giovedì 24 luglio 2008

outing di una vergogna

Ha ragione chi evidenzia la vergogna che suscita l’immagine dei piedi scalzi delle due ragazzine morte annegate, abbinate all’indifferenza dei bagnanti che non sembrano voler rinunciare nemmeno al posto scelto sulla spiaggia per una giornata al mare.
Ha ragione chi evidenzia come questa immagine sia stata commentata in Europa, intanto che da noi si discute dello “scudo” approntato per la serenità del “guitto” che ci ritroviamo a capo del Governo e controfirmato alla velocità della luce dall’ex “migliorista” che lancia messaggi in bottiglia.
E quante altre “immagini della vergogna” se solo un poco “scannerate” nella nostra tiepida memoria, possono tornare alle viste, tutte da tempo digerite, come neanche gli struzzi sanno fare con i proverbiali sassi.
Digerite forse perché, per dirla ancora con parole usate ancora dall’ex migliorista quando si credeva ormai in pensione le “punte di caotico plebeismo” (Giorgio Napolitano, “Dal Pci al socialismo europeo/Un’autobiografia politica”), che hanno da sempre caratterizzato il popolo italiano, sono ancora del tutto intatte, dopo sessant’anni di Repubblica, ed anzi, sono state alimentate in tutti i modi possibili da tutte le classi “digerenti” che ci hanno sin qui guidato.
A me torna in mente fra le tante quella di altri piedi sporgenti da un lenzuolo, che ho già avuto la monotona insistenza di citare in altre occasioni, quelli di Libero Grassi, che calzava un paio di sandali, ed era appena tornato dalle ferie, e quei piedi che sporgevano dal lenzuolo che lo ricopriva, testimoniavano con forza drammatica e struggente, la sua condizione di uomo inerme, armato “solo” della propria dignità, convinto che fosse sufficiente a fargli da scudo. Per non annoiare oltre però, vorrei parlare ancora per un poco della vergogna che ho provato di me stesso, cittadino d’Europa. Mi è stata suggerita dalla lettura del fondo che Adriano Sofri ha dedicato alla “cattura” di Radovan Karadzic dopo tredici anni di “latitanza” (la Repubblica, 24 luglio 2008).
Scrive fra l’altro Sofri:
“Tredici anni non bastano nemmeno a dare una patina di oblio al lutto e alla disperazione di 43 mesi, di mille e trecento notti. «La morte è un capomastro serbo», scrisse uno scrittore vero, Marko Vesovic, calcando Paul Celan. La morte mieteva all’ingrosso e al minuto sulla città assediata, affare di granate e di bombe d´aereo, migliaia in un giorno, o di cecchini divertiti dalla gara al bersaglio più ambito – i bambini, più piccoli, punteggio più alto. Tutti i giardini della città assediata erano diventati cimiteri, nei cimiteri i morti giovani sorpassavano i vecchi, i professori bruciavano i libri per scaldarsi un po´ e tutti facevano la fame e le signore badavano a indossare almeno una biancheria intima decorosa, prima di uscire, per il caso di essere colpite e soccorse.”
Ebbene, io abito a Piacenza, che dista da Sarajevo in linea d’aria 720 Km, meno dei 960 Km che dista da Auschwitz (misure approssimativamente esatte, che possiamo acquisire attraverso un uso “sapiente” di Google Earth), con una differenza che in proposito mi riguarda: quando erano operativi i forni crematori di Auschwitz non ero ancora nato, mentre quando nel 1992-1995 la “morte mieteva all’ingrosso e al minuto” a Sarajevo, non ho mai smesso di spostarmi dalle mie comode abitudini, esattamente come i bagnanti della foto non si sono spostati dal loro posto al sole, accanto ai cadaveri innocenti delle due ragazzine rom.
Credo sia giusto parlare anche delle vergogne di cui siamo protagonisti noi, non solo di quelle che vedono protagonisti gli altri.
Credo che le testate europee che giustamente chiosano impietosamente, a disonore degli italiani, le immagini riproposte, dovrebbero ricordare con vergogna, quando la civilissima Germania e l’ecumenico Stato del Vaticano riconobbero anche loro con la velocità della luce, la Croazia e la Slovenia, dando così il via libera ai Karadzic ai Milosevic ai Mladic agli Hadzic che per anni massacrarono esseri umani nel cuore della civilissima Europa, Europa che per lavarsi la coscienza, non seppe poi far di meglio che massacrarne poi altri ancora, con le bombe “liberatrici” della Nato, alcune firmate anche dal nostro “lider massimo”, altre, “arricchite all’uranio impoverito” (tragico ossimoro), che stanno ancora mietendo vittime ad anni di distanza; vittime pure derise dalla mefitica cavillosità di tribunali dove la legge viene a sua volta derisa.
E le stesse testate dovrebbero anche inesaustamente pubblicare ogni giorno le foto che arrivano da Guantanamo, dove ancora in queste ore, in questi minuti, il civilissimo occidente scarica le proprie vergogne come fossero feci, da evacuare in un pozzo nero.
Sia chiaro che intendo con queste povere parole, fare l’esatto contrario di quanti evocando il “così fan tutti”, si lavano la coscienza.
Perché intendo proprio dire che in quanto cittadino italiano, ma anche cittadino d’Europa, e cittadino del Mondo, mi vergogno di me stesso, mi vergogno io di appartenere ad una umanità che usa la memoria della Shoah come comoda unità di misura per dire a sé stessa che il “peggio è passato”, e che in ogni angolo della terra continua intanto a fare molto, molto, molto di peggio, intanto che io, lindo nell'animo e nella mente, m’incazzo magari a leggere le “geniali” ragioni per cui il Curzi si astiene dal votare contro il licenziamento dell’amico Saccà, e non dimentico di rinfrescarmi con un Negroni gelato.

Vittorio Melandri

3 commenti:

Anonimo ha detto...

La vergogna è un sentimento importante e va rispettato, ma forse richiede compostezza e silenzio.

La vergogna non è outing, ma sincera riflessione.

Non è "disprezzare" sé stesso, ma battaglia interiore, perché la parte migliore di noi si ribelli, e realmente - e concretamente - inizi un diverso percorso.

Forse è meglio evitare i paragoni storici azzardati e i "mea culpa" generici.
Il lavoro che dobbiamo fare è qualcosa di più serio e profondo, e non parte dalle foto dei giornali e dei media, ma dalle parti più intime e segrete della nostra coscienza.

Ciao

Francesco Maria Mariotti

Anonimo ha detto...

Ecco una "nuova" definizione per essere di sinistra: essere ancora capaci di indignarsi per questioni del genere e non rassegnarsi a questo squallore.
Il mio Circolo ne farà un volantino da diffondere nell'area che è solito "avvicinare".
Grazie
Sergio Tremolada

Anonimo ha detto...

Ringrazio Maria Mariotti per gli spunti di riflessione che offre.

A me suggeriscono queste schematiche considerazioni.

Compostezza e silenzio non sono sinonimi, si può essere scomposti in silenzio e composti parlando (senza per questo voler difendere il mio parlare che potrebbe essere valutato legittimamente anche assai scomposto).

L'outing e la sincera riflessione possono stare alla "vergogna" sia separati che insieme, ed in questo caso difendo la sincerità del mio parlare, salvo magari aggiungere la denuncia critica del vezzo di essere ricorso ad un termine che potevo benissimo proporre nella nostra lingua madre.

Sono spesso critico nei confronti di me stesso, ma non sono ancora arrivato a disprezzarmi, nemmeno fra virgolette, se ho dato questa impressione ho sbagliato l'emozione comunicata.

Penso che i paragoni storici siano di per sé azzardati, e quando si usano, il meno che ci si possa aspettare è proprio vederne smascherato l'azzardo; ma questo evento credo sia di grande utilità e che il suo possibile verificarsi valga sempre il rischio. Capire dove si sbaglia resta una delle soddisfazioni più belle che il vivere ci concede.
Ovviamente risulta più facile quando l'azzardo è smascherato, e non indicato genericamente.

Quanto ai punti di partenza, se sono tali, e consentono appunto di partire per una riflessione comunque seria, anche quando per i limiti oggettivi di chi la pratica non può scendere come nel mio caso molto in profondità, a mio avviso vanno sempre presi in considerazione, siano foto dei giornali, osservazioni amichevoli per e-mail, o lo stormire di una fronda che ci sveglia fissando un'mmagine nel bel mezzo di un sogno, che diversamente, si sarebbe persa per sempre

Il grazie a Francesco non è affatto liturgico, ciao.

vittorio melandri

P.S. Logicamente non posso fare a meno di ringraziare anche Sergio Tremolada, che del mio "esternare" ha dato una lettura diversa da quella di Francesco.