giovedì 24 luglio 2008

Ostellino: la morale e la politica

Piero Ostellino si ritiene essere il solo liberale italiano dopo Cavour. A differenza di Cavour che ha vissuto per unificare l’Italia, lui ha solo scelto di vivere fuori d’Italia, e non si vede per altro come, nel caso, dargli torto.

Forse proprio perché liberale, ad Ostellino riesce spesso di costruire dei sillogismi che a differenza di quelli più noti, lui propone come reggessero sino in fondo, non solo ad una lettura apparentemente logica, ma anche sostanzialmente vera.

Leggere per credere il suo ultimo “dubbio” apparso sul Corriere di sabato 19 luglio che allego sotto.

Da lì si deduce fra l’altro quanto segue.

La democrazia è il potere del popolo, la democrazia moderna è il potere della maggioranza del popolo, la maggioranza del popolo è il popolo.

A correggere questa evidente stortura interverrebbe la “democrazia liberale” con l’introduzione dei suoi caratteristici pesi e contrappesi per cui, come “sembra” dire Ostellino, l’aggettivo liberale diventa più importante del sostantivo democrazia, ma dove ugualmente, guarda caso e sempre stando al solo liberale dopo Cavour che abbia avuto i natali in Italia, la……. maggioranza del popolo continua ad essere il popolo.

Infatti dopo aver cercato di evitare di non essere governati da chi non ci piace non votandolo, se questi ottiene la maggioranza, non è vero che “chi ha vinto le elezioni non ha diritto a governare come vuole, bensì solo nel rispetto delle regole del gioco e delle minoranze”, perché nei fatti oggi, chi ha vinto, sterilizza, proprio attraverso quella “Costituzione materiale” che ancora Ostellino “sembra” condannare, la Costituzione scritta, che sempre Ostellino “sembra” osannare.

Una volta che le Istituzioni dichiarano la legalità di ciò che è palesemente illegittimo infatti, si realizza quella che Gustavo Zagrebelsky ha fissato magistralmente con una sorta di tragico emistichio:

“una legittimità illegale, una legalità illegittima”.

Nella storia recente del nostro Paese, è successo che pezzi delle istituzioni, le “Giunte delle elezioni” della Camera (oggi presieduta dall’On. Maurizio Migliavacca), pur espressione di maggioranze diverse che si sono susseguite dal 1994 ad oggi, abbiano TUTTE, in spregio all’art. 10 della legge che ha nome Testo Unico delle Leggi Elettorali D.P.R. 30 marzo 1957, n 361 e successive modifiche, in modo legalmente “inappellabile”, dichiarata legale alias legittima, l’elezione a Deputato del cav. Silvio Berlusconi, aggirando di fatto la legge stessa con un espediente che è stato definito patetico, per cui la norma richiamata si applica a Fedele Confalonieri e non a Silvio Berlusconi.

Una politica capace di trasformare a suo piacimento ciò che è illegittimo in legale e ciò che è illegale in legittimo, è una politica che si è separata dalla “morale”, ma al contrario di quanto scrive Ostellino, proprio da tale separazione ne discende l’affermazione dello “Stato etico”, quello che assicura il trionfo della sola etica che conta, quella della minoranza che controlla la maggioranza, laddove al suo posto, lo “Stato di diritto” è alimentato da quella politica che non risulta separata dalla morale, proprio perchè nel suo insieme, mira a garantire il rispetto morale della continuità fra legittimità e legalità.

Ostellino però, alla faccia del nome dato alla sua rubrica settimanale “il dubbio”, dubbi non ne ha proprio, e sordo al grido di allarme di chi parla di “Metodo mafioso come metodo nazionale” (vedi da ultimo Saverio Lodato e Roberto Scarpinato ne “Il ritorno del principe”) ribadisce che:

“Da Machiavelli (1500), la Morale è distinta dalla Politica, che gode di un suo statuto autonomo.”

Niente da dire, almeno in Italia, si vede.

vittorio melandri

La Morale e la Politica

Il dubbio

di Piero Ostellino (19 luglio 2008) - Corriere della Sera

A Piazza Navona non è il linguaggio che è degenerato, ma il concetto stesso di democrazia. Gli insulti a Giorgio Napolitano e a Walter Veltroni, accusati di essere «complici» di Berlusconi, erano una colata di olio di ricino, pura vocazione eversiva. Inevitabili, date certe premesse. Vogliamo, allora, chiamare questo movimento col suo nome, squadrismo? Mi rendo conto che spiegare ad Antonio Di Pietro e ai suoi che cosa è la democrazia liberale sia un' impresa disperata. Sono convinti di essere (solo) essi stessi «la democrazia»; e che il pluralismo sia una declinazione di servilismo. Mi ci provo ugualmente. Democrazia significa «potere del popolo». Nella democrazia moderna, non di tutto il popolo, ma della maggioranza. È qui che l’attributo «liberale» si rivela più importante del sostantivo «democrazia» grazie a quel marchingegno che si chiama costituzionalismo: le regole del gioco vincolanti per tutti. Nella democrazia rappresentativa, il popolo ha il potere di governare, ne ha la «titolarità», il diritto; ma l’effettivo potere di governare è dei suoi rappresentanti, che ne hanno l’«esercizio». Il passaggio dal diritto di governare al potere effettivo di governare sono le elezioni (che si tengono secondo le procedure previste dalla legge). Il solo modo di evitare d’essere governati da chi non ci piace è non votarlo. Qui si chiude il primo cerchio della democrazia. Governa chi ha vinto le elezioni. È la democrazia come è; non come si vorrebbe che fosse. Fa tutta la differenza fra la realtà «effettuale e perfettibile» e la sua negazione in nome di una società immaginaria e perfetta. Chi ha vinto le elezioni non ha diritto a governare come vuole, bensì solo nel rispetto delle regole del gioco e delle minoranze. A vigilare che ciò avvenga ci sono i «pesi e contrappesi» delle altre istituzioni: il Parlamento (che può votare contro le leggi volute dal governo); il presidente della Repubblica (che le può rinviare alle Camere per vizio di costituzionalità); la Corte costituzionale (che le può dichiarare nulle perché, a suo motivato giudizio, incostituzionali); l’ordine giudiziario (che applica le leggi ordinarie). La separazione dei poteri è il meccanismo costituzionale che limita i singoli poteri dello Stato grazie alla contrapposizione fra questi stessi poteri. E qui si chiude il secondo cerchio della democrazia. Se le istituzioni preposte al vaglio del rispetto delle regole del gioco tacciono, le leggi promosse dal governo e approvate dal Parlamento restano criticabili quanto si vuole, ma sono legittime. È lo Stato come è nella Costituzione scritta; non come si vorrebbe che fosse secondo la «Costituzione materiale» e valutazioni extra-giuridiche (morali). Fa tutta la differenza fra lo Stato di diritto e lo Stato etico. Da Machiavelli (1500), la Morale è distinta dalla Politica, che gode di un suo statuto autonomo. Confonderle è convinzione diffusa, ancorché sbagliata, fra la gente comune. Ma l’uomo politico e l’intellettuale che ne teorizzino la commistione sono già nell’anticamera del totalitari

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