perché lo davo a mano: 20.000 brochures che mi sono costate 1.000 €. Un bellissimo logo, fatto da un amico, Matteo Ceschi, un sito professionale, praticamente regalato da un altro amico, un compagno di liceo, basato sulla piattaforma open source wordpress. Il resto benzina, treni, pedaggi autostradali, alberghi ma, più spesso, viaggi notturni. 2.000 € in tutto. E dal niente ho tirato su più di 4.000 voti, guardati negli occhi uno a uno, con l’aiuto di due giovani aiutanti/assistenti che mi hanno trasmesso consigli e passione: Davide Magaton e Francesca Nieto.
Ho perso, ma perdere così riempie di orgoglio.
No, cari amici e compagni, non ho sbagliato nulla; ho offerto la mia professionalità e le mie conoscenze ben sapendo che non avevo 100.000 € da sputtanare o da far spendere a qualcuno e l’ho fatto col cuore; ho riunito un comitato di garanzia della candidatura composto da Barbara Spinelli, Giovanni Bachelet, Nando Dalla Chiesa, Alessandro Cavalli, Luigi Pedrazzi, Alberto Martinelli e altri, per qualificare un atto – la candidatura – che ritengo sia sempre prezioso per la collettività, soprattutto nel contesto europeo; ho messo in rete, da subito, la mia situazione patrimoniale di ricercatore universitario perché sono convinto che così si debba fare quando ci si presenta per pubblici uffici.
Eppure, continuano i ben informati professionisti della politica, hai preso pochi voti, quindi hai sbagliato. Certo, ho sbagliato a non incazzarmi abbastanza quando vedevo che in televisione andavano sempre i soliti faccioni noti; ho sbagliato quando ho fatto incontri con altri candidati e non sono stato in grado di trascinare il discorso sui temi europei, lasciando che andassero per la noiosa consueta tangente nazionale o verso la bolsa retorica europeista; ho colpevolmente sbagliato a non stampare 30.000 manifesti che sarebbero andati in gran parte al macero. Ma, mi chiedo: è questa la politica da fare per le europee? Quando ho confidato a Barbara Spinelli la mia intenzione di candidarmi, lei mi ha ammonito: «non limitarti a intervistare la realtà, ma poni le vere questioni». Le vere questioni per me sono il problema di un governo europeo dell’economia (che non c’è); di una dimensione politica democratica europea con partiti politici europei (che non lavorano come dovrebbero) impegnati ad alimentare un dibattito pubblico; di una disattenzione cronica dei mezzi di informazione, spinti a questo dal mondo politico nazionale, a non considerare l’arena europea come un campo decisivo per il futuro degli stati membri e dei loro problemi. Problemi nazionali non ne esistono più, bensì esistono aspetti nazionali di problemi europei. Ambiente, welfare, crisi economica, politica estera, sono problematiche che nessuno può sperare di risolvere nel contesto nazionale.
Le vere questioni che suggeriva Barbara sono, per me, queste. Altro il problema di come diffonderle e sostenerle. La voce ce l’ho, e anche bella alta. La forza fisica non mi manca. Ma ho bisogno di un partito che mi aiuti e condivida queste questioni, altrimenti tutto si riduce a una candidatura che regala 4.241 voti (molti mi scrivono di avere votato PD solo per la persona) e che si spegne come una candela. Un partito che prenda atto che le persone che provengono dall’apparato e da incarichi di governo, locale o nazionale, sono certamente valide, ma che dall’esterno si richiedono novità, idee, provocazioni nuove, riflessioni stimolanti.
In questo senso, vedo una voragine nel cadavere: la mancanza della coscienza di questo nel momento in cui mi sono candidato; o meglio, l’illusione di trovare tale appoggio e la lenta progressiva consunzione di tale illusione.
Ma poco male, ritorno a fare ciò che so far meglio: l’intellettuale ‘disorganico’ e riacquisto la mia libertà di giudizio e di azione. Ho avuto la fortuna di incontrare persone spietatamente dolci e appassionate come Ivan Scalfarotto, e professionali e aperte come Milena D’Imperio: questo è già un just reward. I vincitori sono delle degnissime persone, preparate e solerti; mi piace molto Francesca Balzani per la sua professionalità e serietà; se solo avrà la voglia e l’occasione di portare avanti la questione, posta da me, della strutturazione di una fiscalità europea con arretramento della potestà impositiva dello Stato, avrà tutto il mio appoggio. Mi piace Gianluca Susta, che ha il piglio dei migliori cristiano-sociali della storia del cattolicesimo civile. Ma come studioso e come storico sarò per loro il proverbiale gattino attaccato ai testicoli: in Europa ci si va per restare e non per mollare dopo un poco perché chiamati a fare altro; non più utile, solo più conveniente. E io mi prenderò la libertà di sottolineare questa ovvia verità. L’Unione se lo merita e, permettetemi, se lo meritano anche i miei 4.241 elettori che ci hanno creduto.
Piero Graglia
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