martedì 15 dicembre 2009

Bianca La Rocca: Una democrazia in pericolo

articolo apparso su aprile on line http://www.aprileonline.info/notizia.php?id=13782





Una democrazia in pericolo

Di Bianca La Rocca



Avevo appena finito di scrivere alcune riflessioni sui pericoli di tenuta delle nostre istituzioni repubblicane che è giunta la notizia dell’aggressione al Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, a Piazza Duomo, a Milano, al termine di un comizio.

Il problema non cambia, anzi s’aggrava: l’increscioso episodio non fa che confermare quali grandi pericoli sta vivendo la nostra, pur imperfetta, democrazia.

Da una parte e dall’altra, ci troviamo di fronte ad una visione arcaica della politica, che non si limita alle rappresentazioni verbali o pittoresche, di cui Silvio Berlusconi e Antonio Di Pietro sono maestri, ma va ben oltre e con esiti alquanto incerti. Qualcuno, in modo semplicistico, potrebbe cavarsela con un banale: chi semina vento, raccoglie tempesta (che, in fondo, è ciò che ha detto Di Pietro e pochi altri), ma staremmo alle chiacchiere da bar, un leader politico dovrebbe usare ben altri linguaggi e aver ben più nobili prospettive.

Mai come in questo momento si avverte la necessità di far ritornare in campo la Politica. Con la “P” maiuscola. Ossia quell’agire collettivo che abbia come unico scopo il bene comune.

E’ inutile nasconderci dietro un velo di ipocrisia. Siamo tutti in balia degli eventi. Dal mitomane alle grandi organizzazioni criminali, da Massimo Tartaglia ai fratelli Graviano, i ricatti criminali e la violenza gratuita, ormai da tempo, riescono non solo ad influenzare il sistema politico, ma sono anche capaci di convogliare simpatie elettorali o profondi odi personali.

Gli effetti perversi dei ricatti di psicolabili, che potrebbero anche ammazzare, o di pericolosi criminali, che sicuramente ammazzano, non sono molto diversi. Nessuno può permettersi il lusso dell’indifferenza, tanto meno quello della tifoseria. Sbaglia chi pensa che Gaspare Spatuzza sia peggio dei Graviano, o viceversa. In entrambi i casi ci troviamo di fronte a dei pericolosi criminali. E sbaglia anche chi, per celia o per noia, inneggia al “vendicatore” solitario. Simili gesti sono solo una scorciatoia alle proprie frustrazioni.

Sicuramente grosse responsabilità sono da ricercarsi nello scadimento del linguaggio pubblico e nella caduta verticale di fiducia nelle istituzioni, Ma c’è anche dell’altro. Lo abbiamo sostenuto e lo ribadiamo: Silvio Berlusconi, e non solo, ha delle grandi responsabilità in questo crepuscolo degli alti valori ed ideali che dovrebbero guidare l’azione di un governo, in questa totale mancanza di rispetto per gli altri, in questo edonismo paranoico.

Non si può governare un Paese e pensare di controllare gli umori o i dissensi ponendo gli interessi personali, sempre e comunque, sul bene collettivo e, per di più, continuando ad insultare gli oltre due terzi di quell’elettorato italiano che non ti ha sostenuto. E’ stato questo atteggiamento arrogante e, per alcuni tratti, infantile ad innescare, nell’intero Paese, una guerra del tutto contro tutti. Un forte senso di responsabilità dovrebbe consigliare, oggi, a tutti ed a maggior ragione a chi ha responsabilità istituzionali o di governo, a fare un passo indietro. Basta con la delegittimazione reciproca, con il linguaggio ricattatorio, con lo sproloquio senza senso, con gli attacchi alla Costituzione, nella quale è sancito il rifiuto di qualsiasi violenza fisica e morale. Alla democrazia ci penso io, aveva detto non molto tempo fa Silvio Berlusconi, l’unico con le “palle”: Massimo Tartaglia è il primo risultato ottenuto.

La società civile, manipolabile e manipolata da più parti, rischia di essere trascinata in derive incontrollabili. Per troppo tempo abbiamo vissuto la divisione tra le tante partigianerie, convinte o ignave, ed abbiamo visto solo pochi, isolati cittadini, politici ed intellettuali, che hanno avvertito l’esigenza d’opporsi al malcostume dilagante, per contrastarne il sistema e non svendere la dignità personale. Costoro, per lo più derisi o isolati, finora hanno scelto di non cedere al compromesso, ma anche di non farsi tentare da posizioni preconfezionate, fatte di etichette, slogan o affermazioni moralistiche. Sono, al momento, i più responsabili in assoluto e percepiscono che simili atteggiamenti non incidono minimamente nel decadimento collettivo, essendo conformi alla recita sociale dei distinguo, cui, ormai tutti i politici si sono perfettamente adeguati, lasciando che il teatrino prosegua, perché non vengano turbati i loro miseri calcoli elettoralistici.

Certo, siamo, o almeno si spera, ancora lontani dalle carneficine stragiste, terroristiche e mafiose che hanno insanguinato le strade e le piazze italiane per oltre venti anni. Ma anche allora, oltre alle facili indignazioni di comodo, che si ripetono stancamente ad ogni anniversario, non siamo stati in grado di creare un senso di comunità civile capace di reagire con conseguenti scelte d’impegno. Qualcuno si era illuso che la cosa riguardasse solo altri. Oggi, ci rendiamo conto che tutti continuiamo a pagarne le conseguenze. E nell’oblio collettivo (i giovani di oggi sono convinti che la strage di Piazza Fontana sia stata compiuta dalle BR, sic!), bombe ed omicidi potrebbero esplodere ancora, straziando altre vittime innocenti.

Per quanto tempo fingeremo d’ignorare che le intimidazioni, di qualsiasi tipo e da qualsiasi parte provengano, non sono finite e condizionano la nostra libertà di scelta e di opinione?

E’ giunto il tempo di sentirci tutti chiamati ad uscire dagli equivoci e assumere comportamenti d’autentica e netta opposizione ad una politica degenerata e alle persone che la rappresentano. Questi gesti non sono giustificabili, perché ci negano l’essere cittadini liberi, tolgono futuro ai giovani e ci rinchiudono in un presente governato da maquillage asfittici e privi di prospettive.

Abbiamo il dovere di offrire, soprattutto ai giovani, strumenti culturali, mezzi di emancipazione dal loro stato di inferiorità, inaugurando un modo nuovo e diverso di rapportarsi con gli altri, basato sulla chiarezza e sul confronto.

In una società che mercifica tutto, anche il valore della vita, la differenza più grande tra ricchi e poveri sta nel discrimine culturale, non nel solo denaro: i poveri sono degli emarginati, anche quando possiedono i Suv, perché non possiedono gli strumenti culturali per prendere il loro destino nelle mani, emanciparlo e cambiarlo. Ai poveri, che non possiedono altro che l’immagine, è precluso anche l'accesso ad un futuro migliore, poiché non l'intendono.

E’ questa l’unica vera questione giustizia che dobbiamo affrontare. Aldilà dell’azione giudiziaria istituzionalizzata, che opera con una giustizia impositiva e codificata, esiste un senso della giustizia, definito talvolta naturale in quanto ritenuto innato, che impegna ognuno ad usare criteri di giudizio obiettivi da tenere nei confronti di tutti. E’ quanto è venuto a mancare al Premier e alla compagine del Governo. Il senso di ingiustizia è ormai dilagante ed ha armato la mano di uno psicolabile, domani potrebbe andare peggio.

La giustizia, intesa nel suo valore più nobile, è prima di tutto una virtù morale, quindi privata e non codificata e istituzionalizzata, alla quale si osservano regole comportamentali che riguardano sé e gli altri nei doveri e nelle aspettative. Tutto il resto ne è una logica conseguenza.

Ritroviamo, tutti, al più presto questo senso di giustizia collettiva se non vogliamo che agli oggetti contundenti, qualcuno pensi di sostituire bombe e pallottole, da cui non si salverebbe nessuno. E soprattutto, non si salverebbe la Democrazia.

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