venerdì 21 agosto 2009

Giuseppe Berta: Meno poveri per uscire dalla crisi

Da La Stampa

31/7/2009

Meno poveri per uscire dalla crisi





GIUSEPPE BERTA

I dati diffusi dall’Istat sulla povertà in Italia sono destinati a rinfocolare la controversia che si è aperta sul divario crescente fra il Centro-Nord e il Sud. Gli indici che sono stati elaborati per il 2008 non si discostano nella sostanza dei valori degli ultimi anni. Ma mettono impietosamente in rilievo come il fenomeno della povertà - che riguarda 8 milioni di persone nel nostro Paese - si concentri e si acutizzi nella parte meridionale del Paese. Osserva l’Istat che l’incidenza della povertà nel Mezzogiorno è quasi cinque volte superiore a quella che si registra nel resto d’Italia. Si parla in questo caso di povertà relativa, ma quando si passa a quella assoluta e si considerano i parametri elaborati dall’Istat diventa ancora più visibile la distanza fra le varie aree territoriali. È da considerarsi povero a tutti gli effetti l’adulto in età compresa fra i 18 e i 59 anni che vive da solo spendendo meno di 750 euro mensili in un’area metropolitana settentrionale. Questa cifra viene rivista in basso, a 674 euro, se si tratta di una persona domiciliata in un piccolo comune del Nord. Per un abitante di un piccolo centro del Sud il valore scende a 502 euro al mese. Sono numeri che rispecchiano le realtà di maggior disagio e rivelano come siano profonde le disparità di condizioni e di reddito che segmentano la penisola. Ma sono le rilevazioni statistiche relative agli indici della povertà relativa a far riflettere di più. Per l’Istat nel 2008 si è collocato sotto la soglia di povertà un nucleo familiare composto da due persone la cui spesa mensile sia risultata inferiore al valore medio per individuo di 1.000 euro. Se la percentuale di coloro che si collocano al di sotto di questo discrimine sul totale della popolazione è contenuta nel Nord (4,9%) e nel Centro (6,7%), essa si impenna al 23,8% quando si prende in esame il Sud.

La fotografia dell’Istat ritrae l’Italia dell’anno scorso, in una fase in cui il Paese non era ancora stato investito dall’onda d’urto della crisi. Dovremo aspettare l’elaborazione dei dati del 2009 per conoscere il grado con cui la recessione globale si è ripercossa sulla condizione dei poveri. Certo, c’è da attendersi che queste cifre non renderanno più facile il percorso della Finanziaria nel prossimo autunno, dopo che il voto sul Dpef ha mostrato la disaffezione di settori della maggioranza verso i tentativi di controllo della spesa pubblica operati dal ministro Tremonti. Non è questo tuttavia il nodo più importante che pongono in evidenza le rilevazioni dell’Istat. Esse mettono a fuoco due elementi di criticità importanti, che non possono essere sottovalutati. Il primo è costituito dalla staticità dell’area sociale della povertà. Si conferma ancora una volta il blocco dei processi di mobilità che caratterizza la nostra società. Dalla condizione di povertà è difficilissimo uscire, e non soltanto perché essere poveri dipende sempre più da fattori quali un livello carente di istruzione. Ci sono delle radici territoriali della povertà che non possono essere scalfite all’interno di assetti sociali congelati, dove le vie di fuga individuali possono configurarsi soltanto con l’abbandono del luogo in cui si è nati. Ma, di nuovo, la carta della mobilità territoriale è oggi accessibile ai giovani in possesso di un titolo di studio spendibile in altre parti del Paese.

Il secondo fattore critico è rappresentato dal fatto che la mappa della povertà disegna una domanda interna statica o in declino, dunque un handicap consistente per le nostre possibilità di rilancio economico. La contrazione dei consumi sta già facendo sentire i suoi effetti sul prolungamento della crisi, su alcune sue manifestazioni specifiche che appaiono connesse alla particolarità del modello Italia. Per questo, sarebbe tempo di pensare a logiche di intervento nella politica sociale e fiscale che non siano solo contingenti, ma si aprano alla prospettiva di rendere meno permanente e stringente la morsa della povertà.

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