venerdì 21 agosto 2009

Tommaso Padoa-Schioppa: Utopie dannose ed utopie utili

Dal Corriere della sera

L’USCITA DALLA CRISI E LA SUA EREDITÀ/3
Utopie dannose e utopie utili
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Gli editoriali precedenti: Economia e politica due nuovi quesiti (11 agosto)
Si crescerà a basso regime (2 agosto) Un illuminato go­verno mondiale che avesse il com­pito di trarci fuo­ri dalla crisi ragionerebbe pressappoco così: non basta arrestare il crollo dell’econo­mia e della finanza, obietti­vo perseguito finora; uscire davvero dalla crisi significa porre il mondo sul sentiero di una crescita che possa du­rare nel tempo senza sfocia­re in una nuova catastrofe: una crescita, come dicono gli economisti, sostenibile.

L’aggettivo «sostenibile» è stato molto approfondito negli ultimi venti o trent’an­ni e ha almeno tre significa­ti. Il primo è economico- fi­nanziario : per tutti i sogget­ti pubblici e privati ci deve essere un equilibrio durevo­le tra risorse impiegate e ri­sorse disponibili. Il secondo è sociale : disparità di vita troppo grandi tra i popoli o i ceti offendono la solidarietà umana e minacciano pace e sicurezza. Il terzo è ambien­tale : la natura stessa, un tem­po imperturbabile come Gio­ve Olimpo, è diventata fragi­le e chiede protezione. La crescita ante-2007 era insostenibile sotto il profilo economico-finanziario, ol­tre che sotto gli altri due. Ignorarlo ha portato al disa­stro, che ha distrutto molta della ricchezza creata negli anni grassi. Sarebbe irre­sponsabile farvi ritorno; il tentativo, se compiuto, pro­babilmente fallirebbe.


Si può allora chiedere: perché mai «crescita»? Non sarebbe meglio la cosiddet­ta «crescita zero», proposta decenni fa dal Club di Ro­ma? La risposta è no, perché non sarebbe sostenibile so­cialmente; non basterebbe a migliorare la condizione del­l’oltre metà del genere uma­no priva di scarpe ai piedi, di acqua potabile, di cure mediche adeguate, per non dire del miliardo a rischio di morte per fame. No, quindi, alla crescita zero per il mon­do intero; ma sì (o quasi) per il mondo ricco, che scar­pe ne ha in abbondanza, la­scia aperto il rubinetto del­l’acqua, getta molte delle medicine ottenute gratis e da solo produce gran parte del degrado ambientale. In breve: crescita mondia­le moderata, concentrata nei Paesi emergenti di Asia e America latina, presidiata da un sistema mondiale di leggi, tasse, spese, incentivi, aiuti, norme ambientali che la rendano sostenibile sotto i tre profili.

Le questioni irrisolte e le difficoltà concettuali non so­no da poco, ma un modello di crescita sostenibile non è, per l’economista, terra inco­gnita. Indirizzarvi l’econo­mia- globale-di-mercato, mo­bilitando i normali strumen­ti di governo propri di ogni stato moderno non sarebbe impossibile. Politicamente e tecnicamente difficilissimo, sì, ma non impossibile. Sappiamo bene che l’illu­minato governo mondiale di cui stiamo parlando non esiste. E allora? Dedurne che il mondo s’incammine­rà spontaneamente sul sen­tiero qui descritto è un’uto­pia dannosa, al pari del cre­dere che fuori da quel sen­tiero tutto possa filar liscio. Il pianeta ospita circa due­cento Stati che si dicono so­vrani, ciascuno intento a promettere l’uscita dalla cri­si e a trarre vantaggio da ogni errore o debolezza de­gli altri. Sono in agguato in­flazione, conflitti commer­ciali, nuove crisi, per non di­re guerre minacciate e guer­reggiate. Non la mano invisi­bile di Adamo Smith, ma il caos descritto da Hobbes.

Pensare una crescita mondiale sostenibile è, inve­ce, un’utopia utile, perché anche se il governo mondia­le è assai lontano e se il G20, il Fondo monetario in­ternazionale, le Nazioni Uni­te ne sono solo simulacri pallidissimi, essi sono pur sempre gli unici luoghi do­ve cercare i frammenti di un’azione responsabile.

Tommaso Padoa-Schioppa
19 agosto 2009

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