giovedì 16 aprile 2009

Gianluca Scroccu: il referendum Segni-Guzzetta

Dal sito www.democraziaoggi.it

Il referendum Segni-Guzzetta, “De profundis” per la democrazia costituzionale italiana

Il De Profundis della nostra Costituzione sta subendo in questi giorni una drammatica accelerazione. La terribile tragedia dell’Abruzzo è diventata infatti l’occasione per rilanciare il nefasto referendum Segni-Guzzetta: da più parti è stata infatti sposata la tesi che l’accorpamento con le elezioni europee rappresenterebbe un’occasione di risparmio fondamentale per aiutare i nostri sfortunati connazionali. Ma è giusto sacrificare i fondamenti del nostro Stato Democratico solo per una questione economica sfruttando un evento così terribile? A parte il fatto che una somma molto più ingente potrebbe venire, ad esempio, dalla decurtazione sino al 50% degli emolumenti dei parlamentari, dei consiglieri regionali sino ai manager pubblici (assolutamente ingiustificati anche, ma non solo, per lo svuotamento delle assemblee elettive determinate dal presidenzialismo, oltre che dalla scomparsa dei partiti di massa, come si diceva anche ai tempi della retorica sulla “Casta” che, guarda un po’, si è dissolta una volta caduto Prodi), resta da chiedersi se si siano veramente valutati gli effetti di questo referendum. Berlusconi, che già oggi, pur non avendo raggiunto il 50% dei voti, ha più della metà dei parlamentari in ogni Camera, potrebbe così “sbancare” ottenendo il 50% dei deputati con appena il 35-37% dei voti. Insomma, un bel regalo di 15 punti percentuali! Potrebbe governare in solitaria da “dominus” assoluto del partito a lui asservito (il PDL, quello dove lui nomina i coordinatori regionali e dove è difficile immaginare un congresso dove si presenti un candidato alla segreteria o alla presidenza a lui alternativo), liberandosi della variabile Lega, fondamentale per vincere nel 2008 e che al Nord sta conquistando molti dei suoi elettori. Già, il partito di Bossi, l’unico soggetto politico, ad esempio, che potrebbe mettere in crisi l’attuale premier per il fatto di avere una base elettorale, costituita da molti operai, impiegati, piccoli artigiani e pensionati, che rischia di subire in prima persona i colpi della grave crisi economica. Come si è visto, Berlusconi per ora non se l’è sentita di rompere con Bossi e ne ha assecondato la richiesta di non accorpamento, ma certo non rinuncia a giocare il tutto e per tutto in vista dell’instaurazione di un vero sistema a partito unico di stampo putiniano. Se ci riuscisse, il Cavaliere potrebbe di fatto legiferare secondo i suoi voleri con una forza ben più significativa di quella che già oggi gli assegna un potere spropositato rispetto ai risultati elettorali del maggio 2008. Verrebbe meno ogni controllo e lo strapotere della sua maggioranza, supportato dal monopolio televisivo, non incontrerebbe più ostacoli. È un vero peccato che l’opposizione si dichiari pronta ad appoggiare l’accorpamento, pensando di ovviare alla propria crisi auspicando la soluzione salvifica delle riforme elettorali da ottenere tramite una consultazione referendaria. Gli obiettivi che si pongono i referendari, sulla carta, sono quelli di superare la frammentarietà del sistema politico, rafforzando la governabilità. In realtà, se passerà questo referendum (che prevede anche la cancellazione dell’opzione delle candidature multiple della Camera), di fatto verrà abolito il concetto di “coalizione” in quanto si avrà un premio di maggioranza per il partito che prende più voti, garantendo un semplice diritto di tribuna ai partiti capaci di superare una soglia di sbarramento variabile dal 4% alla Camera all’8% al Senato. Con questa legge, un partito che raggiungesse l’11% mentre tutti gli altri si fermassero al 10, avrebbe il premio di maggioranza; un esito ancora peggiore della legge Acerbo del novembre del 1923 voluta da Mussolini. Peraltro tutti gli aspetti più deteriori della legge Calderoli rimarrebbero inalterati, a partire dalle liste bloccate dei candidati scelti solo ed esclusivamente dalle segreterie dei partiti o il premio al Senato attribuito regione per regione (tutti aspetti che sono stati ben celati dalla propaganda referendaria). Né si verificherebbe la tanto propagandata semplificazione del quadro politico, visto che i partiti potrebbero entrare nei listoni “salsiccia” per poi formare gruppi indipendenti una volta arrivati a Montecitorio. Insomma, il porcellum di Calderoli nella sostanza rimane intatto in molte delle sue caratteristiche, mentre sono state tacitate le voci che propendevano per scelte valide e realmente alternative come il modello tedesco, il quale offre garanzie di stabilità, bilanciamento fra maggioranza e opposizione e pluralità, oltre che una buona alternanza tra gli esecutivi (dalla fine del secondo conflitto mondiale in Germania i governi di coalizione si sono formati solo due volte e sempre a guida centrista, con Kurt Kiesinger nel triennio 1966-69 e Angela Merkel dal 2005 ad oggi).
In un bel saggio dello storico inglese Mark Gilbert, “Il governo e la politica dell'Italia Repubblicana” (contenuto in L'Italia Repubblicana vista da fuori. 1945-2000, a cura di Stuart Woolf, il Mulino 2007), si cita molto opportunamente lo studio del professore dell'Università di Oxford David Hine (Governing Italy. The Politics of Bargained Pluralism, Oxford University Press 1993) nel quale lo studioso britannico metteva in evidenza, già allora, alcune delle potenzialità negative del maggioritario introdotto nel sistema politico italiano sedici anni fa e che il referendum Segni-Guzzetta renderebbe ancora più evidenti aumentando le spinte oligarchiche e verticistiche.
Ma tutto questo non è che il frutto della crisi della coscienza pubblica italiana che nasce a sua volta da una visione riduttiva e tutta particolaristica della vita politica, secondo la quale i problemi sarebbero da individuare in fragili contenitori istituzionali e non nell'assoluta mancanza di contenuti della politica. Qualsiasi riforma istituzionale si rivela inefficace nel lungo periodo (vedi maggioritario introdotto nel 1993) se i partiti non si rigenerano e risanano moralmente, tornando a studiare con passione disinteressata i problemi della società e a promuovere la maturazione della cittadinanza. Intuendo intelligentemente questa crisi della politica basata sui partiti, Berlusconi ha impostato la sua battaglia vincente, arrivando al rafforzamento de facto dei poteri esecutivi e alla semplificazione esasperata del quadro politico che hanno portato all’indebolimento dei meccanismi di controllo e bilanciamento democratico garantiti dalla Costituzione.
Spiace che tutto questo si sia giocato sulla pelle dei nostri connazionali abruzzesi e della loro immane sofferenza: ma, a ben vedere, in questa democrazia che vive uno sfaldamento sempre più profondo non poteva che essere così.

Gianluca Scroccu

1 commento:

claudio ha detto...

a proposito dei referendari e di D'Alema, che è per votare si, vale la
regola di Carlo M. Cipolla per classificare gli stupidi: i più pericolosi
sono quelli che fanno danno agli altri procurandolo anche a sè stessi.