mercoledì 25 luglio 2012

Peppe Giudice: Socialismo non è solo un nome

Socialismo non è solo un nome.


pubblicata da Giuseppe Giudice il giorno martedì 24 luglio 2012 alle ore 23.18 ·
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Socialismo non è solo un nome





Nomina sunt conseguentia rerum: un antico detto filosofico. Insomma il nome non è separabile dal contenuto che esso esprime.

Non lo capiscono molti del PD – anche di quello “fassiniano” come Gualtieri – i quali come il baffetto di ferro, si arrampicano sugli specchi sul tema del socialismo rivendicando la sua confluenza in un generico ed indeterminato progressismo figlio di nessuno.

Sappiamo che il PD si è fondato su una traballante intesa tra i democristian-prodiani e i postcomunisti che vivono un complesso di colpa verso il socialismo. Non che tutti i compagni provenienti dal PCI vivessero questo complesso di colpa. Di certo non lo vivevano gli ex sindacalisti come il grande Bruno Trentin (“voglio morire socialista”) o compagni serissimi come Gavino Angius, un ex berlingueriano convinto assertore della identità socialista della sinistra ed oppositore del concetto vuoto di “sinistra senza aggettivi”. Faccio due esempi eminenti, ma vi sono molti compagni provenienti dal PCI che la pensano allo stesso modo.

E’ piuttosto quel corpo centrale dell’apparato (berlingueriano, poi occhettiamo e poi ancora o dalemiano o veltroniano) che ha visto nel rapporto con i post-dc piuttosto che con i socialisti l’asse centrale della loro politica. L’Ulivo è frutto di quell’atteggiamento ed anche il PD.

Fatto è che molti ex PCI , dopo il 1989, hanno guardato agli Stati Uniti piuttosto che all’Europa (erano profondamente ignoranti in tema di socialdemocrazia). E questo fu il tratto d’unione con Prodi che vagheggiava un Ulivo mondiale guidato da Clinton il più grande deregolatore dei mercati finanziari (dei suoi meriti scopatori non possiamo parlarne qui) che ha spalancato porte e finestre al mercato delle vacche dei derivati. Con l’aiuto di Tony Blair. Il suo consigliere Giddens parlava di morte del socialismo non solo quello reale ma anche di quello democratico (alla Bad Godesberg). Questa tesi della morte del socialismo andava a pennello per D’Alema e Veltroni, e chiaramente per i democristiani dell’Ulivo. Peccato che quella si è rivelata essere la parte più degenerata del socialismo europeo. Al quale si possono imputare parecchie cose. Ma non certo quello di essere stato coerentemente socialista. Anzi se c’è un torto del PSE (o meglio di una parte di esso) è proprio la incoerenza tra le politiche fatte e la tradizione socialista. Leggevo una intervista ad un leader storico del socialismo europeo e spagnolo, Felipe Gonzales, in cui c’è una critica dura a Zapatero per non aver modificato il meccanismo economico messo in piedi da Aznar (e che si è fondato su bolle speculative immobiliari e indebitamento privato) e che è alla base della crisi che oggi vive la Spagna. Un altro grande leader, il portoghese Mario Soares, disse che Tony Blair era una Thatcher Mascherata. Insomma da parte di quelli che furono leader socialisti negli anni 80, c’è una aspra critica al PSE degli anni 90 e 2000. Non a tutto: Jospin era cosa radicalmente diversa da Blair. Così i socialdemocratici svedesi o la sinistra della SPD. ED oggi c’è un profondo ripensamento in corso in seguito alla crisi. C’è pure nel PD in gente come Fassina, ma sempre con la prudenza di non pronunciare mai il nome socialismo. Sui contenuti più autentici del socialismo democratico mi sono soffermato più volte. Posso solo dire che esso non si riduce certo al Welfare, ma punta a trasformare profondamente ed in modo democratico (e nella libertà) i rapporti di potere nella economia e nella società capitalistica. Come diceva il compagno Paolo Bagnoli, il socialismo democratico è socializzazione del potere come percorso di emancipazione sociale e di liberazione umana. Il welfare è un pezzo di esso, come lo è l’economia mista, la programmazione, la democrazia economica. Tutte insieme svolgono quella funzione emancipatrice. E qui sta la differenza tra socialismo e altre forme spurie di progressismo. Queste ultime – liberal-sociali o democristiane (cosa diversa dai cristiani-socialisti come Delors o Carniti) , vedono nei concetti di giustizia e solidarietà (lo metteva bene in evidenza Massimo Salvadori) non un movimento emancipatorio dal basso tramite un lotta di classe concepita e praticata in forme democratiche, civili e razionali (lotta di classe non confinata ai lavoratori manuali ovviamente) per modificare assetti strutturali di potere, ma un movimento dall’alto verso il basso – la solidarietà per garantire la governabilità sociale senza intaccare i meccanismi strutturali che provocano ingiustizia ed esclusione.

Di qui l’impossibilità di costruire un progressismo vago e senza bussola.

Insomma senza una chiara scelta socialista non c’è sinistra che tenga. Naturalmente questo ragionamento vale anche per quei partiti socialisti che hanno preso sbandate neoliberali, ma vale soprattutto per il PD.



PEPPE GIUDICE

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