RADICALI e SINISTRA.
Scrivo queste note a seguito del commento dell’amico Francesco Antoni (che qui riporto) all’intervento, “Dopo il voto europeo: il cavalier-menzogna non è imbattibile”, e che è apparso su “Spazio Lib-Lab” alla pagina: http://www.spazioliblab/?p=1511.
Commenta Francesco Antoni:
“A mio parere a questo punto non trovare un accordo con i radicali sarebbe da irresponsabili (anche per i radicali).
Vorrei rassicurare che le posizioni liberiste dei radicali - a parte posizioni di singoli - ormai non sono estreme.
Mi auguro che alcuni dirigenti di S&L partecipino quindi al congresso radicale di Chianciano. Il principio federativo sarà sicuramente ben accetto”.
Non riesco a capire il senso di una discussione incentrata tutta sull’esser pro o contro i radicali, ma ritengo utile chiarire alcuni punti, per la reciproca comprensione. In definitiva, tutti sappiamo che i radicali, comunque, dovunque, e sempre, faranno di testa loro. Non è, in via di principio, una caratteristica disprezzabile; ma è un fatto che sicuramente pone dei problemi.
Avevo ritenuto, con altri amici, che la scelta ottimale per S&L sarebbe stata quella di averli come alleati; non entro ora nel merito del perché ciò non si sia realizzato; ma è stato uno sbaglio l’aver rincarato la dose con un veto che non aveva ragione di esistere, avendo loro già deciso di non venire con S&L. Il che ha avuto il sapore di una preclusione ideologica del tutto gratuita. Se la responsabilità della mancata intesa fosse stata solo radicale, questo avrebbe fatto venir meno uno degli argomenti utilizzati da Pannella nei confronti di Sinistra e Libertà. E mi pare evidente (vedi gli andamenti del voto nel NordOvest e nelle grandi città) che radicali e Sinistra e Libertà abbiano largamente attinto dallo stesso pozzo.
Detto questo, non possono esser taciute le questioni di fronte alle quali si troverebbe di fronte una “nuova sinistra” per effetto di una eventuale presenza radicale in essa, e che non consistono solo nel modo di far politica. Chi, alla fine della prossima settimana, vorrà andare a Chianciano, farebbe bene a considerarle.
Intanto, il tema dell’iniziativa: “la lotta contro 60 anni di regime partitocratico”.
Questo è stato il tema della campagna elettorale radicale. Attenzione ai numeri, che non sono casuali: 60 anni vuol dire a partire dall’entrata in vigore della Costituzione, cioè dalle prime elezioni politiche ( quelle del “vi ricordate quel 18 Aprile, d’aver votato democristiani?”). Sembra di capire che Pannella fissi a quel 18 Aprile la data di inizio del regime partitocratico.
Il che è profondamente scorretto, da un punto di vista storico e politico. Ciò significa non considerare le condizioni nelle quali si avviò la giovane democrazia, ed il tono ed il livello del dibattito politico dei primi 30 anni di vita democratica. Anche gli eredi di coloro che non condivisero o dovettero subire l’evolversi verso la forma del bipartitismo imperfetto, devono riconoscere questo fatto. Quegli anni hanno visto arrivare la CECA, il Trattato di Roma, le leggi sul divorzio, sull’aborto, il diritto di famiglia, lo statuto dei lavoratori, la legge Merlin e la soppressione dei manicomi, la sconfitta del golpismo nero e dei terrorismi nero e rosso. L’Italia si è data, forse a fatica, norme più degne di un Paese civile. In definitiva, non vi è stato soltanto regime partitocratico e vuota occupazione del potere. E questo, i radicali per primi dovrebbero saperlo benissimo.
Nella sua innata propensione per lo stupire, Pannella fa di tutte le erbe un fascio, mette tutti sullo stesso piano, conservatori e progressisti, ed eleva solo la pattuglia radicale al di sopra della palude:
E’ un’interpretazione del tutto legittima; ma non può essere questo il punto di avvio di una nuova sinistra. Per la semplice ragione che questa interpretazione non considera una questione essenziale, che i radicali hanno invece molto spesso considerato irrilevante: che accomunare, ieri come oggi, tutti quanti nel calderone della partitocrazia, significa non voler distinguere tra chi propendeva alla conservazione, e chi alla trasformazione della società.
La Storia dell’Italia Repubblicana viene così letta come il racconto delle vicende e degli ostracismi che hanno riguardato la schiera radicale. Che, riguardo a questa Storia, ha ragioni e meriti indubbi (non pochi), e però anche qualche demerito.
Quale la copertura data ad un berlusconismo vincente ma ancora contenibile e non dilagante, fornendogli quella legittimazione liberale che non ha mai meritato, ma della quale aveva bisogno. E Pannella era ed è persona sufficientemente accorta per conoscere perfettamente quanto tale legittimazione fosse fondata sul nulla.
Oppure, quale la scelta pro-PD per le elezioni politiche di un anno fa, accettando il massimo della cooptazione partitocratica. E, se il patto simoniaco (così fu descritto quell’accordo dallo stesso interessato) è peccato veniale per i radicali, perché dovrebbe esser reato per gli altri?
In altre parole, se vogliamo leggere la storia di questo Paese in termini liberali, dobbiamo leggerla per quel che sono i fatti, al di là delle intenzioni e delle giustificazioni. Non è immaginabile il poter costruire una nuova sinistra partendo dal presupposto che vi sia chi non ha mai sbagliato, che accetta nella sua casa i vari figlioli prodighi, e partendo dal presupposto che tutti, destra e sinistra, siano la stessa cosa ed abbiano parimenti sbagliato.
Non penso, così, che questo sia un buon punto di partenza per avviare un processo unitario: detto brutalmente, credo che agli italiani non importi nulla dei 60 anni di regime partitocratico, se visti in quei termini, e che interessi invece la valutazione di questioni di principio dalle quali derivano conseguenze e scelte ben più concrete.
Venendo alle quali, occorre sottolineare due punti.
Il primo: la concezione del funzionamento del sistema democratico che ci viene proposta dai radicali è, a mio parere, incomprensibile se vista nella realtà italiana. L’insistere sul voler applicare forme politiche di stampo anglosassone -di mondi, cioè, nei quali la tradizione parlamentare ha molti secoli di vita, oltre due ne ha la democrazia americana, impiantata sul modello parlamentare britannico, e comunque l’esercizio della vita democratica in quei Paesi ha il sostegno di ben altre concezioni sulle libertà civili, sull’autonomia dei poteri, sull’indipendenza della società civile dal potere politico,sulla libertà di stampa e di informazione- nella realtà italiana, appare un esercizio accademico destinato, questo sì, ad una certa ed istituzionalmente formalizzata involuzione partitocratica. Perché, in assenza di quelle virtù civili di cui si è appena detto, è chiaro che l’uno o l’altro dei due partiti al potere ricorrerebbe a qualsiasi mezzo per restarvi.
Il secondo: la pregiudiziale liberista. Non ci si può definire liberisti come necessaria conseguenza dell’esser liberali. Ci si può definire liberali e liberisti; ma questa è una scelta ideologica, legittima, ma della quale occorre esser consapevoli, che comporta da un lato l’adozione di una visione particolare del concetto di mercato, e dall’altro, l’espansione del concetto di mercato a regola sociale.
Occorre che vi sia consapevolezza sulla non inutilità di chiarire questi aspetti, perché possa aversi un rapporto utile e non fondato sull’equivoco o sulla convenienza temporanea, e perché possa, nel caso, stabilirsi una più vasta aggregazione a sinistra.
Gim Cassano (20-06-2009)
1 commento:
Belli entrambi gli interventi di Gim Cassano, soprattutto quello su
radicali e sinistra.
Io trovo in questo momento un po' affrettato e fuori tempo porre problemi
di architetture politiche complesse.
SeL si formi e trovi la sua identità. Questo deve passare da una fase di
azzeramento dei vertici dei partiti costituenti e di ricostruzione dal
basso, con tesseramento e quel che ne consegue. Visti i numeri in gioco
non dovrebbe essere difficile.
Bisognerebbe procedere con regole etiche ferree, a cominciare
dall'incompatibilità di cariche amministrative e cariche di partito.
Bisognerebbe anche avere un'idea di quanti siano stati i consensi ad SeL
provenienti da elettorato non inquadrato nei partiti componenti, e
prendere atto del fatto che se questa fascia di elettorato è il serbatoio
che più
promette di espandersi, allora deve avere anche spazio nei vertici.
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