lunedì 23 luglio 2012

Sergio Ferrari: Note per gli Stati generali

Note per gli “Stati Generali”

di Sergio Ferrari*

Non si può rinunciare a partecipare al nuovo tentativo di creare - nonostante i vari fallimenti precedenti - un forte partito legato alla storia e alla tradizione del socialismo europeo. Non è chiaro se questo sia l’intento di questi Stati generali del centro-sinistra o se la dizione, appunto, di “centro” e di “sinistra” precluda a qualche ipotesi differente.
Sulla analisi della II Repubblica fornita da Giudice, possiamo convergere e quindi non ci sembra al momento necessario aggiungere altro. Vorremmo condensare il tutto con l’osservazione secondo la quale pressoché tutti i partiti della seconda Repubblica, sono – e non a caso - delle costruzioni prive di storia e di memoria, tenuti assieme dal cemento opportunistico della gestione del potere, anche perché la storia e la memoria non li favoriscono. .
Meraviglia – ma non più di tanto – il fatto che questa tragicommedia trovi il supporto di dotti articoli di fondo di tutti i giornali di rilevanza nazionale che arrivano a sostenere questi “incroci” sino a ritenere possibili una sintesi tra Gramsci ed Einaudi. .
Tutto questo richiama almeno due problemi che dovrebbero essere trattati in un dibattito come quello in questione: il primo riguarda il fatto che la critica non può limitarsi alla modestia del ceto politico, ma riguarda più in generale la classe dirigente di questo paese, quella intellettuale e quella imprenditoriale. C’è in questa dimensione una specificità del nostri paese che è insieme causa e caratteristica del nostro declino.
La seconda questione sulla quale sarebbe opportuno una riflessione dovrebbe riguardare il vuoto propositivo di tutte le forze politiche in materia di superamento di quel declino. La concomitante crisi economica internazionale, che ovviamente sovrasta quella nazionale, serve ottimamente per chiudere a quel livello, il dibattito di politica economica e sociale. Se ci si dovesse interrogarsi su quali sono le cause della specifica crisi del nostro paese si troverebbero solo spiegazioni di comodo, o ovvietà, dalla flessibilità del lavoro, utile per ridimensionare la presenza del sindacato, alla evasione fiscale, ovviamente da reprimere.
Un ipotetico partito Socialista in questo paese non può permettersi di confondere – come nota anche Giudice – il movimento con la costruzione di una politica di governo, ma non può nemmeno proporre una politica di governo quale quella inesistente espressa dagli attuali partiti della sinistra o, tanto meno, dai vari centristi: la crisi del liberismo ha avuto effetti per cui nel nostro paese si è accumulata una distribuzione della ricchezza tra le peggiori in assoluto a livello dell’Unione, le divergenze Nord-Sud si sono ampliate, la nostra competitività tecnologica si misura ormai con quella dei paesi in via di sviluppo, la stessa qualità della nostra democrazia sembra sempre più trovare forme di contenimento piuttosto che di espansione sia in relazione ai processi di internazionalizzazione, sia come conseguenza di un ampliamento delle varie forma di disoccupazione e della svalutazione del lavoro, la stessa green economy riceve nel nostro paese una versione che nulla a che fare con un nuovo sviluppo attento alla sostenibilità sociale, ambientale ed economica. Insomma ci sarebbe un intera economia e una intera società da ricostruire adottando i principi della libertà e dell’eguaglianza che sono propri della storia socialista e, nel contempo, adottare una proposta riformatrice per “una diversa qualità dello sviluppo” e per “una società diversamente ricca”, per dirla con Riccardo Lombardi.
Un Partito con una linea riformatrice esplicita e definita in queste direzioni non teme di verificare le possibilità di compromessi necessari per la formazione di un Governo, ma non ha nemmeno nessuna preoccupazione per una sua presenza all’opposizione. Peraltro il cittadino non apprezza – giustamente – le identità politiche ambigue, mentre è più aperto ai compromessi necessari per realizzare un Governo, compromessi che non rappresentano la rinuncia alla propria identità.
E’ con una linea politica di questa natura che la nostra necessaria presenza a livello europeo potrebbe diventare importante per noi e per la stessa costruzione della federazione europea.
Ma per arrivare a tutto questo il lavoro da fare e le forze da mobilitare, coinvolgere e ascoltare sono tali, attualmente, da mettere in secondo o terzo piano le questioni tipo l’accordo o meno con l’ IdV, essendo prioritario mettere in campo quella cultura che come ha ricordato Giudice, è stata oscurata con una perdita secca per tutta la sinistra.
Della drammatica crisi internazionale abbiamo capito tutto e cioè che si è trattato e si tratta di un complesso di speculazioni, di truffe e di meccanismi perversi che avrebbero richiesto l’intervento di una censura e di una retata. Quello che non possiamo capire è perché queste difese non ci sono state e, nonostante i gravissimi danni prodotti, si fa ancora molta fatica a metterli in piedi. E per capire questa questione ci sembra necessario risalire ai meccanismi primitivo del funzionamento del sistema capitalistico.
Se si vorrà procedere in queste direzioni noi pensiamo di esserci.

*per l’Associazione LABOUR “R. Lombardi”


Roma, 23 luglio 2012

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