venerdì 21 agosto 2009

Franco D'Alfonso: Oportet ut scandalia

Il Psi-Osiride non tornerà in vita
“Oportet ut scandalia eveniant”, se la vicenda della legge elettorale toscana potrà essere il punto d’inizio di un finalmente chiaro e lineare momento di confronto politico sulle prospettive dei socialisti, e non l’ennesimo episodio di un triste ed inarrestabile declino che dal trauma del biennio di Tangentopoli ha ossessionato i socialisti italiani.
Mai ci fu elaborazione del lutto politico (e purtroppo non solo politico) così lunga, mai si sono portati dietro equivoci e comportamenti tanto irrimediabilmente superati come tra i socialisti negli ultimi quindici anni: è tempo di mettere fine a tutto questo. Abbiamo tutti, chi più chi meno, inseguito troppo a lungo una sorta di mito di Osiride, ciascuno pensando di essere la sposa Iside con il compito irrinunciabile di ridare vita al Dio proditoriamente ucciso dal fratello malvagio Seth, rimettendo insieme i pezzi del corpo disseminati in tutto l’Egitto, al fine di far riprendere vita all’oggetto del proprio amore e poter generare il figlio Horus Amon, il Dio Sole (dell’Avvenire ..? ) continuatore della stirpe per l’eternità.
Per uscire da questo stato di delirio politico occorre prendere finalmente coscienza, in maniera esplicita, innanzitutto del fatto che la politica dell’“arco di sostegno lungo “ (da Tanassi a Lotta Continua, che il Psi di Craxi era in grado di praticare soprattutto nei momenti elettorali , quando si lambiva e si otteneva perfino un consenso di destra come adesione ad alcune, non tutte, delle idee e proposte messe in campo, e che era un esercizio difficile già allora, con un Psi-cerniera della struttura politica italiana con il 15% dei voti) è diventata impossibile sin dal 1994.
Rifiutando di prendere atto della realtà, si è pensato che il problema fosse reincollare i pezzi divisi del corpo del Psi–Osiride per poter tornare a praticare la vecchia religione con gli antichi riti, e non invece quello di innovare miti e credenze in funzione della mutata situazione. Fuor di metafora, si è, nei fatti, rimasti all’elaborazione politica e strategica di venti anni fa, agendo invece, e spesso malamente, sulla tattica. Formazioni politiche di dimensione ridotte devono necessariamente esprimere politiche “radicali” focalizzate e non “ecumeniche” . Si tratterebbe altrimenti di politiche anche elettoralmente inutili, in quanto è noto che i minori percepiti come non diversi dai maggiori non vengono certo premiati con il voto.
Quindici anni di scorciatoie fallite
Ignorare questa realtà ha portato i socialisti a credere che il problema fosse quello di trovare strade, possibilmente scorciatoie, per rimettere insieme una presenza che, di per sé, avrebbe ripreso vita (politica) e permesso di ritrovare le parole in una sorta di impossibile “heri dicebamus”. In questo modo, le ricollocazioni personali e di gruppo sono state concepite e praticate come puri espedienti elettorali al costo politico, ritenuto transitorio, di un oscuramento dell’immagine e della politica “socialista”: è stato così per i vari “Nuovo Psi” collocati nel centrodestra ed in Forza Italia; per quelli che sono confluiti nei vari Pds-Ds-Pd; e lo è stato per le diverse alleanze di marca Sdi, da Dini a Prodi a Pannella, fino alla recente Vendola-Fava-Nencini-Francescato. In tutti questi casi si è sacrificata o dimenticata la politica, si è sostanzialmente ceduto il passo senza combattere sul terreno dell’immagine agli alleati del momento, per ingaggiare invece feroci corpo a corpo su seggi e candidature destinati a dare linfa al “partito degli amministratori”, il solo ritenuto in grado di garantire continuità quanto meno al ceto politico residuale.
E’ sfiorita (anche) per questo motivo la “Rosa nel Pugno” , il tentativo potenzialmente migliore per dare vita ad una formazione di sinistra libertaria e riformista degli ultimi venti anni . Ed è fallita la Costituente Socialista, per la quale non si ebbe il coraggio di trarre le necessarie conseguenze di scelta autonomista, rompendo con l’agonizzante governo Prodi e facendosi dare l’insultante benservito da Veltroni, quando ormai era troppo tardi per dare vita ad un’iniziativa politica che avrebbe preoccupato molto un Pd già incamminato sulla strada di una crisi profonda e forse irreversibile. Si rischia di far fallire, se non porterà prima i libri in tribunale per altre ragioni, anche il tentativo di “Sinistra e Libertà” .
Il problema non è, o non è solamente, la coerenza di chi impegna una formazione politica dal nome glorioso in una campagna contro lo sbarramento e l’abolizione del voto di preferenza laddove si è assenti, per votare a favore dove invece si è presenti e perfino essere determinanti, come nel consiglio regionale toscano presieduto dal nostro segretario nazionale. Non credo però che la soluzione sia sparare sul quartier generale del partito: sarebbe solo un modo di aggiungere qualche calcinaccio alle macerie già esistenti. E’ invece il momento di prendere atto, in maniera conclusiva, che la discontinuità con il Psi si è realizzata, anche se nel peggiore dei modi possibile: non c’è e non ci sarà mai più un partito dei socialisti, di tutti i socialisti, che in versione larga o stretta che sia, riesca ad esprimere e sviluppare una strategia politica autonoma. Velleità e richiami al “vero socialismo”, che normalmente si traducono nell’ennesima proclamazione di rinascita di un nuovo Psi ( ne ho contati oltre venti , dal ’94 ad oggi, ma posso sbagliare per difetto) sono solo segnali di un infantilismo politico di ritorno.
Certo, esistono ancora adesso gli adoratori del Dio Amon Sole , che arzigogolano sui segreti della grande Piramide , ma è meglio che il paragone si fermi qua e con il paragone si concluda una vicenda che, in queste forme, rischia di essere nulla più che una farsa.
Le idee socialiste vivono. Ma dove ?
La conclusione della vicenda politica che si è riassunta nella storia del Psi, tutta, quella gloriosa e quella meno gloriosa, non significa certo la fine delle idee, della tradizione, della cultura politica socialista. Se i socialisti smetteranno di cercare di far rientrare il dentifricio nel tubetto dal quale è stato spremuto, potranno ancora dare un contributo fondamentale alla rinascita politica e morale di un’Italia che la “Seconda Repubblica”, fondata sulla morte e sull’oblìo delle culture politiche e morali che avevano fatto nascere la “Prima”, sta conducendo inesorabilmente verso il degrado ed il declino.
Le idee socialiste possono essere, legittimamente, ovunque, perfino nel centrodestra , dove del resto si trovano buona parte degli elettori tuttora viventi del Psi. In realtà, questa possibilità di vita di una cultura politica socialista fosse credibile nella versione del centrodestra 1994, quella del “Partito liberale di massa” di cui si sono perse le tracce. L’odierno Pdl ha assunto toni e funzioni di un partito conservatore con forti venature reazionarie, nel quale il riformismo di radice socialista può esprimersi nelle forme un po’ pittoresche e napoleoniche alla Brunetta, ma deve rientrare nel cantuccio appena si parla di questioni serie di potere, come quando si devono riciclare partite di bilancio per evitare che il trucco del “partito del Sud” degeneri. E non si risparmiano agli ex-“liberal” l’umiliazione di dover condurre, nel ruolo di neocredenti devoti, le battaglie oscurantiste ed antimoderne che servono per placare qualcuno Oltretevere, senza intaccare la popolarità dei leader del centrodestra che pensano a restare in sintonia con il 70% degli italiani , che non prendono sul serio i sanfedisti odierni.
Certamente le idee socialiste possono provare ad esistere dalle parti del Pd, come in molti aspirano a rendere possibile, magari in nome (addirittura !) del superamento della scissione di Livorno. Nella pratica c’è stato poco ristoro per i socialisti che hanno cercato albergo presso il Pd e le sue tappe intermedie, sia in termini di “posti” (solo sgabelli di seconda fila e, Del Turco docet, la scomunica e l’ingiuria pronta a calare inesorabilmente) sia, soprattutto, in termini politici: nel regno dell’indistinto e degli smemorati, voluto dal gruppo dirigente ex-Pci tuttora in servizio, sono possibili solo rappresentazioni di terz’ordine, come la “Cosa 2” di D’Alema o il Congresso della “svolta socialista” di Fassino, specchietti per allodole, ma non certo coerenti, difficili e duri confronti politici e progettuali, come quelli imposti a suo tempo dal Psi ad una sinistra italiana di ben diversa levatura e consistenza. Molti sono attualmente attirati dalle posizioni di Ignazio Marino al congresso Pd. E’ vero che la sua piattaforma politica per la segreteria Pd è un ottimo documento, contenente posizioni in materia di economia, diritti ed identità politica comuni a riformismo socialista, ma è altrettanto vero che la sensazione è quella di un’estraneità totale di Marino rispetto al Pd, sensazione rafforzata dal tratto di condiscendenza che gli apparati ex-democristiani ed ex-comunisti manifestano verso un personaggio considerato un po’ folcloristico ed un po’ l’ennesimo , inutile tentativo di “cavallo di Troia” di quel rompipalle di Marco Pannella.
Molti di più, sempre in termini relativi sono affezionati all’idea del “Partito dei Contadini” , quel partito di antica tradizione cui il Poup polacco permise di restare in vita assegnandogli un certo numero di seggi e sedi senza potere in cambio di una totale acquiescenza. Sono tanti i compagni socialisti formalmente aderenti al Ps attuale ma con in tasca la tessera “virtuale” del Pd, soprattutto nelle realtà regionali e locali dove ancora spazi anche minimi di potere sono ottenibili dal Pd. Sono quelli che, com’è successo a Milano e altrove, pronunciano nobili discorsi sulla necessità di far sopravvivere il socialismo anche in “una sola Provincia” grazie alla propria personale riconferma, e resistono fino all’ultimo momento utile nelle nel Ps per poi precipitarsi nelle liste, in realtà sempre meno accoglienti, dei vari candidati-presidente o direttamente in quelle del Pd. Ma il Pd, avviluppato com’è in un durissimo confronto congressuale che lo porterà ad estraniarsi da qualsiasi processo politico almeno fino a dopo la prossima scadenza elettorale, resta un progetto malpensato e malcondotto, che ha come sola stella polare la distruzione delle culture politiche della sinistra, secondo il principio di fare una strage per coprire un omicidio, per non riconoscere la sconfitta del Pci dal quale arriva anche il probabile nuovo segretario Bersani.
Un’altra strada è una riedizione riveduta e corretta della “Rosa nel Pugno” Come molti altri, sono tornato alla politica attiva proprio con il progetto della Rnp e non sono certo insensibile a questa prospettiva. Nella realtà però il protagonismo di Pannella porta i radicali in un’orbita ormai eccentrica rispetto all’idea di una formazione laico-socialista privilegiando una presenza fortemente caratterizzata come quella di Radicali Italiani all’interno di un contenitore indistinto, vicino al partito all’americana sempre caro a Marco.
Una formazione politica della sinistra laica, moderna e coraggiosa, europea .
E’ ancora di grande attualità e necessità la questione della nascita di una nuova formazione politica della sinistra, laica, moderna e coraggiosa, come sempre sono state le formazioni vincenti della sinistra in Europa e nel mondo. E credo che in questa nuova formazione, in questo nuovo progetto, debbano trovare ruolo e protagonismo le idee e la cultura dei socialisti.
Una formazione che si costituisca in inevitabile soluzione di continuità con tutta la storia partitica dei socialisti, con quel carico di sentimenti e soprattutto di risentimenti che non possono e non devono essere riproposti. Una formazione nella quale il metodo, la storia, la cultura politica dei socialisti avrà inevitabilmente un ruolo di primo piano, in funzione però della capacità di produrre politica nel presente e nel futuro, e non in virtù di un passato che non produce più.
Una formazione che non potrà non essere parte integrante della sinistra europea, al di fuori della quale non esiste più nemmeno la possibilità di pensare ed agire in politica: e la sinistra europea, con dimensioni, idee e politiche in grado di misurarsi con la realtà di oggi è quella del Partito del Socialismo Europeo . Non è certo un problema nominalistico (fra l’altro la maggior parte dei partiti aderenti al Pse non si chiama “socialista” ), ma è in gioco la cultura di una sinistra che abbia una visione del mondo e dei problemi quotidiani diversa da quella dei conservatori, e che sia in grado di proporre credibili “sogni” e suggestioni politiche non legate al solo carisma di un leader. Pur senza negarne la necessità ed a volte l’indispensabilità, di un leader, ma è la fertilità di un filone culturale e politico che espresse nel secolo scorso una straordinaria generazione di leader nazionali accomunati da uno stesso disegno, da uno stesso metodo che univa personalità diverse operanti in scenari nazionali tra loro molto più diversificati rispetto a quanto non lo siano oggi .
La nascita del Pse, formalizzata da pochi anni, risale a quella stagione, ad opera dei Gonzales e Soares, dei Papandreu e Craxi, di Mitterrand, Schmidt e Willy Brandt, con l’affermazione concreta della possibilità di esistenza di una sinistra riformista nell’Occidente che stava per vincere la guerra fredda contro un nemico che si era appropriato del nome stesso dei socialisti. E’ paradossale come nella situazione odierna, caratterizzata dall’Europa politica e culturale che va addirittura oltre l’effettiva unità economica e monetaria incarnata dall’euro, proprio nei ranghi della sinistra (in verità solo in quella italiana) si metta in discussione il valore di un riferimento politico europeo, mentre nel centrodestra si procede con tempi e modi sbrigativi a chiudere perfino ferite risalenti alla guerra mondiale per entrare nel polo conservatore europeo del Ppe.
Il gruppo dirigente ex-comunista ed ex-democristiano che si è appropriato della rappresentanza della sinistra italiana dopo Tangentopoli non ha potuto altro che inventarsi una presunta “diversità” italiana rispetto al resto dell’Europa, pagando il prezzo della vittoria con un isolamento politico rispetto alla famiglia della sinistra europea e l’abbandono dei propri valori di riferimento, abbracciando ipocrite concezioni di presunte superiorità “morali” e rinunciando a combattere la destra sul terreno che dovrebbe essere invece quello preferito, quello della proposta politica e valoriale.
E’ questa la principale ragione dell’assoluta necessità di dare vita ad una formazione nuova della sinistra italiana, diversa e concorrente rispetto al Pd , nella quale sia possibile riprendere il filo rosso del riformismo socialista italiano. Non fosse altro che per la scarsità di forze e risorse, si impone il dare seguito all’esperienza di SeL delle ultime elezioni europee, passando da una fase di cartello elettorale a quella di alleanza politica.
Un Congresso dei socialisti italiani, tutti, per passare da Osiride alla Fenice.
Non credo che si possa liquidare la traumatica separazione operata da Vendola con Rifondazione Comunista, e la conseguente definitiva marginalizzazione della cosiddetta sinistra radicale, come un fatto di nessuna importanza e si possa pretendere analisi del tasso di riformismo oppure ad abiure pubbliche del passaro. Penso invece che si debba “andare a vedere” la politica, verificare che cosa si pensa sui temi economica, sociali, sulla giustizia e verificare se sia possibile alzare il valore del “minimo comune multiplo” dalla convenienza elettorale e dalle comuni battaglie sulle libertà civili, fino al livello della costituzione di liste elettorali comuni in tutte le realtà ed alla nascita di un nuovo soggetto politico.
Ma per fare questo occorre parlare di politica, porre problemi come finora ha fatto solo Lanfranco Turci con un articolo sul sito dei SeL che ha provocato un’accesa e partecipata discussione, partita con insulti sanguinosi e conclusa con richieste di scambio dati ed informazioni. Si può cominciare magari facendosi carico di proporre anche agli altri partner di SeL un percorso serrato ed impegnativo che affronti le scadenze politiche ed elettorali fino alle elezioni regionali ed oltre, sgombrando il campo da equivoci effettivi e potenziali. Si tratta di una via difficile, faticosa e senza risultato garantito, ma inevitabile, a meno che non si voglia gabellare per seria alternativa la scelta del “massimo comun divisore” , quello del rifiuto a priori del confronto, per rifugiarsi in un Partito Socialista virtuale, perché senza consensi e voti .
Ma è tutto il dibattito tra socialisti che deve uscire dal “loop” inconcludente nel quale è precipitato e del quale la questione legge elettorale toscana è un episodio che però può essere di svolta come di definitiva conclusione. Io credo che i diversi punti di vista su esposti debbano essere discussi apertamente e con pari dignità in un congresso dei socialisti italiani. Un congresso nel quale non si discuta di scioglimenti e rifondazioni, che sono conseguenze e non premesse di scelte politiche; un congresso nel quale tutti i socialisti abbiano il coraggio e la capacità di esprimere il proprio parere, da persone che pensano con la propria testa e vivono del proprio lavoro, come definiva l’essere socialisti un fortunato e bellissimo slogan di una campagna Psi.
Un Congresso che sappiamo che partirà dalla constatazione della fine di un’era politica e di partito e che speriamo possa avere la forza di indicare almeno la strada di una nuova. Un congresso che sarà utile se si avrà la forza e la capacità di convocarlo ed organizzarlo in maniera libera ed aperta, senza esposizione di ridicoli parafernalia quali pacchetti di tessere e gruppi dirigenti in cerca di inutili conferme; un congresso aperto a tutti coloro i quali semplicemente si dichiarino socialisti, prendendo una tessera virtuale congressuale per il solo fatto di sentirsi parte di una grande storia politica che finisce nelle sue forme tradizionali per continuare in forma nuova.
Per riprendere la metafora mitologica, occorre passare, come fecero gli Egizi, dal mito di Osiride a quello della Fenice. I sacerdoti dell’antica religione si misero ad organizzare lo spettacolo della morte e della resurrezione del mitico uccello, nel quale avevano trovato alloggio gli spiriti degli antichi, che gli permetteva di risorgere sotto nuova forma ed aspetto, dopo tre giorni dalle sue stesse ceneri.
Il compito dei socialisti , almeno di quelli che non vorranno attardarsi a seguire il culto dei morti, è più semplice e più difficile allo stesso tempo : tre giorni di Congresso vero ed aperto potranno bastare , anche senza l’accensione di roghi purificatori…

Franco D’Alfonso

4 commenti:

Maria ha detto...

Trovo l'analisi di Franco puntuale e precisa, aggiungerei coraggiosa perchè non fa sconti a nessuno e contribuisce a quel dibattito necessario invocato nell'ambito di un congresso che ponga fine a un gioco che è durato troppo e che ha portato il PSI a non trovare la strada ( neppure un vicolo!!) in questi lunghi 15 anni. I tempi non consentono più altre massacranti e inutili attese di qualcosa che non torna più e la metafora utilizzata nel documento ne spiega ampiamente le ragioni ( che condivido ).
Le vie indicate sono dunque , al momento, quelle giuste da intraprendere per evitare ennesimi errori e fughe di compagni che da troppo aspettano di capire come si intende procedere: congresso e trasformazione di SeL da soggetto elettorale a politico.
Al nord abbiamo bisogno di lavorare per recuparare credibilità e voti : in Lombardia come in Piemonte come in Veneto,aree dove la Lega regna indisturbata o quasi e dove il PDL continua a fare da "sirena" verso gli indecisi. Occorre costruire ( o ricostruire..) una forte identità socialista, liberale e riformista e proporsi come forza anche di governo e non solo di eterna opposizione o, addirittura come siamo oggi , extra parlamentare.
I dirigenti nazionali si facciano carico ( oltre che lanciare la campagna di tesseramento 2009 ) ,delle difficoltà in cui operiamo come compagni di base e mettano in campo le poche o tante forze disponibili con chiarezza di intenti e con omogeneità di interventi su tutto il territorio nazionale.
Ciao Franco
ciao a tutti
maria cipriano

Dario ha detto...

Caro Franco
concordo integralmetne con la tua analisi sul partito socialista, è
esattamente per questi motivi che da tre anni non sono più iscritto a quel
partito.
Purtroppo la cooperativa Boselli, che qualche idea cmq ancora l'aveva ( è
però grave dover ricordare in positivo Boselli), è stata sostituita da una
minicooperativa Nencini-Dilello, che hanno fatto dell'opportunismo, perchè di
questi si tratta soprattutto alla luce di quanto successo in Toscana, il
marchio distintivo del PS.
É il risultato del non aver compreso nel 1994 che non era sufficiente salvare
l'appartenenza (sono socialista perchè appartengo allo SDI-PS) rispetto
all'identità (sono socialista perchè secondo me il socialismo è: ....)
facendo un grande favore ai DS, non so se per insipienza o per calcolo (ormai
propendo per il calcolo), che nel 1989 avevano decretato che con la fine
dell'identità comunista finiva anche l'identità socialista
Divergo invece da te sulle conclusioni.
Realisticamente penso che chiedere un Congresso ad un Partito come quello che
si è andato a consolidare in questi ultimi due anni sia tempo perso, ai ras
interessa unicamente arrivare alle elezioni regionali con la disponibilità di
cassa che hanno ereditato dalla quota elettorale della RnP , per poi
procedere alla liquidazione del Partito, per cui penso che metteranno i
cavalli di frisia di traverso alla strada di qualsiasi Congresso.
Più concretamente io penso sia opportuno dedicarsi alla costruzione di un
movimento dei socialisti rinnovato, così come stiamo facendo nel Gruppo di
Volpedo, per trovarci pronti tra un anno a rilevare il testimone che verrà
lasciato cadere dai cosiddetti socialisti del PS 8 e non solo).
Fraterni saluti
Dario Allamano

Felice besostri ha detto...

ho potuto leggere soltanto il primo allegato di D'Alfonso, che m tova metodologicamente consenziente. Proprio le recenti elezoni in 3 Laender tedeschi mi hanno fatto riflettere sui problemi dei rapporti a sinistra sia tra formazioni diverse che all'interno della stessa formazione quando si dvono confrontare tradizioni diverse. Se Linke e SPD s limitano a rubarsi i voti l'un l'altro la sinistra resta minoranza. Così è stato in Sassonia, tanto che la CDU ha conservato la maggioranza assoluta e sono rientrati i neonazisti. In Turingia la SPD ha guadagnato voti e la Linke ha perso meno del guadagno socialdemocratico: in conclusione per la prima volta SPD e Linke hanno da soli la maggioranza assoluta. Il problema è che le maggioranze numeriche devono diventare maggioranze politiche e programmatiche: hic Rhodus, hic salta! ( ho studiato con il vecchio ordinamento, scusate). Tranne che in pochi paesi la sinistra non ha bendeficiato elettoralmente della crisi e dalla disoccupazione. Il problema a mio avviso si spiega con il fatto che la sinistra deve saper eleborare credibili proposte di uscita dalla crisi ovvero all'inizio di attenurne gli effetti, cioè non si può limitare a denunciare, a ragione, il capitalismo, l'avidità di guadagno quali che siano i costi sociali ed ambientali. Sul suo programma deve ottenere il consenso democratico e saper governare. Questa è la sola via praticabile pr chi non ritenga che siano maturi i tempi per una presa rivoluzionaria del potere. Per un rivoluzionario basta abbattere il vecchio ordine, poi si vedrà. Su questa scelta abbiamo già dato e non possiamo ripercorrere esperienze parasovietiche fallite per conto proprio e comunque rifiutate dalla maggioranza (stragrande) degli europei. Quindi se ci si vuol intendere a sinistra bisogna, come scrive D'Alfonso, entrare nel merito dei problemi. In Germania il confronto in 2 Laender è politico-programmatico di fronte ad una vittoria numerica, in Italia sia dentro che fuori SeL il confronto è di fronte ad una sconfitta, che ha escluso la sinistra dal parlamento nazionale e da quello europeo. Questi sono i fatti, anche se è di buon auspicio che nel giro di un anno si sono raddoppiati i voti de Sinistra Arcobaleno. Tuttavia se Linke e SPD dovessero cominciare a discutere di socialdemocrazia e comunismo, di giudizio sulla DDR di Oskar Lafontaine come leader unico della sinistra non sarebbero in grado di governare nei due laender in cui hanno vinto ed in caso di elezioni anticipate ci sarebbe una vittoria eclatante della destra, come è già successo in Assia, quando 2 PARLAMENTARI DELLA DESTRA SPD SI RIFIUTARONO DI VOTARE PER UN GOVERNO DI SINISTRA, CONDOTTO DALLA COMPAGNA SOCIALDEMOCRATICA YPSILANTI. I conti tra socialisti e comunisti li ha già regolati la storia con il crollo del sistema sovietico. Craxi e berlinguer sono morti e che riposino in pace ovvero che i morti seppellscano i morti. Per ragioni diverse hanno contribuito in egual misura a non approfittare della dinamica creata dalla crisi del sistema sovietico e perciò delle ragioni di fondo della divisione tra socialisti e comunisti. Se SeL si porta in caa il passato è morta prima di nascere.

Felice Besostri

Francesco somaini ha detto...

Sono d’accordo, in linea di massima, con le osservazioni di Franco D’Alfonso.



Sul nodo garantismo-giustizialismo trovo però che lui cada un poco in contraddizione con se stesso, nel senso che a dispetto di quello sforzo di superamento degli steccati d’appartenenza cui giustamente invita tutti quanti, tenda invece, su tale questione, a porre la faccenda in termini troppo drastici.



In realtà, invece, a me pare che anche su questo tema non si tratti affatto di scegliere tra due opzioni contrapposte (giustizialismo versus garantismo), ma di trovare una giusta sintesi ed armonia tra due istanze egualmente importanti.



Che in questo Paese ci sia un evidente e gigantesco problema di legalità e di ripristino di alcuni principi cardine di un qualsivoglia stato di diritto (a cominciare dall'assunto secondo cui le leggi vanno rispettate, e che la legge deve essere uguale per tutti), mi pare francamente molto difficile da negare. E che ci sia anche un problema di garanzie dei diritti individuali (soprattutto dei più deboli) è cosa su cui si può egualmente convenire.

E se trascurare il tema dei diritti individuali sarebbe tradire la vocazione libertaria che Sinistra e Libertà intende in qualche modo far propria (a partire dalla stessa scelta del proprio nome), nascondersi l’esistenza di una “questione legale” sarebbe per contro pura follia.

Ciò che occorre è dunque trovare un equilibrio apprezzabile tra questi due aspetti (che peraltro sono a mio avviso del tutto compatibili e, direi anzi, intrinsecamente connessi). Penso anzi che questo sia uno dei compiti cui Sinistra e Libertà dovrà applicarsi con maggiore impegno, evitando di cadere nella logica degli aut-aut e delle contrapposizioni.



Questo peraltro significa che da parte socialista sarà il caso di sbarazzarsi quanto prima di certe fobie da perseguitati e anche di abbandonare ostracismi un po’ preconcetti contro chiunque abbia denunciato le magagne intollerabili dell'illegalità diffusa. E da parte di altri bisognerà magari guardarsi da eccessive rigidità, dai giudizi sommari o da toni ed atteggiamenti talvolta un po’ troppo inquisitori.



Insomma, D’Alfonso ha ragione quando dice che Sinistra e Libertà deve uscire dall’eterna partita Craxi-Berlinguer. Ma sarà bene che riesca ad uscire anche dalla partita Craxi-Borrelli (o Craxi-Di Pietro).

Altrimenti si lasceranno enormi praterie all’IdV e allo stesso Dipietrismo (inteso come mero uso demagogico e grezzo delle tematiche legalitarie).



Un saluto.

Francesco Somaini.