venerdì 25 luglio 2008

krugman: la coscienza di un liberal

Che Paul Krugman fosse uno dei più lucidi e caustici economisti in circolazione già lo sapevo. Non potevo immaginare, però, che nel suo ultimo testo avrei trovato così tanti spunti di riflessione, utili anche a chi è interessato solo delle sorti della sinistra italiana o europea.Citerò alcuni punti soltanto, perché il libro val la pena di essere letto. Provate anche voi ad utilizzare questi spunti di riflessione per ragionare sulla situazione italiana, e vedrete!1) Negli Stati Uniti la destra repubblicana si propone un programma "rivoluzionario": sbarazzarsi di tutto quanto rimane dell'età di Roosevelt. Questo include: sindacati, tassazione progressiva dei redditi di persone fisiche e giuridiche, regolamentazioni. Con questa destra è impossibile un accordo bipartisan.2) Le destre vincono perché purtroppo non sono attaccate in maniera sufficientemente forte sul tema della diseguaglianza economica; purtroppo riescono a rimanere esse stesse all'attacco, su temi che suscitano timori (ordine pubblico, problemi razziali, pericoli esterni, "guasti" del sistema del welfare); oppure con la dubbia capacità di presentare come autentiche panaceee proposte senza senso (la riduzione delle tasse, e lo smantellamento del welfare o della presenza dello Stato nell'economia come unico modo per assicurare la crescita, liberando le forze del libero mercato da lacci e lacciuoli). Purtroppo - e qui viene utile leggere anche l'ultima fatica di Al Gore, "Assalto alla ragione" - la pochezza del dibattito politico nelle democrazie occidentali e la timidezza di forze che si dicono progressiste ma che ormai sono succubi al sistema rendono impossibile smascherare l'imbroglio dei destri.3) Le diseguaglianze di reddito nelle società industriali odierne non sono il portato dell'innovazione tecnologica, della globalizzazione o della modifica delle strutture dell'organizzazione aziendale. Le diseguaglianza sono il frutto di precise scelte di governo, in particolare di politica fiscale. Allo stesso modo la creazione di una società in cui dominava la classe media, caratterizzata da una significativa mobilità sociale verso l'alto, fu il portato delle scelte di politica economica dell'età rooseveltiana (in Europa potremmo dire delle politiche che nel secondo dopoguerra portarono alla costruzione dei nostri sistemi di welfare).4) Non è assiomatico che lo Stato sia per sua natura incapace gestire parti del sistema economico in modo più che soddisfacente: è questione, piuttosto, di livello di preparazione e di maggiore o minore corruttibilità delle classi dirigenti, delle tecnocrazie e delle burocrazie.5) Purtroppo l'economia di mercato non ha necessariamente bisogno della democrazia per prosperare6) Il miglior supporto dei partiti di sinistra è il sindacato. Quando il sindacato viene ridotto ai minimi termini, possono essere solo guai.7) Alte tasse sui redditi più elevati e l'innalzamento dei salari minimi sono una giusta combinazione per ridurre le diseguaglianze (sembra e forse è banale, ma trovatemi qualcuno che in Italia non si disperi per timore che un innalzamento dei salari generi inflazione...)Tra l'altro assai spesso Krugman, economista di razza, cita dati quantitativi molto interessanti a sostegno delle sue tesi (ad esempio sulla diseguaglianza, o sulla mobilità sociale) - in genere per smentire quanto va per la maggiore secondo la vulgata corrente.E questi sono solo alcuni degli spunti che mi tornano in mente...Da non perdere!P.S.: ieri notte ho visitato i siti riconducibili all'ala "progressive" (cioè alla sinistra) del partito democratico americano, che vi segnalo:
"Center for American Progress" (http://www.americanprogress.org/);
Democracy for America - che raggruppa i sostenitori dell'ex candidato alla nomination democratica nel 2004, Howard Dean (http://www.democracyforamerica.com/). Curioso soprattutto per capire come si organizza una corrente in un partito leggero come quello americano
ovviamente il sito di Al Gore (http://www.algore.com/)
i due siti di Paul Krugman (che sta diventando una specie di guru di quell'area politica): il suo sito personale (http://krugmanonline.com/) e soprattutto la sua pagina sul sito del NYT, di cui è editorialista (http://topics.nytimes.com/top/opinion/editorialsandoped/oped/columnists/paulkrugman/index.html)
recensione del Sole 24 Ore
C'era una volta l'America
di Piero Ignazi
Nel suo nuovo libro, Paul Krugman denuncia: negli Stati Uniti le disuguaglianze crescono, la middle class scompare. Per l'economista, è il risultato delle «armi di distrazione di massa». Nel '69 un operaio della General Motors prendeva 40mila dollari l'anno. Un dipendente Wal Mart oggi ne guadagna 18milaPaul Krugman è un liberal che non ha paura di dichiararsi tale, al punto da affermare, nell'ultima frase del suo libro, che «in definitiva, la democrazia coincide con il pensiero liberal». È un polemista che per i suoi strali all'amministrazione Bush dalle colonne del «New York Times» ha irritato terribilmente i «neocons» (tanto che, nel testo, ringrazia l'editor della pagina dei commenti del giornale per averlo difeso dalle pressanti richieste di allontanamento). È un economista che è uscito dal recinto della sua specializzazione e si è concentrato sull'analisi della società e della politica per cercare di comprendere cosa è successo all'America del New Deal e degli anni 50, quell'America prospera e fiduciosa, imperniata su una vasta middle class, dove milioni di persone assaporavano per la prima volta il gusto del benessere.Il punto di partenza dell'analisi di Krugman sono i felici anni 50. In quel periodo si realizza la «grande compressione» delle disuguaglianze. I redditi dei lavoratori dipendenti crescono in maniera esponenziale rispetto agli anni della Grande depressione, mentre quelli dei ricchi si riducono. Se prima della guerra l'1% della popolazione concentrava nelle sue mani il 20% della ricchezza nazionale, negli anni 50 ne disponeva solo della metà, intorno al 10 per cento. Il New Deal instaurato da Franklin Delano Roosevelt aveva aumentato i salari e, allo stesso tempo, le tasse sui redditi più alti. In questo modo le diseguaglianze tra le classi erano diminuite. E tutto ciò senza alcun effetto negativo sull'economia. Tutti stavano meglio ed erano soprattutto gli strati sociali più bassi a goderne i benefici. L'adozione di queste politiche egualizzatrici si reggevano anche grazie a una intensa mobilitazione dei salariati: negli anni 50, circa un terzo dei colletti blu era iscritto al sindacato.A partire dagli anni 80 tutto questo collassa: le disuguaglianze sociali aumentano, gli stipendi si comprimono, i sindacati si sfasciano. Oggi il salario minimo è di 5,15 dollari mentre nel 1969 era, in termini attuali, di 8 dollari; il reddito degli amministratori delegati negli anni 30 era 40 volte superiore al salario medio di un dipendente, agli inizi degli anni 2000 era diventato di 367 volte superiore, e quello dei dirigenti di livello inferiore di 169 volte; il tasso di sindacalizzazione si è ridotto a meno della metà grazie a un'aggressiva politica disgregatrice delle grandi aziende sostenuta dal governo: non è un caso che un operaio della General Motors nel 1969 guadagnasse 40mila dollari mentre un dipendente della Wal Mart dello stesso livello, oggi, ne guadagna 18mila!Come è stato possibile che la middle class e l'ideale di una società senza eccessive disparità siano stati spazzati via? La risposta a questo interrogativo non viene dall'andamento dell'economia, bensì dalla politica. È stato l'emergere e poi l'affermarsi di una visione del mondo veicolata dalla destra radicale americana, quel «new conservatism» che ha avuto il suo ideologo principe in Irving Kristol e il suo massimo interprete politico in Ronald Reagan, a spezzare l'egemonia culturale e il blocco sociale del New Deal, imponendo l'equazione liberal uguale proto-socialista, elitista e antinazionale, e staccando dal Partito democratico il suo tradizionale elettorato dei bianchi del Sud. Fino a che i «neocons» non hanno conquistato l'egemonia politica e culturale nel Partito repubblicano, cioè fino agli anni 80, vigeva un clima bipartisan. I repubblicani non pensavano certo di smantellare il New Deal. Le votazioni al Senato o la Congresso erano spesso cross-line, con membri dell'uno o dell'altro partito che si scambiavano le parti sui singoli temi in discussione. Prevaleva un consensus di fondo che nemmeno le presidenze repubblicane dei primi decenni del dopoguerra avevano intaccato.Questo contesto incomincia a cambiare a partire dagli anni 60, con l'esplodere della questione razziale. Di quegli anni ricordiamo soprattutto il movimento dei diritti civili capeggiato da Martin Luther King e la fine della segregazione razziale. Ma quei tempi furono marcarti anche dalle esplosioni dei ghetti urbani del Nord (nel Sud i neri avevano troppa paura dei linciaggi per rivoltarsi, sostiene Krugman). Quei disordini, magistralmente descritti da Philip Roth in Pastorale Americana, lasciarono un segno nella comunità bianca e rivitalizzarono il nervo scoperto della questione razziale. Con spregiudicatezza retorica, i «neocons» misero in relazione diretta i diritti civili alle rivolte dei neri, addebitandone così la responsabilità ai democratici.Le altre due leve utilizzate per mettere alle corde il Partito democratico furono lo sperpero dei fondi destinati al welfare – i cui maggiori beneficiari erano inevitabilmente i neri – e l'accondiscendenza verso i nemici esterni (il comunismo prima, il terrorismo dopo). Insomma, i liberal erano spreconi, portatori di disordine e arrendevoli. Tutte armi polemiche che servivano a distruggere le basi di consenso dei democratici, staccando i bianchi degli Stati poveri del Sud dal loro tradizionale sostegno al partito di Roosevelt. Grazie all'efficacia retorica delle argomentazioni prodotte dai numerosi e opulenti think-tank della destra ultraconservatrice – le armi di distrazione di massa, le chiama Krugman – il piano è riuscito. Al costo però di spostare a destra il partito e di polarizzare lo scontro politico: in Parlamento non si vota più cross-line ma ci si scontra muro contro muro.Come fare a ridurre la disuguaglianza e a tornare a fare dell'America una nazione di ceto medio, si chiede l'autore. La risposta è lapidaria e forse sorprendente per tanti pallidi riformisti europei: «completare l'opera del New Deal includendo l'espansione dello Stato sociale» per rinvigorire e ampliare la middle class, vero bastione della democrazia in tutto il mondo.Paul R. Krugman, «La coscienza di un liberal», Laterza, Bari, € 18,00.

Nessun commento: