martedì 1 dicembre 2009

Claudio Bellavita: Il secolo delle bolle

Il secolo delle bolle
Claudio Bellavita, 30 novembre 2009, 11:46

Dibattito Con le loro formulette matematiche, alcune anche premiate con dei Nobel, gli economisti non hanno ancora risolto il paradosso della scuola economica classica: come è possibile che la massima felicità collettiva derivi dalla sommatoria dei massimi egoismi individuali?



Se ci guardiamo indietro, quello che da tempo caratterizza il sistema economico mondiale è il susseguirsi a ritmo sempre più ravvicinato di "bolle speculative", che crescono facendo guadagnare tutti i partecipanti che riescono a uscirne in tempo per poi scoppiare, travolgendo non solo tutti quelli coinvolti in quel momento, ma a oltre interi sistemi economici, nazionali o mondiali. Se vogliamo, lo stesso meccanismo di retribuire i massimi dirigenti con dei bonus legati ai risultati a breve termine costituisce di per sé una bolla, che spinge a crearne sempre di nuove, mentre i corifei del liberismo senza regole continuano a ripetere che questo è il migliore dei sistemi possibili, anzi, bisogna obbligare tutti a adottarlo per legge. Se no, non c'è abbastanza gente da fregare, e la bolla scoppia prima...

Ci sono bolle ricorrenti, dalle piramidi finanziarie e commerciali, alla convinzione, che si diffonde come un incendio, che le borse e gli immobili possano solo aumentare di valore, e chi si prova a giocare al ribasso debba essere subito fucilato.
Poi ci sono bolle più specifiche: quella informatica che si è chiusa anni fa; quella militare che non si chiude mai, cambia solo settore ( dalle armi tradizionali a quelle nucleari, alle spedizioni spaziali, allo scudo spaziale,ora a quella dei costosissimi mercenari che fanno la guerra per conto USA); quella dei bonds sudamericani e quella dei crediti che, se vengono cartolarizzati, diventano tutti esigibili. Bisognerà pure inventare qualche bolla per collocare il debito USA che oggi non dà interessi su una valuta che perde di valore...

Ma in mezzo ai liberisti deliranti che inneggiano alle libere e progressive sorti di un mercato senza regole, sembra che si sia del tutto dimenticata la regola base di Ford: "bisogna che i miei operai possano comprare le auto che produco, se no non so a chi venderle".
Un mondo dove aumenta lo sfruttamento e la precarizzazione dei lavoratori (del primo, secondo e terzo mondo), dove si trovano le risorse per gli acuisti individuali? E dove trovano gli Stati le risorse da tassare per gli acquisti collettivi, armi prima di tutto, ma anche investimenti pubblici di ogni genere, compresi quelli per la riduzione dei consumi energetici?

Con le loro formulette matematiche, alcune anche premiate con dei Nobel, gli economisti non hanno ancora risolto il paradosso della scuola economica classica: come è possibile che la massima felicità collettiva derivi dalla sommatoria dei massimi egoismi individuali?

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