da Micromega
Il "Corriere" di De Bortoli: speranze e timori
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Ferruccio De Bortoli è un giornalista. Uno dei pochi, in un paese di migliaia di tesserati dell’Ordine (ente inutile e corporativo). Ed è una persona perbene. Torna al “suo” Corriere, dopo un’assenza seguita a un desideratum espresso dall’allora e tuttora presidente del Consiglio. Nell’interregno, dopo la breve direzione Folli, alla tolda di comando ritornò Mieli: di cui De Bortoli oggi non esita a dichiararsi, nel messaggio alla redazione del 7 aprile, “allievo”. Contento lui. Mieli, colui che ha insegnato che non conta il fatto, ma la notizia. Al di là di tutto il resto, può essere maestro di giornalismo chi la pensa così? Eppure Mieli è un intellettuale, un accademico mancato, per scelta, non certo per mancanza di requisiti: il professore universitario ha uno status, un potere e un reddito, n-volte inferiore a quello di un giornalista, figurarsi di un giornalista in carriera come lui, già discepolo di Renzo De Felice, è stato fin da subito. E Mieli, nella sua ultima gestione, ha fatto del Corriere un luogo che pare lontanissimo da quello irenico descritto da De Bortoli: questi ne ha parlato come di un “simbolo della civiltà laica”. Ebbene, mai come negli ultimi anni il quotidiano di via Solferino ha clamorosamente, mestissimamente, abdicato a quella bandiera, che è bandiera connaturata all’etica liberale, di cui tanto Mieli, quanto De Bortoli si dichiarano fervidi seguaci. Un giornale che ha fatto ascendere l’astro di Magdi (“Cristiano”) Allam – giunto al ruolo di vicedirettore ad personam –, può dirsi laico e liberale?
De Bortoli parla di continuità: ebbene o si tratta di frasi di circostanza, oppure mi dichiaro fermamente deluso. Il Corriere è diventato negli ultimi anni una sentina di pessimo giornalismo (chiacchiericcio, pettegolezzo, e vera e propria paccottiglia che se fosse televisiva finirebbe su “Blob”), ma contemporaneamente è stato una trincea in cui la civiltà liberale, razionalistica, laica e tollerante (tutti princìpi implicitamente o esplicitamente evocati dal neodirettore designato) ha fatto seppuku: si è lasciata travolgere da intolleranza, faziosità, clericalismo, e persino papismo. Senza contare che anche il giornalismo d’inchiesta di cui non di rado il giornale è stato protagonista storico, ha tralignato: e i Gian Antonio Stella (con tutti i meriti che vanno riconosciuti a cronisti siffatti) si sono impancati, tra qualunquismo e populismo, a opinion leaders, andando spesso fuori del seminato, tradendo le buone intenzioni alla luce di indagini spesso frettolose, o semplicemente trinciando giudizi (un’occupazione essenziale tra gli opinionisti che non ritengono di dover argomentare né dimostrare quello che sentenziano sulla prima, da Sartori a Pigi Battista, da Galli della Loggia a Panebianco...).
E che dire delle pagine culturali? Dove imperano mediocri che hanno fatto dell’uso politico della storia, in senso iper-revisionistico, e sovente decisamente “rovescistico”, la loro casamatta. Con una vera ossessione anticomunista, che colpisce una tradizione che da Gramsci va a Togliatti, et ultra (magari al primo qualcosa si può perdonare in quanto ucciso dal fascismo, e magari si accredita oggi, come trent’anni fa e come cinquant’anni fa, una fantomatica “conversione” a Santa Romana Chiesa): il secondo no, il secondo è l’origine di quasi tutti i mali della storia presente, vicini e lontani. E al Corriere non par vero, da anni, anche al Corriere pre-Mieli, tirare ogni settimana qualche scheletro fuori dell’armadio del comunismo e sbatterlo in pasto ai suoi avidi lettori (avidi, ma davvero così interessati?): e se poi lo scheletro si scopre essere di cartapesta, poco importa. La notizia è passata. Lo “scoop”, del resto, mica dev’esser “vero”. Deve essere efficace. Verosimile. Anche se fondato su falsi documenti, su notizie incontrollate, su dicerie, e argomentato con vistosi pregiudizi.
Certo, De Bortoli parla di dialogo, di pluralismo, di confronto: e allora i Galasso o i Canfora (a cui del resto si concede ben poco spazio, mentre un Luzzatto pare essere già stato messo alla porta), dovrebbero dimostrare quell’assunto, ma sommersi come sono nel resto, ben poco possono “equilibrare”. E, in ogni caso, la storia (mi limito al mio campo di competenza specifica) non ha bisogno di opinioni. La storia è una disciplina “scientifica”, anche quando la si pratica sui giornali.
De Bortoli è abbastanza onesto da accennare all’importanza di “riconoscere i nostri errori”: bene. Lo faccia il suo Corriere, ogni volta che occorre. E noi torneremo a comprarlo e leggerlo ogni sana mattina in cui il sole sorge: anche un pallido e avaro sole, misto alla polvere di quel cemento disarmato, che ha così aspramente provato la cara terra d’Abruzzo.
5 commenti:
Le osservazioni di D'Orsi sul Corrierone mi paiono largamente condivisibili.
Salvo l'accusa di prendersela troppo con la tradizione comunista, fino a
"Togliatti et ultra". In questo non vedo francamente nulla di male, avendo
maturato la convinzione che effettivamente, se non di "quasi tutti i mali
della storia presente", la grande scuola del Pci sia la matrice dalla quale
deriva l'attuale approdo della sinistra, nella sua parte maggioritaria, al
nullismo opportunistico (PD) e, nella sua parte minoritaria, alla dimensione
mitologico-testimoniale (RC e affini). E, di riflesso, poiché un certo tipo
di sinistra fatalmente trova la destra che si merita, penso che non sia
neppure sbagliato individuare nelle tare storiche della componente che per
50 anni fu egemone nella sinistra italiana una delle ragioni principali per
cui a destra non sono prevalsi dei decorosi conservatori ma il cav.
Berlusconi ... Ma questo sarebbe un discorso lungo.
Per fortuna, poi, a D'Orsi è sfuggito che de Bortoli è un sincero amico di
Israele. Altrimenti, essendo egli animato da una "vera ossessione"
anti-israeliana, chissà cosa ne avrebbe scritto ...
Luciano Belli Paci
Il “nuovo” direttore del Corriere della Sera, Ferruccio De Bortoli, a parte un riferimento ai suoi più immediati precursori Stefano Folli e Paolo Mieli di cui si considera tutt’ora allievo oltre che amico, ha citato, in occasione del suo presentarsi alla Redazione in veste ancora di Direttore designato, un unico altro direttore del Corriere, Piero Ostellino, ed anche se lo ha fatto per replicarne una battuta, quella per cui il Corriere della Sera sarebbe “un club a cui ci si iscrive per sempre”, confesso che per la stima che nutro per De Bortoli, avrei preferito che volendo parlare di Direttori del passato, citasse il Mario Borsa che lo ha fatto rinascere il giorno dopo la Liberazione, oppure l’Alberto Cavallari che lo ha fatto rinascere sottraendolo all’abbraccio mortale della P2.
Quanto al “club a cui ci si iscrive per sempre”, per validarne il detto, forse sarebbe il caso di restituire ai lettori del Corriere memoria dell’iscritto Giulio Alonzi, non fosse altro, per togliersi la soddisfazione di smentire così quell’“untore” di Corrado Stajano, altro iscritto al “club”, dal quale lo stesso Stajano ricorda di essersi dimesso il 6 giugno 2003…..
“quando, dopo indecenti pressioni del governo Berlusconi - sulla giustizia e sulla finanza - il direttore Ferruccio de Bortoli fu cacciato dalla Proprietà. Per anni aveva tutelato, senza un solo intervento censorio, la mia rubrica dissonante dal resto del giornale "Storie italiane" e fatto fronte alle proteste di uomini di alto livello della maggioranza governativa anche nei miei confronti. La mia lettera all'"Unità" dell'8 giugno 2003 ("Mi dimetto per protesta. Contro l'arroganza del governo e dei sui ministri, contro una Proprietà subalterna, contro le interferenze difficili da negare, piovute dall'alto ai danni di un possibile libero giornalismo. In un momento così grave per la Repubblica in cui non è certo il caso di fare gli struzzi ...") è stata pubblicata quasi integralmente da Peter Gomez e Marco Travaglio, nel loro libro appena uscito da Rizzoli Regime. Il Comitato di redazione di via Solferino non mi ha inviato neppure due righe di saluto. Sul "Corriere" ho scritto per sedici anni, 650 articoli.” * tratto dalla rivista on line Golem L’Indispensabile
È vero che la lettera dell’8 giugno 2003 Stajano la scrisse ad un concorrente, l’Unità che era ancora di Furio Colombo, ma credo che all’epoca, anche volendo smentire l’incipit di Stajano …..
“…la parola d’ordine nelle stanze alte del «Corriere» è sopire, troncare, minimizzare, allontanare il fuoco dalla paglia…..”
…..fra adulti, un saluto poteva starci.
Ma torno al “nuovo” Direttore, che si è congedato dai lettori de “Il Sole 24 Ore”, con un editoriale pregno dello stile che ne è la cifra inconfondibile ma anche denso di contenuti, su cui fra tutti (a mio parere ovviamente) spiccano quelli condensati in due frasi, una che coglie l’esistenza di un….
“… Paese che non si arrende al pessimismo, che coltiva con orgoglio le proprie qualità…”
…. e l’altra vergata appunto per….
“descrivere quanto sia radicata e avvolgente la spirale della criminalità organizzata che soffoca le imprese e i cittadini onesti”.
Forse De Bortoli qui poteva invertire l’ordine dei “fattori citati” e scrivere di una “criminalità organizzata che soffoca i cittadini onesti e le imprese ”, ma era pur sempre il saluto del Direttore del quotidiano della Confindustria, e sappiamo che da quelle parti prima vengono le imprese, poi i “pro pro, produttori e professionisti” e solo per ultimi i cittadini, anche se da tempo molti sono passati, per dirla con Trentin, da “sfruttati” appunto a “produttori”.
Oggi De Bortoli ritornando a firmare il Corriere si rivolge ai lettori e si riferisce al “suo Corriere” come caratterizzato dall’essere “moderato”, per sua stessa natura.
Per quanto possa valere, il mio auguro è che il Corriere di De Bortoli sia anche “radicale” nel rispetto dei principi da Lui così bene esposti nel suo presentarsi.
È un augurio interessato il mio, perché tornando alle frasi di De Bortoli che ho citato prima, la sua chiarissima affermazione circa il paese che non si arrende al “pessimismo”, significa riconoscerne l’esistenza, di un pessimismo che è oggi una presenza tanto indesiderabile quanto reale, così come è una presenza reale quella “criminalità organizzata” che da molto, troppo tempo, è arrivata a insediarsi a tutte le latitudini d’Italia, intanto che in troppi la “cantano” come Kavafis canta i “barbari” …..quelli di cui si parla ma che non arrivano.
Vittorio Melandri
Cortese Direttore De Bortoli,
ieri le ho manifestato i sensi della mia stima e i miei auguri (per quel che possono valere, ovviamente), oggi le manifesto i sensi del mio scoramento, poi mi taccio e non la disturbo più.
Che brutto, mesto, tristo inizio, il suo Corriere.
Il solo critico televisivo rimasto in Italia, sotto il titolo “abuso di libertà” sentenzia che i “morti e la commozione”, quelli onorati da “funerali di Stato ….Vaticano”, dovrebbero frenare anche il Santoro che fa il Santoro, e si dimentica che niente e nessuno frenano il Grasso che fa il Grasso.
Il dott. Battista-Hide, cioè il Battista-Jekyll che ho conosciuto sulle pagine di “Pagina” di Aldo Canale, continua di fatto la sua marcia culturale sui sentieri “creazionisti”.
Il dott. Sottile-Amato, quello che recentemente ha gettato la maschera e ha rivelato i suoi “orgasmi” di giurista per un “provvisorio” che ha fatto diventare un famoso decreto “transitorio”, propone, niente meno che una “imposta” per la ricostruzione.
Il dott. Berlusconi sfida, si commuove, abbandona il protocollo, prega, appare in tutta la sua temerarietà …… e, citato niente meno che da Gian Antonio Stella, cioè accreditato dal miglior fustigatore della “casta” …… “ha già speso la sua parola (per) il premier, è (sarà) la massima trasparenza”.
Abbinare anche solo per scherzo il termine “trasparenza” al nome “Berlusconi”, anche in Italia, dovrebbe essere davvero troppo.
La saluto cordialmente e più mestamente, vittorio melandri
Che dire? Mi apprestavo a congratularmi con l'autore dell'articolo e quando ho visto che era Angelo d'Orsi ho realizzato che ancora una volta lui aveva le mie stesse idee! Per me in questo momento De Bortoli (che mi ricorda parecchio Gardini)è il n'1 del giornalismo (e l'ho anche scritto in passato da qualche parte)in Italia. Ma io non sono nessuno e la mia opinione è più che opinabile...
Nikita.Russka
Con un pò di ritardo intervengo su De Bortoli, perché ho voluto metterlo
alla prova: negativo.
Semmai rimprovererei al Corriere il sabotaggio di ogni tentativo di
rinascita socialista: credo che prima della vicenda Stajno sia riuscito a
chiamare Sinistra e Libertà, in vario modo e senza dare un'informazione
completa sulle forze che la componevano.
Sulle battaglie liberali:
a) è stato zitto quando la Corte Costituzionale ha adombrato
l'incostituzionalità della legge elettorale vigente e quindi di quella
risultante dal referendum;
b) non si è scandalizzato quando la Magistratura ha statuito che non
c'è giurisdizione ordinaria o amministrativa sulla legge elettorale di
sospetta costituzionalità perché la competenza ad esaminare la censura è
delle Giunte delle elezioni delle Camere elette con la legge
incostituzionale;
c) è stato zitto di fronte allo scandalo sul finanziamento delle
elezioni europee.
Il migliore è Ostellino che in due casi (b e c) si è scandalizzato
privatamente nella corrispondenza a me indirizzata, ma non ha potuto
parlarne perché lui "commenta le notizie" e non le dà. Così se il suo
direttore impedisce che un fatto diventi una notizia, lui sta zitto.
Cordialmente.
Felice Besostri
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