Mariuccia Ciotta, ricordando Carla Casalini nella tristissima circostanza della sua scomparsa, su il manifesto del 7 novembre ad un certo punto scrive:
“Cari lettori voi non sapete quanto Carla fosse una combattente e come faceva irruzione nella sala del desk dove i caporedattori, come registi, organizzano la narrazione quotidiana del manifesto.”
Lì a fianco, una lettera di Fausto Bertinotti vergata sempre in ricordo della compagna Carla, contiene questo passaggio:
“Le abbiamo voluto bene in tanti eppure troppo poco glielo abbiamo dimostrato.”
Da lettore mi è facilissimo credere a quanto affermato da Ciotta, da lettore avverto molto bene che sono molte più le cose che non so, di quelle che i giornali riescono a farmi sapere, e quanto alla testimonianza di Bertinotti, in questo caso non esito a crederla in toto, i politici italiani sono tutti talmente “presi” di sé, che “umanamente” non possono avere il tempo per dimostrare niente di più; figuriamoci quella cosa così impegnativa che si chiama affetto per un altro essere umano in “carne ed ossa”, e non in “falce ed martello”.
Queste letture mi hanno rimandato ad una immagine che compare, sempre oggi 7 novembre su l’Unità, immagine con cui si dà conto della visita in redazione dell’ex direttore Massimo D’Alema. Vi si scorge fra gli altri anche l’ex direttore Furio Colombo, che quando fu costretto suo malgrado a passare la mano, il 23 febbraio del 2005, domandava a sé stesso e ai suoi lettori, “Perché - se il giornale continua per la sua strada - il suo direttore attuale lo deve lasciare?”, e non dava una risposta, perché diceva di non averla, salvo sottolineare il suo grazie ad Antonio Padellaro che, sempre stando a Colombo, “per il giornale e i suoi redattori, era indispensabile che restasse per continuare”.
Dal 23 agosto 2008, Antonio Padellaro non è più indispensabile all’Unità, nemmeno come editorialista, e Colombo sembra rimasto solo.
È banale osservare che noi lettori “non possiamo sapere” perché.
Ma, anche se è ingenuo affermarlo, sempre da lettore mi vien di testimoniare che in questo stato di fatto non si scorgono né poche né molte dimostrazioni di affetto, che (a sinistra più che altrove), fa male vedere spuntare come bucaneve solo quando i compagni muoiono, e magari (come è accaduto di recente con Vittorio Foa) per tirarli per la giacchetta in ognuno dei quattro cantoni dove i superstiti se ne stanno tiepidamente accucciati.
Vittorio Melandri
1 commento:
Chiosando in modo ancora più ingenuo le "ingenue" osservazioni di Vittorio Melandri, osservo che una delle cose per me più irritanti nel mondo dei media è che non c'è mai una testata, una redazione o un gruppo editoriale che quando si tratta di parlare di sè e di ciò che accade al proprio interno, abbia davvero il coraggio di riferire con un minimo di chiarezza quel che succede. Fanno (o dovrebbero fare) informazione, cioè informare i loro lettori di quello che accade nel mondo, ma se si tratta di parlare dei propri affari interni ecco che anche tra i giornalisti più coraggiosi, o tra le penne più acuminate, la logica diviene sempre quella del "non far sapere" (in nome del ben noto ed italicissimo principio secondo cui i "panni sporchi si lavano in famiglia").
Vuoi notizie su quel che succede al Manifesto, all'Unità, a Repubblica, al Corriere, o in qualunque altra testata? Non cercarle tra le pagine di quel giornale, perchè non le troverai se non in forma molto velata, allusiva e reticente.
So bene che tutto è ciò è probabilmente inevitabile ("that's the press, baby. The press!"). Ma è comunque triste, e anche un po' penoso. Soprattutto perchè rivela che, in Italia forse più ancora che altrove, il mondo dell'informazione, anche quella che si proclama indipendente e di Sinistra, tende sempre a considerare i propri lettori alla stregua di bambinetti, cui non si devono rivelare "le cose dei grandi".
A ben vedere è un sintomo poco edificante di scarsa onestà intellettuale.
Un saluto,
Francesco Somaini
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