venerdì 14 novembre 2008

vittorio melandri: unità sindacale in frantumi

Unità sindacale in frantumi ....e ...servilismo italico sempre florido



Giuliano Cazzola ha dichiarato al Corriere della Sera che Guglielmo Epifani esagera.



Stando all’attuale vice presidente della commissione Lavoro della Camera in quota Pdl, G. Cazzola, il riferirsi di Epifani ad episodi gravissimi, in merito all’incontro del Presidente del Consiglio con Cisl, Uil e Confindustria nella sua residenza di Palazzo Grazioli…..



“È una grande esagerazione, in una residenza privata come Palazzo Grazioli il padrone di casa può ricevere chi vuole.”



Affermazione che mi fa dire……



…. il servilismo italico è sempre di pronta beva, ma quando si erge in tutta la sua inutilità, appare nella sua più fulgida luce e in tutto il suo essere particolarmente lubrico.



Abbiate la pazienza di leggere questo racconto.



Il citato Cazzola è lo stesso Giuliano Cazzola che il congresso Regionale della CGIL dell’Emilia Romagna, in seduta a Bologna dal 23 al 26 gennaio 1980, elesse alla carica di Segretario Regionale.



Fu il primo socialista ad essere issato su tanto scranno, quando ancora i rapporti di forza all’interno del più grande sindacato italiano si misuravano con indicatori che suonavano: comunista, socialista, altro.



Ed è lo stesso dott. Giuliano Cazzola che successivamente sul Corriere del 13 Settembre 2003 ricordava i bei tempi andati (1970 e seguenti), in cui i delegati metalmeccanici, erano usi ad obbedir, non fischiando.



All’epoca in cui il dottore è stato eletto Segretario Regionale della CGIL Emilia Romagna, ero un esponente della componente socialista della Cdl di Piacenza, nella mia veste di segretario provinciale aggiunto della Fiom, allora, anche FLM.



Credemmo (come socialisti CGIL), di poter dire la nostra, (senza fischiare), nel merito della scelta dell’allora nuovo segretario della locale Cdl. Puntammo, e non per ragioni strumentali, su di un compagno, (“ovviamente” comunista), che non era quello ufficialmente indicato. Credevamo, che il nostro candidato, a differenza di quello “ufficiale”, fosse più laico …….



….per dirla con le parole, oggi non più riservate di Antonio Tatò, pensavamo allora che fosse meno caratterizzato dalla “durezza e (dal)la limpidezza del cristallo interiore dell’esser comunisti”.



La cronaca degli anni successivi, ci ha poi dimostrato, che avremmo comunque sbagliato “compagno”.



Ma questa è un’altra storia.



Ad interrompere la nostra “ingenua” battaglia, intervenne comunque decisivo, il segretario Regionale allora ancora solo in pectore, Giuliano Cazzola, che sul finire del 1979 venne a Piacenza, e a “porte chiuse”, fece capire a noi, suoi riottosi e periferici compagni socialisti, che sarebbe stato stupido, continuare con il nostro imbelle ostruzionismo.



Come conseguenza del nostro capitolare, successe pure che per i due anni successivi, entrai a far parte della segreteria confederale della prima Camera del lavoro d’Italia.



E vengo all’episodio suggeritomi dal “servilismo” di cui parlavo all’inizio, e che per evidenti lacune quanto a concisione, faccio sempre precedere da troppe premesse.



Poco prima del mio ritorno “in produzione” (1° ottobre 1982) e di rendere così effettivo il mio abbandono alla militanza attiva nella CGIL, venne a Piacenza Luciano Lama.



La sera del 3 luglio 1982, in Piazza dei Cavalli, prospiciente le possenti (e slanciate ad un tempo) arcate a sesto acuto di Palazzo Gotico, fu eretto un palco su cui si assise tutto lo stato maggiore locale e regionale della CGIL a fare corona al Segretario Generale che presiedeva una pubblica assemblea; tutta la cittadinanza invitata.



La piazza si riempì come poche volte mi è capitato di vedere a Piacenza, anzi, per me quella fu l’unica volta che la vidi così piena da una simile posizione.



Ad un certo punto della serata, in prima fila manifestò la sua presenza una donna che mostrava evidenti segni di “squilibrio”, e che fossero evidenti e che fossero per altro innocui, tutt’al più appena un poco fastidiosi, non potevano esserci dubbi per alcuno, Lama compreso.



Ebbene in tale frangente, il segretario Regionale Cazzola che in ragione di un cerimoniale poco cerimonioso aveva trovato posto un poco discosto da Lama, si sentì in dovere di vergare un avviso, su un foglietto che passò anche nelle mie mani per arrivare a Lama, foglietto con cui lo informava che di quella poveretta non doveva preoccuparsi, lui, Cazzola, se ne era appena diligentemente accertato.



Non ho più dimenticato l’episodio, ed ogni volta che mi appare questo “splendido esemplare” di volta gabbana, oggi riconosciuto come valutatissimo esperto di lavoro e pensioni, che della CGIL ha ricordato in un libro quanto l’abbia amata, il ricordo mi aggredisce, e la sua minuta ed esile consistenza non basta a farlo sbiadire, troppo forte il servilismo inutile e lubrico che lo alimentava, servilismo puntualmente riemergente in ogni occasione.



Vittorio Melandri

17 commenti:

Anonimo ha detto...

Il servilismo è sempre proliferato non solo in ambito sindacale ma anche politico. Spesso incontro vecchi compagni socialisti che vivevano nella contemplazione e adorazione di Craxi, mentre oggi, parlano di quel periodo come se fossero stati feroci oppositori. Un po' come Pietro con Gesù Cristo.
Francesco Maviglia

Anonimo ha detto...

Scusate, sono decisamente nuovo, ma qualcuno di voi che ha cotanta memoria storica, mi sà spiegare questa evoluzione del craxismo? E' evidente che l'ostilità craxiana nei confronti del PCI di allora, che poteva avere evidenti ragioni di opportunità politica, si sia di fatto trasformata oggi con Berlusconi, amico e sodale appunto di Craxi, in una crociata anticomunista che non ha precedenti. Se si analizzano le componenti ex-PSI all'interno di FI, sono numerosissime e stupefacenti. Ed i toni che usano tutti sono sconvolgenti dati i loro curricola politici.
Definire FI una formazione di 'destra' significa che i socialisti erano di destra?
Perchè? Solo per la fascinazione italiana verso l'uomo forte? Hanno da rivalersi per qualcosa? Tangentopoli?

Anonimo ha detto...

Tento di rispondere al quesito di Lamberto. Il tema non è facile e da sempre divide i rosselliani.
Come giustamente ricorda Maviglia, sebbene tra il 1983 ed il 1991 nel Psi quasi tutti fossero craxiani (compresi molti oppositori di sua maestà che presidiavano la sinistra ... "ferroviaria"), dopo il crollo c'è stata una diffusa tendenza alla ... riscrittura delle biografie.
A parte queste miserie umane, noi craxiani non eravamo tutti uguali. Non parlo della "questione morale" perché spero che ormai sia pacifico che quello era un problema trasversale. Avevamo motivazioni politiche diverse, direi quasi opposte, pur essendo accomunati dall'anticomunismo.
Per alcuni - ed io tra questi - la battaglia a sinistra era funzionale al superamento del sistema bloccato: solo invertendo i rapporti di forza a sinistra si poteva sperare di realizzare una normale alternanza al governo tra forze progressiste ad egemonia socialista e forze conservatrici ad egemonia DC. Questa, peraltro, sarebbe stata la vera cura anche per la "questione morale", che non si risolve con proclami moralistici, ma rimuovendo la causa strutturale che aveva portato a livelli insopportabili quel tasso di corruttela che altrove, nelle democrazie dell'alternanza, si mantiene su livelli fisiologici.
Per altri l'adesione al craxismo era espressione di un anticomunismo fine a se stesso ed era funzionale al mantenimento usque ad mortem del sistema di potere esistente, imperniato su DC e PSI, con patto sotterraneo spartitorio con il PCI eterna opposizione.
Uno era un disegno di profonda trasformazione, l'altro un disegno conservatore (che peraltro si sposava bene con il conservatorismo comunista, quello della "diversità", prevalente nel PCI fino alla svolta di Occhetto e che poi è rimasto sotto traccia anche nel Pds-Ds-Pd, avvelenando i pozzi).
Per gli uni le televisioni di Berlusconi erano uno strumento, per gli altri un modello.
Che le linee politiche fossero due lo si è visto bene dopo, quando i primi (o meglio, una parte dei primi: un'altra parte purtroppo rimase prigioniera del rancore e spesso non si è ripresa ancora oggi ...) hanno scelto di schierarsi a sinistra ed i secondi a destra.
In particolare, tra quelli che come me aderirono ai DS moltissimi erano di matrice craxiana. Evidentemente il nostro non era un anticomunismo di tipo razziale.
Quello in voga nel centrodestra, invece, ricorda un po' l'antisemitismo riesploso in Polonia dopo la caduta del Muro: un antisemitismo senza più gli ebrei, una categoria dello spirito, pre-politica.

Luciano Belli Paci

Anonimo ha detto...

Cominciamo col dire che non sono un osservatore neutrale.
Sarà pur vero, caro Maviglia, che molti socialisti hanno incensato Craxi e oggi lo demonizzano, ma ciò non si può dire di tutti: giudicavo il progetto di Craxi velleitario e perdente nel 1976, non ho mai cambiato valutazione per vent'anni (comportandomi di conseguenza), e mi sento libero, se non ti spiace, di continuare a dirlo, chiaro e forte, oggi.
Perché perdente?
Poneva una giusta esigenza: modernizzare la società italiana, farla evolvere verso i nostri ideali socialisti di libertà e pari opportunità per tutti, riconoscendo nello stesso tempo che non erano più adeguati all'evoluzione sociale alcuni aspetti della vulgata socialista tradizionale: il ruolo eccessivo affidato allo stato, l'egualitarismo a prescindere dai meriti, la dialettica sociale vista solo nei momenti di contrapposizione e non in quelli di sinergia, ecc...
Ma sbagliava clamorosamente nell'individuare la strategia con cui perseguire questi fini giusti. In sintesi, Craxi scelse di combattere una battaglia frontale contro le organizzazioni della sinistra storica, partito e sindacato. In questo modo, combatteva tutti i suoi possibili alleati invece di favorirne la maturazione verso la modernità. Ovviamente, ciò portò all'irrigidimento difensivo degli altri, ecc. (PCI di Berlinguer e sindacato avevano le loro manchevolezze, grandi e meno grandi; non ditemelo, lo so bene, ma non è di loro che stiamo parlando oggi).
Come è andata a finire, lo vediamo tutti: la maturazione della sinistra verso la modernità forse si sta completando solo oggi, altri vent'anni dopo; il disegno craxiano non è mai riuscito a decollare. Molti vi avevano partecipato in buona fede, molti vi avevano partecipato perché consentiva potere (dentro e fuori dal partito) e, diciamoci la verità, anche opportunità di guadagno non sempre onesto.

Fra coloro che vi avevano partecipato, dopo il '92, alcuni hanno continuato in buona fede a scambiare i fini con i mezzi: se la cosa più importante è "combattere i comunisti" perché non farlo alleandosi con la destra? Per la verità, Craxi stesso, dalla Tunisia, è sempre stato chiaro nel ricordare loro che i socialisti possono stare solo "contro la destra", quali che siano i limiti della sinistra.
Altri, opportunisti ed interessati, hanno visto che la destra berlusconiana, con la sua mancanza di classe politica preparata, offriva opportunità di sviluppo personale molto promettenti.
Quale motivazione prevale in ciascuno degli ex socialisti passati a destra? Asteniamoci dal giudicare entro l'animo di ciascuno.....
Gli uni e gli altri, però, sembrano covare un astio speciale contro la parte politica in cui hanno militato tanti anni. Credo che si spieghi con il rancore per torti veri o presunti subiti in passato, il servile desiderio di mettersi in mostra con i nuovi padroni, ma soprattutto con un senso di colpa e di vergogna verso sé stessi e il proprio comportamento, che li porta a reagire così.

Paolo Zinna

Anonimo ha detto...

Ribaltare la propria posizione culturale politica è una prerogativa non solo italica ma molto comune: ad esempio, il finanziere d'assalto Soros oggi ha elaborato una teoria socioeconomica che prende a pugni il modello capitalistico "della scuola di Chicago" (la vecchia!) ultraliberista; Bombacci sindacalista rivoluzionario passò a dirigere il sindacato corporativo fascista e si potrebbe continuare con la citazione di Flaiano con gli italiani che sono sempre pronti a correre in soccorso del vincitore.

Sport poco costoso ma specularmente negativo come il non cambiare mai idea.

Sergio Tremolada

Anonimo ha detto...

Cari Zinna e Belli Paci,
c'era, forse c'è ancora, un'altra categoria di Compagni: quelli acomunisti, con una spiccato senso dell'autonomia politica e culturale; parlavano di Sinistre (al plurale) proponevano un progetto di rinnovamento della cultura politica delle Sinistre concependo l'unità delle stesse come un mix pluralista e libertario.

Saranno stati minoritari, questi Compagni, ma non hanno mai smarrito il senso della loro proposta; hanno accettato compromessi dolorosi per le ragioni che conosciamo anche se non in profondità e continuano a pensare che le scorciatoie in politica non pagano.

Oggi tuttavia vi è una nuova questione urgente che si pone e vale per tutti a Sinistra (o che si sentono appartenere ad essa): la costruzione di un soggetto politico, come allora, pluralista ma con caratteristiche profondamente diverse, non tanto nei valori e nelle scelte di campo ma nella metodologia di lavoro e di elaborazione politica; per esempio mi è sempre restato stampato nella mente il Progetto Meidener (Studioso Svedese) non tanto per le sue concezioni rivoluzionarie ma per come il progetto fu portato alla discussione con Politici, Amministratori, Associazioni culturali, di categoria e professionali fino ai semplici iscritti al Partito socialista svedese.

Fraterni saluti

Sergio Tremolada

Anonimo ha detto...

Personalmente credo che la risposta sia speculare al fatto che una persona come Di Pietro stia a sinistra.
Diversi socialisti di vecchia data ricordano che i comunisti si rivolgevano ai socialisti etichettandoli "socialfascisti" (ed era l'epiteto più simpatico) dall'alto di una pretesa superiorità morale.
Qualcun'altro si ricorderà delle vicende legate alla campagna referendaria sulla scala mobile.
Anche l'amico Tremolada potrà confermare (e colgo l'occasione per salutarlo) che i manifesti del PSI venivano sempre stracciati dai militanti PCI-FGCI e mai da quelli del MSI.
Quindi, indubbiamente c'è chi si trova a destra perchè aveva aderito al PSI per pura convenienza ma c'è anche chi non può aderire a sinistra per dignità.
Francesco Maviglia

Anonimo ha detto...

Scusa Zinna,

Permetimi di commentare quando dici: "Credo che si spieghi con il rancore per torti veri o presunti subiti in passato, il servile desiderio di mettersi in mostra con i nuovi padroni, ma soprattutto con un senso di colpa e di vergogna verso sé stessi e il proprio comportamento, che li porta a reagire così".

Scusami, parli di senso di colpa alludento al fatto che "tutti i socialisti sono ladri".
Io personalmente ho conosciuto persone, oramai scomparse, che vivevano la propria militanza socialista con dignità e, anche dopo tangentopoli, potevano camminare a testa alta.
Forse, il vero problema della sinistra oggi è questo continuo atteggiamento spocchioso da superiorità morale nei confronti di chi la pensa diversamente o non proviene dagli stessi percorsi politici che può esaltare sul piano dialettico ma dal punto di vista pratico ha stancato gran parte dell'elettorato: molte parole, tanti bei principi e niente pratica.
Se purtroppo abbiamo questo governo, più che per merito di Berlusconi, ci troviamo di fronte alla mancanza di un'alternativa politica credibile all'elettorato che non è stupido quando vota a destra e illuminato quando vota a sinistra.

Francesco Maviglia

Anonimo ha detto...

Cari compagni rosselliani (anche per quanti non ci si conosce personalmente comincia a valere la conoscenza delle nostre idee)



Riprendo la parola da qua perchè sono in armoniosa sintonia con Sergio Tremolada, e se penso che anche il mio sentirmi lombardiano da sempre debba essere sottoposto alla verifica impietosa del tempo, sono molto convinto ancora oggi della categoria dell'A-comunismo, tanto cara al pensiero di Riccardo Lombardi, tanto più in presenza dell'abiura idiota (a mio parere) del comunismo che i comunisti italiani hanno fatto, incapaci di trattenere il buono che c'è ancora in una "idea", e limitandosi a gettare come giusto tutto il ciarpame sotteso all'ideologia.



E ciò sottolineato ritorno a riprendere il filo del mio precedente intervento.



Mi è capitato di sentire una conferenza di Telmo Pievani in cui fra l’altro il giovane professore raccontava che sono stati analizzati dei taccuini di Darwin in cui questi aveva annotato idee giovanili, che poi aveva cambiato, in alcuni casi proprio radicalmente, in età avanzata.



L’esperienza di chi è venuto dopo di lui ha potuto dimostrare che il Darwin nel giusto era quello giovane, e quello che cambiando idea aveva sbagliato, era quello anziano.



Dico questo per sostenere (a mio modesto parere ovviamente) che cambiare idea non è di per sé negativo o positivo, e questo vale in ambito scientifico, dove premesse e conclusione riuniti insieme formano enunciati sempre sottoposti a verifica; figuriamoci in politica, la cosiddetta arte del possibile e non certo del “certo”, dove le premesse o gli “enunciati dichiarativi” sono di quello specialissimo tipo per cui una volta sottoposti alla prova vero-o-falso, non di rado risultano veri-e-falsi.



Al di là del paradosso vorrei solo sottolineare che con il mio intervento precedente non intendevo menare scandalo a carico di chi cambia idea, ma di chi è servile oltre ogni decenza.



Semmai, e cerco spiegandomi di rincarare la dose, ho ritenuto di “sollevare scandalo” a carico di chi è servile oltre ogni decenza e per meglio aderire a tale natura, non si preoccupa minimamente di rendere trasparente il percorso che può averlo legittimamente portato anche a cambiare idea.



Succede così che di troppi si ricorda il loro essere stati socialisti, e cioè collocati fisiologicamente a sinistra nello schieramento politico, e ci si dimentica che ritrovarli a destra è comunque indice patologico.



Tanto più, quando hanno anche l’ardire di continuare a dirsi socialisti, magari anche sostenendo contemporaneamente che il “socialismo” è morto.



Tanto più, quando il loro collocarsi a destra risulta spuntare come un fungo, risulta slegato da un’inferenza, da un processo almeno un poco logico (ma qui sono io a peccare, perchè un ragionamento o è logico o non è), che sia soprattutto visibile nel suo dipanarsi, e che possa consentire di riconoscere, magari per confutarla, che è una “conclusione che segue dalle premesse”.



Quando al contrario si è in presenza di “conclusioni che non seguono dalle premesse”, che sia almeno consentito sollevare “scandalo”.



Aggiungo, sempre a mio modestissimo avviso, che la diade “destra-sinistra” potrà anche mutare nel tempo alcune sue caratteristiche, ma la politica sempre avrà un riferimento non topografico ad una sua sinistra e ad una sua destra, checché ne vada vaneggiando chi ritiene superate in radice queste categorie, e che proprio in radice, almeno pensando ai criteri di riconoscimento individuati da Norberto Bobbio, il legame fra socialismo (per quanto soggetto a sue benefiche ed augurabili trasformazioni), e la “sinistra”, rimane indissolubile.



Vittorio Melandri

Anonimo ha detto...

C'è anche la componente dello zelo del neofita.Comunque, io trovo che Tremonti, Sacconi e Brunetta stanno lavorando non male e a differenza dei prof. pieni di vanità e di vuoto del centro sinistra tentano di cambiare le cose senza parlarsi addosso. A parte l'euro, che però è merito di Ciampi, quali riforme ha prodotto il centrosinistra della seconda repubblica? La Binetti a bloccare tutto.-----

Anonimo ha detto...

Se possibile, sarei ancora più amaro.

Il progetto craxiano era un autentico progetto leninista. Di fondo, l'analisi della struttura e della sovrastruttura era finalizzata a resuscitare il partito, prostrato dopo diverse sconfitte elettorali e soprattutto politiche, e a modificare a vantaggio del PSI gli equilibri politico-elettorali.

Purtroppo, anche se le analisi, i progetti e le "parole d'ordine" hanno avuto un loro indubbio appeal - e per certi versi alcune intuizioni risultano attuali ancora oggi, vanno segnalati due errori di fondo.

1) Nelle intenzioni della dirigenza del PSI tra il Midas e i governo Craxi, i consensi elettorali avrebbero dovuto provenire dai ceti del merito e da quelli del bisogno, tra i quali il partito avrebbe costruito un'autentica alleanza.
Purtroppo in Italia non esiste - allora come oggi - un blocco sociale autenticamente interessato alla modernizzazione del Paese. I ceti del merito sono composti perlopiù da intrallazzatori, che vogliono solo sgombrare il campo dei loro predecessori per avere mano libera. E i ceti del bisogno sono, più che popolo dignitosamente sovrano, una plebaglia informe, che si rende fin troppo vogliosamente succube di imbonitori da fiera e arruffapopoli da quattro soldi.
Vi risparmio un'interpretazione pessimista della storia d'Italia dall'unificazione in avanti, ma credo che pochi possano dubitare della correttezza di affermazioni come quella di Pasolini, secondo cui in Italia vi sarebbero la borghesia più ignorante e il popolo più analfabeta d'Europa. L'Italia rappresenta, anzi, l'esempio migliore delle teorie di Colajanni sull'accumulazione sociale; teorie che pongono l'attenzione sulla lotta serrata, "tutti contro tutti", per l'appropriazione di quel poco di plusvalore che viene prodotto nel paese, senza che nessuno abbia l'intelligenza di un po' guardare al di là del proprio naso, all'interesse generale e al lungo termine.

2) il partito avrebbe potuto continuare a costruire successi politici, malgrado l'errore di fondo nell'analisi della società italiana (proprio come fu all'inizio dell'onda lunga) se, passato l'effetto "novità" di cui beneficia chi si proclama alfiere del "nuovo" e del "cambiamento", avesse saputo continuare ad essere credibile, anche solo un po' più degli altri, come forza di governo. Vale a dire se, confermando la propria netta differenziazione rispetto ai fantasmi che vagavano nella palude mefitica e sonnolenta della politica italiana negli anni del consociativismo DC-PCI, avesse saputo caratterizzarsi come il partito del buon governo e del fare.
In fin dei conti proprio a questo si è ridotta oggi la formazione che rappresenta la sedicente sinistra di governo in Italia: proclamare la propria "novità" - anche con forzature tragicomiche - e accreditarsi come forza del buongoverno, in gradi di rappresentare l'interesse generale.

Purtroppo, però, da un certo momento in avanti - per quel che ricordo dalla mia personalissima esperienza, a partire dalla seconda metà degli anni 80 - il partito è diventato un partito prevalentemente di potere. Da un lato, prigioniero di una concezione da guerra di trincea sullo scontro con il PCI e la DC, una camicia di forza sempre più stretta man mano che ci si avvicinava alla caduta del Muro; dall'altro, un partito caratterizzato da dinamiche interne che fanno pensare alle satrapie persiane più che a un partito democratico dell'Occidente avanzato. Un partito aberrante dal punto di vista antropologico, ancor prima che politico.
Come sia andata a finire, lo sappiamo tutti.

Ma la domanda era: perchè tanti craxiani a destra oggi.
Lasciamo stare - o piuttosto apriamo il dibattito in altra sede - il giudizio sull'azione di governo (?) di Tremonti, Sacconi e Brunetta. Che giustamente, quando militavano in un partito serio, erano al massimo comparse nella politica della propria regione di provenienza.
Per il resto, non perderei troppo tempo per analizzare i motivi della presenza di tanti ex gerarchi di livello intermedio del PSI tra le file di Forza Italia. In un paese in cui, quando si inizia una carriera politica, questo diventa non un servizio alla Repubblica, ma appunto una carriera professionale, darei per scontato che non poteva succedere niente di diverso. Almeno per quanto riguarda il personale politico, l'Italia eccede più che abbondantemente le quote fissate dall'Unione Europea relative alla percentuale di rifiuti riciclati!

Diverso è il discorso relativo all'elettorato. Se ci concentriamo sui soli ex elettori del PSI, credo che in realtà i cinque punti percentuali che separano il 9% ottenuto dal PSI di Mancini dal 14% di consensi dell'Onda Lunga non siano stati voti convintamente e consapevolmente socialisti, ma piuttosto voti contro la DC del compromesso storico (che, chissà perché, al meglio mi ricorda le mummie del convento dei Cappuccini di Palermo) e contro il PCI di Berlinguer, un partito, tutto sommato, ancora "straniero", portatore di una visione per alcuni versi arcaica della politica, buona forse per l'inizio degli anni '70 ma assolutamente superata dieci-quindici anni dopo.

Se questa visione, in cui anche quelli che si credono i più sofisticati tra di noi sembrano rispondere a logiche da Curva Nord-Curva Sud vi pare inadeguata, riflettete su questo: chi di noi è andato a destra descrive il PD come l'erede del comunismo del famigerato "Libro Nero", e chi di noi è rimasto a sinistra demonizza quel medesimo partito, compiacendosi assai di caricaturarlo come una banda di traditori e nemici del popolo.

Forse il socialismo italiano, alla fine, non era nulla più che un'associazione di tifosi da curva di stadio.

PpP

Anonimo ha detto...

Premetto che sono quotidianamente soddisfatto (sorpreso no di sicuro) dell’alto livello degli interventi in questo ambiente, in cui ho soprattutto da imparare.



Purtroppo condivido pienamente la fotografia di Pierpaolo espressa nel suo punto 1 (assenza di un blocco sociale autenticamente interessato alla modernizzazione del paese… etc…)

Da questa condivisione, e dalla mia ostinata nostalgia lamalfiana (che non si nutre solo di ragionamenti politici, ma anche di aspetti affettivi e psicologici del tutto soggettivi, che sarebbe intellettualmente disonesto occultare) nasce l’esigenza di ricordare che un dignitoso tentativo di modernizzazione del paese risiedeva nel tentare di valorizzare quel “luogo antropologico” dove forse si percepiva un “meno peggio” e quel luogo era (che ci piaccia o no), la base elettorale e il patrimonio umano degli attivisti del Partito Comunista Italiano.

Non tutta la base, né tutti gli attivisti, ovviamente, ma nel complesso un terreno un po’ meno povero di “humus civico” della media generale.

Tentare cioè di accelerare il lento cammino berlingueriano verso l’affrancamento definitivo dall’URSS, non attraverso un muro contro muro anticomunista, ma attraverso:



1 – l’ottenimento di risultati autenticamente riformatori (per come si usava allora il vocabolo “riforma”, non per come lo si usa spesso oggi), per via democratica, che esercitassero una funzione di seduzione verso una parte della base comunista.

2 – Successivamente (una volta fallito in gran parte il punto 1), la compromissione governativa del PCI (oltre alla già da tempo perseguita compromissione nella programmazione del sindacato).



Entrambe le cose, oltre che qualche passo verso la modernizzazione del paese, come corollario, avrebbero forse contribuito a quella inversione dei rapporti di forza a sinistra che invece Craxi pensava di ottenere con lo scontro frontale anticomunista.

Se fossi vigliaccamente (e insopportabilmente anche a me stesso) fazioso, potrei dire che non ci si è riusciti perché La Malfa è morto troppo presto.

Non mi sogno di sostenerlo (e sono sincero), ma ricordo che molti lo hanno sostenuto e intuisco che molti lo hanno pensato (forse Pertini, fra questi o fra quelli?)



Ed ecco la citazione:



“In lui [La Malfa] c’è sempre la tendenza a lasciare il reale per l’ideale, il concreto per l’astratto. In questo giovane ho ritrovato molti tratti di Carlo Rosselli”
(P. Nenni)



Indipendentemente dalla condivisibilità del contenuto (entrambi erano probabilmente molto più realisti di quanto apparivano), mi è piaciuto l’accostamento

biecamente orientato, da parte mia, ad una “captatio benevolentiae”, visto l’ambiente in cui mi trovo a scrivere.



Stefano Bazzoli

Anonimo ha detto...

No Francesco,
proprio il contrario di quel che dici.
Intanto sarebbe paradossale che dessi del ladro a me stesso, visto che sono socialista non pentito da molte decine d'anni. E che buona parte del PSI fosse fatto da persone oneste non dovrebbe esserci bisogno di dirlo, fra di noi (non tutti, però; lo sappiamo tu ed io).

Tornando ad oggi, sono convinto che i ladri non abbiano nessun senso di colpa per essere ladri, e quindi lasciamoli da parte.
Invece credo che il senso di colpa e di vergogna lo provino quelli in buona fede, che sono andati con Berlusconi per dispetto e rancore (in parte giustificati) verso la sinistra. Immagino che, se uno ha creduto nelle idee di Craxi, non debba trovarsi esattamente a proprio agio trovandosi fianco a fianco con La Russa, Gasparri, Borghezio; e, bada, non per quel che sono, per la loro storia, ecc, ma, molto più concretamente, per quel che i La Russa e c. dicono e fanno tutti i giorni. Se così non fosse, vorrebbe dire che questi ex socialisti non credono più a niente; la destra non è tutta uguale, e non merita tutta lo stesso atteggiamento; ma ce n'è più che a sufficienza di francamente sgradevole come alleato.

Quanto alla "superiorità morale" ecc., mi pare che c'entri veramente poco con quanto dicevo. Ti dirò, è un atteggiamento che mi è estraneo, se applicato a "chi la pensa diversamente o non proviene dagli stessi percorsi politici"; anzi, condivido persino il tuo giudizio sul fatto che certi atteggiamenti siano una delle cause delle sconfitte della sinistra. Tu mi permetterai, invece, di considerare con un certo disdegno gli opportunisti, chi sceglie il partito e lo schieramento in base ai possibili vantaggi personali, ecc. Non sarà legalmente rilevante, ma permettimi di escluderli dalle persone con le quali mi piace avere rapporti.

Per finire, una domanda: ma perché, ogni volta che si criticano gli ex socialisti che sono andati con la destra, TUTTI coloro che hanno condiviso la linea di Craxi la prendono come un'offesa fatta a tutti loro? E perciò vien fuori il giudizio di moralismo, i "tutti i socialisti sono ladri" e simili assurde forzature polemiche? Forse meriterebbe una riflessione.

Riassunto (voglio essere chiaro una volta per tutte su quel che penso):
- aver creduto nel progetto di Craxi negli anni 80 è stata una linea politica errata (a mio parere), ma perfettamente legittima e ammissibile
- credere ancor ora, dopo la prova dei fatti, che fosse giusta è, diciamo, un'ingenuità
- scegliere, perciò, di stare con la coalizione di Berlusconi, è far prevalere i risentimenti sulle idee politiche. Spiacevole, ma, di per sé, non eticamente censurabile. Chi lo fa in buona fede, si è già punito abbastanza da sé stesso, per il dover sopportare l'alleanza con certa destra.
- scegliere le posizioni politiche per vantaggio personale squalifica (sia che lo si faccia a destra che a sinistra, ovviamente). E credo che fra gli ex socialisti che stanno con Berlusconi, non tutti lo abbiano fatto proprio disinteressatamente.

Paolo Zinna

Anonimo ha detto...

Mi chiedo, sommessamente, che dignità possa avere chi ritiene di avere una storia socialista e si mette oggi - o appena ieri - con la destra. Con questa destra.
Scusate.
P. (1° tessera FGSI nel 1975)

Anonimo ha detto...

25 anni fa. Se il psi non fosse diventato un partito autoreferenziale, il caso Zampini unito a quello di Teardo a Savona erano segnali che una vera direzione politica avrebbe dovuto interpretare

Anonimo ha detto...

Su alcuni dei giudizi di Paolo Zinna ribadisco il mio cordiale dissenso.
Si chiede Paolo "perché, ogni volta che si criticano gli ex socialisti che sono andati con la destra, TUTTI coloro che hanno condiviso la linea di Craxi la prendono come un'offesa fatta a tutti loro?".
Non è vero: nel mio piccolo, io ho condiviso la linea di Craxi eppure mi unisco toto corde alla critica degli ex socialisti che sono andati con la destra. Di più, auspico che la si smetta una buona volta di parlarne utilizzando la definizione di "socialisti" dopo 14 anni dalla loro migrazione. Benito Mussolini uscì dal Psi nel 1914; nessuno riferendosi al Mussolini del 1928 si sognerebbe di parlare dell' "ex-socialista" Mussolini. Mussolini nel '28 era semplicemente fascista. E Cicchitto, Sacconi, Brunetta, Cazzola e soci - si licet ... - sono oggi semplicemente berlusconiani, forzitalioti, popolaridellalibertà. Anche perché ricordare l'ormai lontana origine politica avrebbe un senso se vi fosse traccia di quella matrice nell'attuale operare. Per esempio, ritengo che sia corretto definire uno come Del Pennino ex-repubblicano, visto che si è esposto più volte e in dissenso con la dirigenza di FI su alcuni temi caratterizzanti (laicità, referendum contro la L. 40 ...). Ma dei sullodati non si ricorda nemmeno un inarcare di sopracciglia in opposizione a scelte del loro attuale schieramento che, per un socialista che anche vagamente si ritenga ancora tale, erano ripugnanti.
Afferma inoltre Paolo che "aver creduto nel progetto di Craxi negli anni 80 è stata una linea politica errata (a mio parere), ma perfettamente legittima e ammissibile; credere ancor ora, dopo la prova dei fatti, che fosse giusta è, diciamo, un'ingenuità".
Io penso che giudicare ex post rischi di essere un po' semplificatorio e che le cose siano un poco più complesse.
Negli anni 80 nessuno immaginava che potesse a breve cadere il muro di Berlino. I primi a non immaginarlo erano i compagni del Pci, i quali infatti arrivarono finalmente a scegliere di cambiare nome e simbolo tre giorni DOPO la caduta del muro. E nessuno immaginava che il sistema delle tangenti, che vedeva partecipe tutto l'establishment nazionale e locale sia della politica sia dell'imprenditoria, potesse essere scoperchiato e distrutto da un ciclone come Mani Pulite.
Se si volesse dare un giudizio equanime del craxismo bisognerebbe valutarlo ex ante, cioé prima e senza quei due fatti epocali (di cui tra l'altro il secondo fu, a mio sommesso parere, ricaduta del primo).
Sarò un ingenuo (l'accusa di ingenuità è tra quelle che gradisco di più ...), ma resto convinto che con un Pci ibernato e declinante come quello degli anni 80 non fosse possibile altra politica che quella di dura contrapposizione messa in atto da Craxi. Sono felicissimo che il Muro sia caduto nel 1989 - io non sono un a-totalitario, sono un anti-totalitario !! - ma se fosse caduto pochi anni dopo, è del tutto verosimile che il Pci si sarebbe ridotto più o meno come il Pcf francese e che il Psi ne avrebbe largamente approfittato. Del resto, questo è ciò che dicono gli stessi dirigenti ex comunisti (v. Fassino, Per passione).
La storia e la politica non si fa con i se, d'accordo, ma neppure con retrospettive accuse di mancanza di doti divinatorie, che possono essere rivolte indiscriminatamente a tutta la classe dirigente dell'epoca.
Ciao.

Luciano Belli Paci

Anonimo ha detto...

Se posso inserirmi nella discussione, faccio notare che l’esperienza autonomista del PSI, originale ed affascinante, è stata una vicenda diversa dal craxismo. Ambedue tali esperienze sono state caratterizzate da una denuncia ferma degli errori del comunismo interno e internazionale e dalla constatazione dell’impossibilità di proporre agli italiani un’alleanza politica fra PSI e PCI, ma la prima ha rifuggito da un anticomunismo pregiudiziale ed è sempre stata fortemente ancorata ai valori e alle organizzazioni della sinistra, mentre la seconda ha seguito altre strade, abbracciando le tesi di un neo – liberismo alle origini ed accentuando e radicalizzando lo scontro con i comunisti. Personalmente fui vicino a Craxi per circa un decennio, dal 1958 al 1968 durante tutto il periodo della battaglia per l’autonomia socialista, per il centro-sinistra e per le riforme. Stavamo con Nenni, ma eravamo nel partito nel quale operavano anche De Martino e Lombardi, Giolitti e Brodolini, Foa e Fernando Santi. E l’equilibrio complessivo che ne scaturiva faceva del PSI il perno intorno a cui si svolgevano in quegli anni le attività di rinnovamento e modernizzazione della società italiana. Avevamo un confronto assai aspro con i comunisti, ma stavamo fortemente radicati nella CGIL e nella Lega delle Cooperative, così come nelle amministrazioni locali di sinistra, che avevamo voluto e difendevamo strenuamente. Craxi volle prendere le distanze da quella realtà in occasione dell’unificazione socialista e scelse l’alleanza con gli ultra anti-comunisti Tanassi, Cariglia e Nicolazzi, anziché con la sinistra del PSDI rappresentata da Matteo Matteotti, Zagari, Ugo Guido Mondolfo, ai quali erano vicini Riccardo Bauer e Giuseppe Faravelli. Il gruppo nenniano si ruppe a causa di quella scelta e nacque la corrente demartiniana, mentre Craxi e coloro che rimasero con lui assunsero le posizioni politiche moderate e di rottura verticale con il resto della sinistra che non furono da loro più modificate. Per un decennio tali posizioni rimasero fortemente minoritarie nel PSI, poi ebbero la prevalenza e da quel momento iniziò un lento ma inarrestabile decadenza del Partito sino alla sua consunzione. I militanti in disaccordo con la svolta craxiana si allontanarono alla spicciolata e la struttura del Partito, forte e fortemente radicata nella società in alcune zone del Paese, come ad esempio a Milano, si impoverì progressivamente. Craxi si curò di avere vicini a sé un gruppo di dirigenti capaci e fedeli, in grado di svolgere le funzioni di vertice e si preoccupò di intrattenere assidui rapporti con gli italiani attraverso il sistema mediatico, trascurando l’organizzazione del Partito. Aver spostato troppo a destra gli orientamenti del Partito ed averne reso esile la struttura organizzativa furono i due errori che portarono all’estinzione del Partito. Quando cadde Craxi si sciolse il Partito, perché ormai la persona del leader e la percezione del Partito erano diventate una cosa sola nella percezione dell’opinione pubblica. Personalmente rimasi iscritto sino al 1989 nella speranza che potesse verificarsi una svolta politica, come era accaduto vent’anni prima. Ma De Martino, Mancini e Lombardi non avevano più le energie e le volontà necessarie e nessuno in grado di proporre una nuova fase per il Partito si fece avanti. I Manca, i Signorile, i Cicchitto erano bravissimi nell’ordire e dipanare manovre di palazzo, ma non erano in grado di esprimere una leadership politica. Così, il Partito scivolò verso la fine e di tale processo io fui uno spettatore esterno sconsolato. L’adesione alla destra ed a Forza Italia è stata, a mio parere, un tradimento della tradizione socialista nel suo complesso, ma anche del contributo dato da Craxi alla politica italiana, contrassegnato da errori, ma sempre ancorato ad una visione laica e progressista. C’era da aspettarselo da chi aveva aderito al craxismo per ragioni strumentali e di carriera, come i Brunetta ed i Sacconi. Del tutto stupefacente il dietro-front politico di persone come Cicchitto, che considero una della personalità più deteriori e squalificate che calchino oggi la scena politica italiana. Giovanni Baccalini