Mi spiace intervenire sempre contro il PS e la sua dirigenza, probabilmente finirete per ritenermi come quei preti spretati, che passano la gran parte della loro nuova vita a bestemmiare e a sparlare delle gerarchie...
Ma quando ci vuole, ci vuole.
Immaginare che il socialismo possa rinascere lanciando slogan come "inclusione-merito-responsabilità" mi lascia con una strana sensazione.
Per non scrivere un trattato su cosa significhi essere socialisti nel XXI secolo (non ne avrei i titoli,e probabilmente finirei per annoiare), citerò le frasi di quel manifesto che più mi hanno colpito. Negativamente, è ovvio.
"La società italiana è bloccata da una contrapposizione feroce fra conservazione e innovazione".
Falso. La contrapposizione, oggi come sempre, ha per oggetto l'appropriazione del plusvalore. Anche se lo scontro sociale non è più così semplice da interpretare, come nel 1848, perché non più riconducibile allo scontro tra capitale e lavoro nella grande fabbrica fordista. Comunque, tra questa bislacca diade innovazione-conservazione e la teoria di Colajanni sull'accumulazione sociale, scelgo sempre la seconda.
..."Si continua ad attribuire il valore dell’innovazione alla sinistra in quanto forza del progresso; ma era così quando progresso significava soprattutto permettere a nuove fasce di lavoratori il riconoscimento dei loro diritti di cittadinanza...
Chi mal comincia, è a metà dell'opera. Ci sono qui due errori di fondo.
Dubito che le lotte che hanno portato ad una progressiva riduzione dell'orario di lavoro (da 16 a 13, poi a 10 e infine a 8 ore), alla la definizione di minimi salariali nazionali, all'introduzione di normative circa la sicurezza sul lavoro, all'istituzione di un sistema previdenziale e di assistenza sanitaria per i lavoratori avessero per oggetto "diritti di cittadinanza". Così come non credo che le leggi che consentono lo sciopero siano leggi che definiscono "diritti civili".
A me pare, invece, che tutte queste conquiste abbiano a che fare in parte con la redistribuzione della ricchezza, in parte con la definizione di un quadro entro cui regolare lo svolgimento dello scontro sociale, in modo che renderlo meno dirompente.
..."Ormai da molti anni la vita di ogni individuo è policentrica... La cittadinanza non si basa più soltanto sulla dimensione produttiva"... "la forza dell’individuo è data dal suo capitale relazionale"... Mah! Se tralascio le questioni di cuore, la gran parte dei problemi che mi preoccupano sono legate al modo in cui sono inserito nell'organizzazione della produzione di beni e servizi. In soldoni: cosa faccio e quanto guadagno, e quali sono le mie prospettive professionali ed economiche per il futuro. Ovvero: la mia dimensione come produttore. Perché, come cantava Celentano: "Chi non lavora, non fa all'amore"!
D'altro canto l'idea che qualcuno possa vivere una dimensione da "consumatore" del tutto avulsa da quella di "produttore" mi pare una delle più eclatanti mistificazioni degli ultimi tempi (una mistificazione di cui i più avveduti certo colgono mandanti ed esecutori).
In realtà l'arretramento delle posizioni del lavoro - e quindi il peggioramento delle nostre condizioni come produttori - è il primo responsabile del logoramento di quel capitale relazionale di cui parla Nencini. Una persona abbrutita da un rapporto di lavoro precarizzato e magari malpagato, isolata in un contesto lavorativo alienante e parcellizzato, priva di sicurezza, prospettive, autostima, difficilmente avrà modo di potenziare, valorizzare e utilizzare il suo capitale relazionale.
E comunque, per immaginare che la dimensione degli individui come "consumatori" sia alienante, non serve leggere Baumann; basterebbe ricordarsi del memorabile Sandro Pertini, che ricordava come a un padre di famiglia senza lavoro e senza una lira resti solo la libertà di vedere i suoi figli fare la fame e, in definitiva, la libertà di bestemmiare.
..."L’interdipendenza si rafforza attraverso la mobilità delle merci, delle persone, delle idee e delle informazioni. Mobilità che non va né avversata, né osannata, ma soltanto gestita.... Una nuova cultura riformista, una nuova sinistra deve rinnovarsi, accettando la difficile scommessa di questa gestione, attraverso dialogo e confronto con la composita e cangiante soggettività delle società contemporanee"...
Questo passaggio è un bell'esempio di genericismo altisonante. Sarebbe molto più utile se queste enunciazioni, appunto tanto generiche quanto altisonanti, fossero tradotte in una linea politica meno imperscrutabile. Oggi "gestire" la mobilità di persone e merci può significare, sia secondo Krugman (sinistra) che secondo Luttwak (destra) innalzare barriere. E sia la Bossi-Fini che la Turco-Napolitano intendevano gestire qualcosa, in quel caso la mobilità dei migranti. E quindi? In che direzione vuole andare Nencini??? Purtroppo, da queste esortazioni a "gestire la complessità" proprio non lo si capisce.
..."questa ridefinizione della cittadinanza ha spiazzato negli ultimi anni la sinistra, connotatasi nel Novecento proprio sulla centralità della dinamica produttiva e ora ... attardata a difendere logiche sindacali, sempre più frequentemente declinanti nel corporativismo, per l’obiettiva difficoltà a ripensare in queste diverse condizioni i diritti dei lavoratori"...
..."la difficoltà a instaurare un rapporto saldo con i cittadini, consumatori e utenti di beni e servizi, per continuare a privilegiare un primato dei produttori che è constatabile dalla difesa dei professori quando si parla di scuola e Università, dei magistrati quando si parla di giustizia, dei pubblici dipendenti quando si parla di pubblica amministrazione, fino ad arrivare alle timidezze e alle contraddizioni in tema di privatizzazioni, che hanno svantaggiato proprio i cittadini (si pensi alla privatizzazione in regime di monopolio dei servizi primari: acqua, energia, rifiuti)
Ammetto di non riuscire a interpretare la frase sulle timidezze e contraddizioni della sinistra in tema di privatizzazioni. Comunque: mi pare che la critica sia rivolta soprattutto a una sinistra che si vuole rappresentare tutta tesa a difendere, stolidamente e fuori dal senso della storia, i suoi ultimi fortini.
Affermazioni di questo tipo, per i miei gusti, ammiccano fin troppo all'azione di governo delle destre, lasciando intendere che alcune corporazioni - magistrati, baroni universitari, dipendenti pubblici avrebbero dovuto essere colpiti innanzitutto dalla sinistra quando, essendo al governo, ne aveva l'occasione.
Ma il problema non è di schieramento. E' piuttosto di merito.
Il problema non è se la magistratura sia una corporazione o meno (immagino di si), ma se le destre abbiano tentato di metterle il bavaglio o meno, e se la concezione per cui "non si disturba il manovratore" sia fonte di valida ispirazione quando si immagina la funzione del potere giudiziario in una democrazia avanzata.
Il problema non è se i baroni debbano essere cacciati dall'università, ma se le la 133 sia una legge che interviene sull'assetto del sistema dell'educazione nazionale in maniera coerente o, piuttosto, non sia una legge dttata esclusivamente da considerazioni relative al bilancio dello Stato.
Il problema non è se i dipendenti pubblici siano tutti dei fannulloni: questo deve deciderlo il loro capoufficio, e semmai quella che è mancata miseramente nela sua funzione in questi anni è proprio la dirigenza della pubblica amministrazione. All'azione di governo, però, non spetta sanzionare ritardatari e ipocondriaci, ma darci un'amministrazione pubblica degna di questo nome, soprattutto con la semplificazione normativa, con la qualificazione del personale e con l'automazione del lavoro. Un burocrate idiota che lavorasse duramente 8 ore al giorno, applicando leggi e normative insensate con metodi di lavoro arcaici rimarrebbe pur sempre un idiota che applica leggi e normative insensate, con metodi di lavoro arcaici, anche se lo facesse con grande zelo ed entusiasmo!
Ecco perché l'ammiccamento - o addirittura l'applauso - alle destre su queste questioni, un applauso che intende intercettare pare della popolarità di alcune campagne ben orchestrate, non solo è suicida politicamente, ma è anche sbagliato nel merito.
Su merito e responsabilità, mi pare che nel documento di Nencini i concetti siano stati sviluppati, seppure in buon italiano, in maniera superficiale e insufficiente.
In conclusione: trovo sconcertante che, pur di negare l'esistenza della lotta di classe (che di certo oggi si presenta in forme diverse rispetto a quelle del 1848) si ricorra ad arzigogoli retorici degni forse di miglior causa.
Il socialismo non è inteso per fare sociologia spicciola e per stupire con teorie "moderne" e analisi eclatanti; ma per dare rappresentanza politica ad una delle parti in causa nello scontro sociale.
Ma forse qualcuno se lo è dimenticato...
34 commenti:
Nella sua analisi dedicata al “socialismo ….. inteso per dare rappresentanza politica ad una delle parti in causa nello scontro sociale”, cioè in radice, nel solo modo in cui lo si può intendere (al di la della vastissima gamma di opinioni che tale modo può contenere), Pierpaolo Pecchiari giunto quasi al termine afferma:
“Il problema non è di schieramento. E' piuttosto di merito.”
Per quel che vale la mia opinione, condivido l’analisi nel suo insieme e ancor più trovo dirimente l’affermazione sopra citata, che considero una sorta di prerequisito, propedeutica a chiarire in premessa, che il socialismo nasce come risposta della parte più debole della società umana, per meglio stare dentro ad uno scontro sociale tuttora in atto e irrisolto, che da sempre la vedeva comunque soccombente.
Scontro sociale in questa fase se possibile ancora più cruento e aggravato dalla metamorfosi che il “potere di sempre” ha innescato da tempo, per fronteggiare le conseguenze della pratica democratica, che dal “potere di sempre” (almeno nell’Occidente dove pietre miliari sono i principi enunciati dai de Tocqueville e dai Montesquieu) è vista come l’aglio dai vampiri, con la differenza, a scapito del “potere di sempre”, che oggi alla pratica democratica non si può che formalmente inchinarsi.
Le vie maestre, seguite dal “potere di sempre”, per continuare a trionfare nello scontro sociale, e comunque limitare la perdita delle proprie insindacabili ed enormi capacità di controllo, sono oggi innanzi tutto, quella di negare l’esistenza dello “scontro sociale” stesso, elevato, cioè di fatto derubricato, quando proprio necessario, a scontro di civiltà, di una civiltà contro l’altra, disinnescando così quello scontro oggettivamente trasversale a tutte le civiltà, che ha da sempre quella dimensione globale e internazionale che oggi si riconosce al capitale (la parte forte nello scontro sociale) ma si continua a negare al lavoro (la parte debole nello scontro sociale) e ai suoi rappresentanti, il socialismo in primo luogo.
Si persegue poi la strada indicata di fatto da Pecchiari, quella cioè di deviare sistematicamente dal merito, riducendo sempre tutto a comode questioni di schieramento, per giunta viziate da ideologismo d’antan, per ricavarne il più facile modo di dividere il “giusto”, sistematicamente nella disponibilità del “potere di sempre”, dallo “sbagliato”, guarda caso sempre cavalcato da chi si attarda a dirsi nostalgicamente socialista.
Da non dimenticare infine, la strada che porta al sistematico e fattuale svuotamento di tutte le casematte conquistate dalla parte debole della società, e rimanendo ai nostri lidi, cito innanzi tutto la Costituzione, ancora incompiuta come la definiva Calamandrei negli cinquanta; la Legge 300/1970, indicata oggi come un obbrobrio giuridico che si chiama statuto dei lavoratori; cito poi la libera informazione, degradata senza scandalo, senza cioè che i fruitori ne avvertano la tossicità, a quel veleno omeopatico che fa sì che un corpo malato, la cosiddetta società civile, si creda forte sano e vigoroso, nel pieno delle proprie facoltà …… e, pur essendo molto più lungo questo elenco, salto all’ultimo tassello …… i partiti di sinistra, quelli tutti figliati dalla stessa matrice socialista e svuotati progressivamente ed inesorabilmente della loro ….ragione prima di esistere, quelle cioè di dare una speranza di resistenza alla parte più debole in campo nel feroce scontro sociale di sempre.
Due riferimenti in chiusura, uno solo citato, ed uno più breve che riporto per intero.
Quello che cito, e alla cui lettura rimando chi ha avuto la pazienza di leggermi sin qui, è la “penosissima” lettera al Corriere di oggi 19 nov. 08, di Walter Veltroni, esemplare, a dimostrazione di quanto ritengo di avere qui sopra esposto.
Quello che riporto per intero, è invece l’amaca di oggi di Michele Serra, e ve la propongo per la sua brevità ma anche suggestionato dal suo ritardo, perché quello dice oggi Serra sul riformismo, l’ho sentito dire, pari pari, da Riccardo Lombardi a Piacenza ventisette anni or sono.
Un cordiale saluto a tutti i rosselliani che mi leggono, e a mia difesa una precisazione. Se indulgo, per quel che mi riesce, ad evidenziare le magagne in cui siamo immersi, è perché credo che l’ottimismo di cui abbiamo bisogno, non sia quello dei nudi che faccia un buon inverno, ma al contrario, quello di chi sa perché ha freddo e cerca il modo migliore di coprirsi….
vittorio melandri
Michele Serra ha scritto:
“Per spiegare la loro folta presenza nella destra di governo, molti ex socialisti (vedi la replica del ministro Brunetta a Berselli, ieri su questo giornale) dicono di essere "riformisti". Purtroppo è una spiegazione che non spiega niente. Termine di immediata comprensione una novantina d´anni fa, quando serviva a distinguere, dentro la sinistra, chi voleva fare il socialismo a mani nude e chi invece voleva farlo in Parlamento, oggi riformista è la parola più generica e vuota dell´intera scena politica. Con rare eccezioni (il Papa, Guido Ceronetti, il portiere del Milan e pochi altri) non esiste in Italia chi non si dica riformista. "Sa, io sono riformista" è diventato l´incipit di qualunque discussione, e poiché l´interlocutore subito risponde "anch´io", ma cinque minuti dopo litigano imbufaliti su ogni possibile argomento, se ne deduce che la parola è del tutto insignificante. Del resto anche "riforme", che le dà origine, è appena un contenitore vuoto dentro il quale ciascuno può metterci quello che gli pare. Era frutto di riforme il Welfare, è una riforma anche farlo fuori. Ci sono le riforme liberali, quelle socialiste, quelle in favore dei poveri come il New Deal e quelle in favore dei ricchi come le Reaganomics. E pure le leggi razziali, a modo loro, furono una riforma. E dunque, chi vi dice di essere riformista è come un signore che vuole vendervi una cornice senza farvi vedere il quadro. Non necessariamente un imbroglione. Certamente un lacunoso.”
--------------------------------------------------------------------------------
CARO GIOVANNI, CONSIDERALO UN SEMPLICE SFOGO, FORSE FA INCAZZARE E
BASTA, SE RITIENI CHE POSSA ANDARE SULLA MAILING LIST MI FA PIACERE,
SE INVECE SEI DELL'OPINIONE CHE PROVOCHI NERVOSISMO E OFFESA LASCIA
PERDERE, NON MI OFFENDO MICA.
> non so nemmeno io se ridere o piangere quando leggo che Nencini
> sfida alla maniera di Cavallotti il " socialista" Brunetta al
> confronto in piazza, quello stesso Nencini che viene criticato
> aspramente per le sue tesi da altri interlocutori della mailing
> list del Rosselli perchè i suoi discorsi sull'individuo e il merito
> non sarebbero socialisti. Eppure mi ricordo ancora l'appello ai
> sessantottini da parte di Claudio Martelli in nome della nuova
> cultura politica del merito e dei bisogni. Più di venti anni fa,
> eppure sembra che ancora oggi se qualcuno tira in ballo la
> questione del merito non può che essere " di destra". Io sono stato
> uno di quei sessantottini che allora ci ha creduto, uno di quelli
> che a suo tempo prese sul serio la stessa impresa di un quotidiano
> come " Reporter": tanto per non fare nomi qualcuno si ricorda che
> allora fu un altro sessantottino che si scopriva amico dei
> socialisti, Adriano Sofri - quello strano personaggio che andava
> spesso nei paesi dell' Est ( con appoggio di alcuni socialisti) a
> prendere contatti con le sinistre " anticomuniste" alla
> Solidarnosc e via discorrendo. In quegli anni se ricordo bene
> Reporter, voluta da Sofri , appoggiata da Martelli, era finanziata
> da ... Silvio Berlusconi senza contropartite particolari( che io
> sappia) e aveva tra i suoi principali collaboratori Giuliano
> Ferrara. Anche allora dunque era lecita la domanda su chi fosse
> il " vero socialista". Difficile dare una risposta, la storia dei
> veri socialisti è sempre stata traversata da differenze, rancori,
> progetti diversi, distinzioni se vogliamo tra socialisti " di
> destra" e socialisti " di sinistra". Basterebbe ricordare la storia
> di Saragat e Nenni, palazzo Barberini, Pralognan, l'unificazione e
> poi di nuovo la scissione per rendersi conto del travaglio e della
> complessità. Erano veri socialisti queli della UIL o quelli della
> Cgil? Forse i casi sono due: o socialista è una di quelle
> denominazioni ( come quella di " compagno") che non si nega a
> nessuno ( ricordo ancora a metà degli anni settanta una buffa
> discussione della redazione del " Quotidiano dei
> lavoratori" ( Avanguardia Operaia prima di Democrazia Proletaria):
> si poteva o no scrivere " compagno" a proposito di Renato Curcio?
> Ci fu allora chi fece notare ironicamente che se si dava del
> compagno a Tanassi lo sui poteva dare anche a Curcio..) o
> socialista è per definizione, storia, cultura, una
> identificazione"plurale", meglio dire i socialisti come area
> plurale con tutte le sue differenze . Non che la questione non
> abbia una sua serietà, solo che a differenza della vecchia
> distinzione comunista fra cavalli di razza pulci e pidocchi, i
> socialisti hanno imparato a loro spese che scomunicarsi non serve
> a niente. E dunque cosa c'è di male nel prendere atto che esistono
> socialisti " berlusconiani" e socialisti " antiberlusconiani", e
> spesso entrambi hanno in comune una cultura e una metodologia "
> riformista"? Il giorno in cui qualcuno riuscirà a spiegarmi perchè
> un socialista " lombardiano" è più socialista di Tognoli, anzi è il
> vero socialista, perchè Nencini è più socialista di Martelli ,
> perchè Pia Locatelli è più socialista di un'altra compagna,
> perchè i radicali sono meno socialisti e la rosa nel pugno non è
> socialista, perchè Bobo Craxi è più socialista di Stefania Craxi,
> perchè Epifani è più socialista di Del Turco, etc, etc avrò capito
> davvero qualcosa .
comincio a rispondere ad attilio, con tutta amicizia:
esistono, a mio avviso, alcuni prerequisti per qualcuno che voglia definirsi
socialista, allora come oggi. Stare alla larga da padroni, fascisti e
razzisti.
sarà semplicistico, ma mi sembra un elementare criterio di riconoscimento,
che vale in tutta europa, meno che in Italia: è così difficile capirlo?
Ciao
Giovanni
> mi pare che la questione, almeno sul documento di Nencini, sia di
> tutt'altro genere. Le forme della politica moderna, per parlare
> rozzamente, comprendono due tipi di impegno: quello diciamo così
> amministrativo, si conquista il potere e si fanno delle cose perbene
> per mandare avanti la baracca e, da un punto di vista genericamente
> socialista, rendere più efficiente, più giusta, più libera la cosa
> pubblica; d'altra parte, come per antifrasi fa pensare il pensierino
> di Serra, si pensa che il mondo così com'è non vada bene e, forse,
> occorre tenere sempre presente che la politica può darsi da fare per
> cambiarlo o per assecondare i cambiamenti che migliorino la giustizia,
> la libertà e le opportunità per tutti, se no che socialismo è? Il
> problema di entrare nel merito è infinitamente più grande delle mie
> possibilità di pensarlo, ma qualche elemento mi pare stia emergendo:
> per esempio non si può più fare affidamento alla sfera politica
> nazionale etc., i problemi del welfare e della libertà
> d'informazione...il campo è infinito. Il documento Nencini, invece, se
> ho capito bene, non propone una visione globale e, passatemi il
> termine, utopistica, che fornisca la bussola, l'orientamento, la
> direzione. Io non credo che siano finite le grandi narrazioni o non ce
> ne sia più bisogno, mi pare purtroppo che siamo tutti quanti vittime
> di un'unica grande narrazione, la narrazione che non c'è più bisogno
> di grandi narrazioni. ma mi chiedo come pensiamo di coinvolgere
> qualcuno che non è interessato al pur gravoso e importante compito
> dell'amministrazione senza prospettargli un senso, un significato
> possibile? e senza questo coinvolgimento come possiamo pensare di fare
> massa critica? e poi ancora mi chiedo, il cittadino è assimilabile al
> consumatore? qualunque cosa voglia dire socialista, ben vengano le
> differenze di opinione pensiero e orientamento, si può declinare
> l'uguaglianza come uguaglianza delle opportunità e poi vinca il
> migliore? in Italia? leggo oggi su Internazionale che il parlamento
> olandese il 9 settembre u.s. ha, a larghissima maggioranza, misure
> fiscali atte a limitare i compensi ai top manager di quel paese.
> chiedo ancora: è socialista o no, come misura? è contro il merito
> oppure no? non voglio certo dire che bisogna dare patenti di
> socialismo o toglierle a qualcuno. la prima regola che mi pare si
> debba seguire è che ciascuno va chiamato con il nome che egli stesso
> intende darsi, per cui se qualcuno vuole chiamarsi socialista faccia
> pure, quello che vorrei sapere è cosa vogliono i socialisti di questo
> o quel gruppo per potermi regolare di conseguenza.
è un piacere intervenire su questa lista
Paolo Ceccoli
Ha scritto Giovanni, con adeguata umiltà che esistono, a suo avviso, alcuni prerequisti per qualcuno che voglia definirsi socialista, allora come oggi. Stare alla larga da padroni, fascisti e razzisti.
Mi accodo a lui e poiché prima di essere socialisti si è umani, ed in quanto umani si può sbagliare, eccome se si può sbagliare, arrivo a sostenere che può accadere anche di essere socialisti e trovarsi “PER SBAGLIO” a fianco di razzisti padroni e fascisti in un colpo solo, può anche accadere di essere socialisti e berlusconiani.
Perché sia chiaro che non sono io a definire Berlusconi razzista e fascista, ma è lui ad essersi issato sino alla Presidenza del Consiglio alleandosi con razzisti e fascisti, e ad essere onesti contando anche su un’opposizione ad un tempo presuntuosa tremacoda e cogliona.
Ma quando si sbaglia, si ha il dovere verso sé stessi innanzi tutto, di fare prima che si può, i conti con il dato che se l’errore perdura, non c’è ragione che tenga……. e si cambia eccome se si cambia, e nel caso, si arriva anche a non essere più socialisti. Per deformazione del prerequisito da sbaglio in qualcosa di peggio.
È stato alla Conferenza di Rimini del 1982, che apparve lo slogan “Governare il cambiamento” e ricordo bene la felice sintesi di Claudio Martelli che si spendeva “Per un’alleanza riformatrice fra il merito e il bisogno”.
E dello stesso anno si possono riferire le intenzioni annunciate e di suo pugno scritte sull’Almanacco Socialista del 1982, edito in occasione dei novant’anni del PSI, da Bettino Craxi:
“…Alla base di ogni revisione e di ogni cambiamento sta e deve stare, un cemento costante di fedeltà e di coerenza con i principi di libertà e di eguaglianza che costituiscono l’essenza intima e vitale del movimento socialista, dalle origini sino a noi”.
Poi fu solo il disastro.
E ci si illuse di poter controllare anche i diavoli e i padroni, figuriamoci i fascisti e i razzisti, si difese il Calvi dell’Ambrosiano e si sostenne ….. non il sacrosanto sviluppo della TV commerciale che stava nascendo, ma il monopolio in nuce dell’amico Berlusconi.
E che Berlusconi fosse anche un padrone speciale, dalle belle braghe bianche ma che di soldi non ne aveva, forse potevamo non saperlo noi, che per sapere che i soldi gli erano arrivati attraverso quel tal Rezzonico Renzo, avvocato in Lugano, legale rappresentante di quella Aktiengesellschaft für Immobilienanlagen in Residenzentren Ag abbiamo dovuto leggere nel 1995 Giuseppe Fiori che lo spiegava nel suo libro “Il Venditore – Storia di Silvio Berlusconi e della Fininvest”, ma poteva non saperlo chi gli aveva rilasciato le licenze edilizie che stanno alla base della sua fortunata carriera di immobiliarista in Milano?
Ma ancora dieci anni dopo, a disastro ormai consumato, con le macerie ormai visibili, invece di ammettere gli errori si descriveva la realtà come fosse solo imputabile agli altri….
“Uno sguardo più attento, una visione più approfondita devono mettere in luce il rapporto che c'è stato e che rimane, in Italia, tra partiti troppo forti e istituzioni troppo deboli. (…) Troppo spesso la partecipazione e l’associazione, gli ideali e gli interessi dei cittadini o si lasciano piegare alle logiche partitiche o vengono svuotati, aggirati, sterilizzati. (…) Dicevamo .. che tra le cause della crisi della politica democratica c’è l’alto numero di persone occupato in modo diretto o indiretto dalla politica. (..) Abbiamo l’esercito dei parlamentari più numeroso del mondo occidentale…per non parlare delle assemblee comunali, provinciali e regionali, di consorzi, comprensori e aree metropolitane, ciascuna con il corredo di apparati burocratici non di rado pletorici. (…) La somma di tutti questi impegni faceva ….. più di un milione di addetti, più di un milione di italiani che direttamente o indirettamente campano di politica.”
Claudio Martelli Bari 27/30 Giugno 1991, ultimo congresso del PSI, prima della scomparsa.
Ed oggi….. si dovrebbe ancora accettare di sentirsi dire che si può ancora essere socialisti e berlusconiani?
Diceva Gaber “Io non temo Berlusconi in sé, io temo Berlusconi in me....” se mi si passa la malignità, forse perché vedeva da vicino sua moglie.
No carissimi compagni, mi spiace di rivangare il passato, ma sembra proprio che non voglia passare ed oggi il sudiciume è sotto i nostri occhi dal tempo in cui (non B …erta ma) B….ettino filava, almeno da quando tornò in tutta fretta da Londra per ri-accendere le TV dell’amico B.
Il sudiciume è descritto nei minimi particolari negli esiti oggi irrisi, della Commissione Anselmi, che ha detto a tutti cosa “È” la P2.
Il sudiciume è descritto nei minimi particolari nei libri di….
Peppino Fiori “Il Venditore”
Nicola Tranfaglia “La sentenza Andreotti”
Enzo Biagi “La disfatta”
Peter Gomez Marco Travaglio “E CONTINUAVANO A CHIAMARLO IMPUNITÀ”
Livio Pepino “Andreotti, la mafia, i processi”
Roberto Saviano “Gomorra”
Andrej Longo “Dieci”
Solo per citarne alcuni……
E ormai molti anni fa il sudiciume lo ha denunciato in TV Libero Grassi prima di essere ammazzato, e non era il “pizzo” ma la “cattiva qualità del consenso” a cui tutta la politica italiana non ha mai rinunciato, nemmeno quando il prode Veltroni ha dichiarato di non volere i voti della mafia.
Il sudiciume diventa percolato, lasciandolo in discariche abusive, e tale si è lasciato che diventasse il Parlamento Italiano, una sorta di discarica abusiva in cui pregiudicati di ogni risma e in-eleggibili, sono da anni presenti senza che nessuno sollevi un ciglio, nascosti sotto la foglia di fico di un FALSO garantismo, intanto che di quello vero, quello iscritto nella Costituzione antifascista, è stato fatto mucillagine.
Il sudiciume diventa percolato all’ombra di commissari di tutti i governi, nelle discariche abusive di 5 regioni italiane, Campania, Puglia, Calabria, Sicilia e Lazio, dove da tre lustri, checché Massimo D’Alema ne sia andato orgogliosamente blaterando, nessuno si assume più le proprie responsabilità minime.
E si potrebbe continuare ancora a lungo con questa litania, ed allora, se è vero che la patente di socialista non ce la dà qualcuno ma ce la guadagniamo con i nostri comportamenti, mi si conceda almeno qui di rifiutare l’idea che possa essere considerato socialista uno che è ancora oggi al soldo di Berlusconi.
Vittorio Melandri
breve replica a Paolo Ceccoli. La politologia angloamericana
distingue tra POLICY E POLITICS proprio per articolare una
differenza tra politica amministrativa e politica progettuale. Ma
certo è problema
storico del classico movimento socialista fin dai tempi di Bernstein:
il movimento è tutto e il fine niente? O viceversa? Può valere la
pena ricordare che gli ortodossi Kautsky e Luxemburg erano
scandalizzati da Bernstein mentre col tempo si è riconosciuto che il
primato del fine non è detto sia meglio e che sono i risultati e non
le intenzioni a essere decisivi. Il riformismo vince o perde se e
quando realizza le sue riforme. Un riformista che non ce la fa a
realizzare le riforme ha perso, chi ce la fa è un vincente.
Ricordava anni fa Paolo Flores che la differenza è qui: un
rivoluzionario che
NON FA la rivoluzione ha sempre l'alibi ideologico del futuro, oggi
non ce l'ha fatta ma domani si, un riformista che non fa le riforme
non ha nessun alibi. Se adottiamo questo tipo di criterio potremo
provare a misurare anche la BELLA POLITICA di Veltroni e il WE CAN
di Obama sulla base dei risultati.
Alle tradizionali distinzioni produttore-consumatore-cittadino che
investono appunto produzione, consumo, società civile si aggiunge
oggi anche quella di soggetto ( individuo) e del rapporto con la
vita stessa e il potere ( la teoria della biopolitica) . pertanto la
politic attraversa tutti questi aspetti insieme.
In conclusione se è libero ognuno di autodefinirsi vero socialista e
di scegliere alleati e interlocutori, perchè non discutere di più dei
vero riformista e di meno del vero socialista? Tenendo presente che
ci sono stati anche riformisti "perdenti" di cui si discute ancora
oggi.
caro attilio, immagino che tu conosca quell'aureo saggetto del compianto
Gaetano Arfè intitolato "perché non sono riformista": esistono le riforme e
le contro-riforme...
resta da capire e da scegliere quali riforme si possono o si debbono
fare e perchè. Come?
paolo ceccoli
Una premessa: non sarei intervenuto sul cosiddetto "manifesto Nencini" se lo stesso non fosse stato inviato alla mailing list come stimolo al dibattito. Per quel che mi riguarda, le vicende interne al PS mi interessano tanto quanto i risultati del campionato di calcio kazhako, e per fortuna il dottore ancora non mi ha ordinato di considerare questo partito come una sorta di medicina, da assumere comunque, per quanto amara possa essere.
Ciò detto, mi interessa di più tornare sulla questione posta da Paolo, che si chiede: …
“si può declinare l'uguaglianza come uguaglianza delle opportunità e poi vinca il migliore? in Italia? leggo oggi su Internazionale che il parlamento olandese il 9 settembre u.s. ha, a larghissima maggioranza, misure fiscali atte a limitare i compensi ai top manager di quel paese. Chiedo ancora: è socialista o no, come misura? è contro il merito oppure no?”
Tanto per entrare nel merito delle questioni, risponderei citando qualcuno che di certo non è né socialista, né comunista, ma si definisce semplicemente un liberal, l’ultimo premio Nobel per l’Economia Paul Krugman (un po’ meglio di Brunetta, comunque la si pensi sul Nobel. Ne “La coscienza di un liberal” Krugman indica nella crescita della disuguaglianza economica e sociale uno dei motivi di maggior malessere della società americana – con argomenti molto simili a quelli che noi socialisti dovremmo conoscere bene e praticare ancor meglio. E indica in politiche redistributive post mercato, basate su un aumento dell’imposizione fiscale ai ceti più ricchi, la soluzione al problema. Politiche redistributive post-mercato, incentrate sul fatto che lo stato deve impegnarsi a fornire tutta una serie di servizi (sanità ed istruzione in primis), oltre che una qualche forma di sostegno al reddito (a cominciare dalle pensioni di vecchiaia) e di ammortizzatori sociali. In sostanza Krugman propone ricette svedesi o se preferite, visto che gli esempi che fa nel libro li prende dalla Francia, francesi. Non solo: Krugman si pone il problema di individuare fome di politiche per ridurre la disuguaglianza di mercato, e studia le conseguenze (che tutto sommato giudica vantaggiose) della definizione di salari minimi garantiti per i lavoratori.
Vediamo un po’: aumento della tassazione per i ceti più ricchi; rafforzamento del sistema di welfare; introduzione del salario minimo (con, in più, l’individuazione nel sindacato di un interlocutore importante e da rivitalizzare). Mi pare tutto il contrario di certi programmi modernisti, che individuano nel sindacato il nemico di una sinistra finalmente moderna; che piangono come inevitabile eutanasia la scomparsa del sistema di welfare come lo avevano conosciuto i nostri genitori; che accettano, in nome di una “competitività” delle imprese tutta da definire, qualunque forma di flessibilità e di riduzione del potere d’acquisto di salari e stipendi. Probabilmente certi modernisti considererebbero le proposte di Krugman come quelle di un pericoloso comunista, degno delle attenzioni di una rediviva commissione McCarthy.
Ma fatto trenta, non mi resta che fare trentuno. Perciò mi piace concludere questo post citando brani da una recente intervista a Bruno Tabacci:
…“Nel corso degli anni l’avanzare delle pretese e dei diritti non si è mosso di pari passo con quello dei doveri e delle assunzioni di responsabilità. Nel contempo la politica, con l’avvento della Seconda Repubblica, si è intimidita, lasciandosi mettere in un cantuccio da altri poteri e questo ha comportato il venire meno di quella fondamentale funzione di sintesi tra i vari interessi che si contrappongono in una società e che proprio la politica ha il dovere di tenere insieme individuando la sintesi. Così oggi assistiamo a mille assemblee di categoria in cui ogni settore del mondo produttivo non fa altro che rivendicare meriti e tentare di trasferire colpe sulle altre categorie”…
…”Non siamo in grado di disporre di dati reali sui fondamentali della nostra economia in quanto sediamo su una quota di sommerso totalmente fuori controllo. Secondo alcuni studi la nostra economia in nero è pari al 20% del pil, secondo altri sfiora il 40%. Mi pare credibile una stima intorno al 30%. In ogni caso l’evasione fiscale in Italia è almeno doppia rispetto alla media degli altri paesi Ocse. Ciò significa che qualunque intervento di politica economica rischia di vedere distorti o paralizzati i suoi effetti da questa montagna di ricchezza tenuta nascosta”…
…”Dalle banche all’energia, passando per telecomunicazioni, autostrade e assicurazioni, tutti i settori che prima venivano controllati dallo Stato ora sono in mano a pochi privati. Alle privatizzazioni insomma non sono seguite le liberalizzazioni dei mercati e lo sport più in voga in questo momento, la cattura dei regolatori da parte dei regolati, ne offre la rappresentazione
più plastica. È evidente che se un determinato settore si sostiene muovendosi secondo logiche di monopolio rischia nel medio lungo termine di andare incontro a brutte sorprese, mentre nel breve a pagare i costi sono i cittadini”…
…”Mentre la Lega si fa notare per le sciocchezze sull’uscita dall’euro, il sistema bancario suona
cacofonici concerti per difendere la bufala dell’italianità delle banche mentre i cittadini sopportano i costi dei servizi bancari più alti d’Europa, le assicurazioni ricevono maxi-stangate dall’Antitrust per la formazione di cartelli e ancora i cittadini si ritrovano a pagare premi altissimi. E lo stesso possiamo dire per l’energia, le autostrade, le telecomunicazioni, con tariffe che regolarmente risultano tra le più alte d’Europa. Eppure questi settori erano stati sì privatizzati per fare cassa, ma anche per renderli più efficienti e contemporaneamente meno costosi per i cittadini.
Ma i privati che si sono inseriti anziché aprirsi alle logiche di mercato si sono chiusi perpetuando il monopolio questa volta a beneficio delle proprie tasche e non più della generalità. O mettiamo mano a questa realtà o l’Italia scivolerà sempre più in basso e più rapidamente nelle classifiche internazionali. Ma per farlo serve un sussulto d’orgoglio della politica: da troppo tempo sta a guardare. E il problema, lo ripeto, attraversa tutti gli schieramenti”…
In sostanza: una cruda denuncia dell’evasione e del nero, che hanno raggiunto livelli indegni di un paese civile; la rivendicazione del primato della politica rispetto agli interessi corporativi, per quanto urlati essi siano; l’indicazione dei veri bersagli di una politica di liberalizzazioni (altro che tassisti, farmacisti e benzinai!!!).
Ecco: sia pure in maniera diversa, nelle analisi di Paul Krugman e di Bruno Tabacci - che pure socialisti non sono, né mai lo saranno – mi riconosco, come socialista, molto di più di quanto non sarebbe lecito aspettarsi.
Ma a noi, per l’accanimento di un destino sempre più cinico e baro, tocca in sorte discettare di inclusione, merito e responsabilità…
Sono stufo di sentire critiche al PS ed ai suoi dirigenti come se non sapessimo che questo è il "legno" a disposizione; se c'è di meglio si faccia avanti, proponga cose nuove e migliori (delle seconde c'è più bisogno).
Da parte mia sto predisponendo delle riflessioni sulla situazione attuale, sul ruolo del PS, sulla Politica e sulle prospettive che si stanno aprendo a causa della gravissima crisi che i pasdaran del liberismo hanno provocato.
Sarà a breve pronto un succinto "saggio" (pomposa parola) su proposte di cose da fare che vorrebbe, se si vuole, avviare un dibattito di rilievo anche nel gruppo del Rosselli con l'intento non di convincere qualcuno ma di dare un contributo ad un nuovo Socialismo nel nostro Paese; sarà mia cura farvene avere una copia (di cui potrete farne quel che vorrete).
Fraterni saluti.
Sergio Tremolada
La nostra costituzione è minacciata. La nostra forma di governo parlamentare secondo la Costituzione è stata modificata implicitamente con le leggi elettorali via via approvate, quella in vigore è addirittura scandalosa. Meglio allora afferrare il toro per le corna e l’unico strumento è una Assemblea Costituente eletta alla proporzionale.
Cordialmente.
Felice Besostri
Capisco la posizione, ma non concordo affatto.
Con la stragrande maggioranza degli elettori consciamente o inconsciamente succubi di un pensiero egemone individualista e chiaramente di destra, un'assemblea costituente eletta in questo periodo storico genererebbe una carta costituzionale nettamente peggiore, per quanto riguarda i valori della prima parte, dell'attuale.
Si può discutere su tutto il resto, sulla struttura dello stato, sulla forma di governo, ma la prima parte della costituzione non deve essere messa in discussione, tantomeno in un momento come questo.
Sul fatto che tra le cause della debolezza socialista in Italia vi è l'incapacità
di convivere nello stesso partito di sensibilità diverse, non ci piace. Ma
sul fatto che ci deve essere un minimo comun denominatore altrettanto. Le
scriminanti poste da Giovanni sono condivisibili proprio perché essendo di
maglia larga non impediscono che ci siano socialisti con opinioni diverse,
ma appunto con un'identità che non li confonda con la destra.
Cordialmente.
Felice Besostri
Caro Petrone,
il modo migliore è leggere la relazione che accompagna il testo della legge, relazione che puoi trovare sul sito www.partitosocialista.it
certo ci possono essere pareri diversi, ma comunque non è nella cultura rifomista e socialista rinunciare al bisogno delle riforme necessarie, nè rinunciare a proporre solo perchè non c'è un governo "amico"
un caro saluto
Ma difatti non si tratta di governo amico o meno, si tratta di momento storico.
La costituzione repubblicana è nata in un momento in cui i valori democratici erano condivisi e forti avendo subito vent'anni di dittatura fascista.
Si è raggiunto un alto compromesso per quanto riguarda i valori proprio per quel motivo, ora la cosa è quasi ribaltata, e un conto è chiedere modifiche alla carta costituzionale per quanto riguarda la struttura dello stato, quelle che si possono definire "procedure operative" un conto è richiedere un'assemblea costituente e quindi una modifica della carta costituzionale da quella assemblea per quanto riguarda l'intera carta, valori fondanti inclusi.
Sarebbe sensato se a richiederlo fosse forza italia, o chi per loro, dato che avrebbero motivo come più volte dichiarato di eliminare la "inutile ed insensata" centralità del lavoro dichiarata dalla costituzione, per mettere al centro l'impresa, per esempio, o chesso io.
Ma che a richiedere una modifica del genere siano i socialisti, mi ha lasciato stupefatto, perchè delle due almeno una delle seguenti: o non ci si rende conto del clima culturale e politico, o si è dell'idea "nuovista" per cui meglio cambiare anche se in peggio.
Inoltre anche se si fosse con un governo e in un clima "amico" io non trovo niente da modificare nella prima parte della costituzione che possa richiedere addirittura una costituente.
Ho letto la relazione sul sito, e resto dello stesso parere.
Roberto
Ai sensi dell’art. 138 della nostra Costituzione il PdL da solo la può modificare e, se concorda con il PD, la maggioranza dei 2/3 impedirebbe ogni referendum confermativo.
A fronte del rischio una assemblea costituente è meglio. Comunque stai tranquillo che quel progetto, avendo bisogno della doppia lettura quale legge costituzionale, non sarà mai approvato, anzi non arriverà nemmeno ad un voto in Commissione.
Cordialmente.
Felice Besostri
E' proprio l'esatto contrario. Lo dimostrano i fatti: la destra, per la verità anche la sinistra, continuano a chiedere e a introdurre modifiche alla seconda parte sull'ordinamento dello stato perchè è ciò che serve a loro per governare con meno democrazia, ma se ne sbattono della prima parte perchè in quella dovrebbero fare i conti con il grande problema dell'allargamento dei diritti confrontandosi con la modernità della società di oggi e almeno alla scala europea.
I nostri padri costituenti, e mi riferisco proprio i nostri, quelli che nella Costituzione hanno, per allora con assoluta lungimiranza, definito il quadro dei principi e delle libertà nella prima parte, si sarebbero guardati bene dal consentire la modifica della seconda senza la modifica della prima da cui la seconda, come dicevano loro, discende.
Questo è il punto. E questo è il tema posto dei migliori costituzionalisti, quelli che interpretendo la temporaneità della carta hanno sempre sostenuto in questi ultimi venti anni la necessità di un suo adeguamento. Ma naturalmente sono stati inascoltati e sbeffeggiati, dai politicanti e politici, paladini delle bicamerali, dal centrosinistra, come dal centrodestra, che in nome dell'intoccabilità della Costituzione, perfetti imbroglioni, mascalzoni in doppio petto, hanno fatto della nostra democrazia istituzionale carne di porco. Ma naturalmente assolti perchè non hanno toccato la sacrale prima parte.
Biscardini
Su un piano concettuale hai anche ragione,ma su quello pratico ti ricordo quelle petulanti sciagurate delle pari opportunità che ci hanno spinto alla catastrofe sulle staminali
Non condivido il filone di pratica e pensiero che si riferisce, detto alla buona, alle pari opportunità. Troppo spesso si risolve nel mimetismo nei confronti del maschile che - mi pare - non sia strada troppo feconda. Penso, detto altrettanto alla buona, che le questioni relative alla vita ed alla morte dovrebbero essere, se non delegificate, almeno "governate" da forme di diritto leggero. Quindi non amo leggi e regolamenti attuativi e circolari interpretative e referendum abrogativi. Eccetera. Ma perché, quando si parla di donne, si deve essere superficiali ed approssimativi? Chi sono le petulanti sciagurate delle pari opportunità? Anche Marco Pannella è inquadrabile in questa categoria?
Scusate il probabile eccesso
Paola
hai ragione e mi scuso per il politically uncorrect. Il fatto è che ho bene presenti le deputate e senatrici piemontesi dei ds, in genere prof CGIL delle medie, che hanno ritenuto politicamente irrinunciabile il referendum disastroso su temi tanto sacrosanti quanto incomprensibili, e assolutamente non spiegati da nessuno. Il MASSIMO CHE HO SENTITO IN QUELLA CAMPAGNA REFERENDARIA, DA PARTE DI DOCENTI DI FILOSOFIA MOLTO ILLUSTRI è STATO "NON HO CAPITO BENE, MA SO che in campo scientifico se c'è una controversia, è sempre meglio mettersi dalla parte opposta di quella della Chiesa"
Sul fatto che Pannella sia petulante, poi, lo dicono, unanimi, tutti i radicali-----
Concordo in modo assoluto sulla disastrosità di quella campagna referendaria, ma anche di quello che c'è stato prima e di quello che c'è stato dopo.
Però non ne faccio questione di political correctness, ma di giudizio politico ... :-)) e penso che quanto hai scritto ora contenga molti elementi di verità.
Un caro saluto, Paola
Ma se siamo tutti d’accordo che l’attuale Parlamento non è disposto ad approvare una legge che –almeno incredibilmente, se non ... incostituzionalmente- dia vita ad un’assemblea costituente per l’integrale riforma della costituzione e che –soprattutto- il prodotto nuovo sarebbe comunque, in una fase come quella in cui ci troviamo, peggiore di quello (pur disapplicato, violato ed eluso) che abbiamo, non sarebbe meglio evitare l’argomento? Per scaramanzia, se non per evitare proposte impossibili o pericolose.
Saluti cari.
Mario Viviani
Sono totalmente d'accordo con il compagno Viviani.
Nencini pensa di uscire dall'angolo facendo proposte che sembrano ispirate alla filosofia di Jannacci:
"Si potrebbe andare tutti quanti al tuo funerale
Vengo anch'io? No tu no
per vedere se la gente poi piange davvero
e scoprire che e` per tutti una cosa normale
e vedere di nascosto l'effetto che fa"
Per ora, quando hanno cambiato - o tentato di cambiare - la Costituzione l'hanno cambiata in peggio: dalla riforma demagogica dell'art. 68 sull'immunità parlamentare, alla raffazzonata riforma del titolo V fatta dal centrosinistra, alla cervellotica riforma federalista fatta dal centrodestra e poi bocciata dal referendum.
Io sono convinto che alcune modifiche in materia istituzionale sarebbero utili: correzione del bicameralismo perfetto, sfiducia costruttiva, potere del premier di licenziare i ministri, modifica del sistema di elezione del presidente della Repubblica (col maggioritario, se si vuole che il Presidente resti un organo di garanzia, non basta richiedere la maggioranza assoluta dei grandi elettori, occorre o introdurre una maggioranza qualificata, o prevedere l'elezione popolare diretta ...), eliminazione del Concordato, ecc.
Però, avendo a che fare con "padri costituenti" come questi, e non mi riferisco, sia chiaro, solo al centrodestra, penso sia moooolto meglio non toccare nulla e tenerci stretta la gagliarda e progressista Costituzione del 1948.
Luciano Belli Paci
Mi pare che l'argomento di Mario abbia una sua logica pittusto forte e stringente.
Franco D'Alfonso
Anch’io sono perfettamente d’accordo con la riflessione di Mario Viviani. Oltretutto il PS non ha ne la forza ne la rappresentanza per poter condizionare in alcun modo gli eventuali lavori di revisione costituzionale. Nelle condizioni attuali della presenza socialista in Italia, servono a poco le iniziative estemporanee per apparire, occorre mettere a punto una piattaforma politica in grado di suscitare nuove adesioni e metodi di lavoro democratico che diano un senso alla partecipazione di chi è d’accordo. Cari saluti. Giovanni Baccalini
bene, ma non troppo banali, o scontate dal cicaleccio politico. Per esempio una raccolta di firme per una commissione parlamentare di Inchiesta sulla privatizzazione delle autostrade, la madre bipartisan di tutte le pirvatizzazioni, un saccheggio senza fine che paghiamo ogni giorno con le tariffe più alte del mondo...
E un'altra raccolta di firme per abolire le ganasce fiscali, che spingono i poveri a correre dall'usuraio
Leggo le considerazioni critiche di Luciano Belli Paci e di Mario Viviani sull’iniziativa presa dal PS di raccogliere le firme per un’Assemblea Costituente. Rispondo a Mario. Mi sembra che sia in forte contraddizione. Non si capisce perché i socialisti non dovrebbero proporre un’Assemblea Costituente anche se “l’attuale Parlamento non è disposto ad approvare una legge che dia vita a un’Assemblea Costituente.” Da quando in qua dobbiamo proporre delle iniziative solo quando il Parlamento è già disposto a farle, anzi che senso avrebbe proporle? Il nodo è proprio questo. Di fronte a uno schema bloccato del Pdl e Pd che vorrebbe continuare a pasticciare sulla Costituzione senza affrontare di petto la questione che almeno da trent’anni la cultura giuridica e la politica dei socialisti ritengono questa Costituzione insufficiente e superata, l’iniziativa dei socialisti è proprio quella di mettere in evidenza questo ritardo e questa contraddizione. In altre parole prendere le distanze e rompere con il sistema bloccato Pdl e Pd.
Allego le risposte che avevo già dato a Roberto Patrone a partire dal 20 di novembre che stranamente non vedo riportate nelle mail di questa mailinglist.
Comunque come dicevo a lui consiglio la lettura della relazione allegata al testo di legge.
A Besostri ricordo che la legge che stiamo proponendo non è costituzionale ma ordinaria, e pertanto non è sottoposta alle procedure del 138.
Biscardini
E' proprio l'esatto contrario. Lo dimostrano i fatti: la destra, per la verità anche la sinistra, continuano a chiedere e a introdurre modifiche alla seconda parte sull'ordinamento dello stato perchè è ciò che serve a loro per governare con meno democrazia, ma se ne sbattono della prima parte perchè in quella dovrebbero fare i conti con il grande problema dell'allargamento dei diritti confrontandosi con la modernità della società di oggi e almeno alla scala europea.
I nostri padri costituenti, e mi riferisco proprio i nostri, quelli che nella Costituzione hanno, per allora con assoluta lungimiranza, definito il quadro dei principi e delle libertà nella prima parte, si sarebbero guardati bene dal consentire la modifica della seconda senza la modifica della prima da cui la seconda, come dicevano loro, discende.
Questo è il punto. E questo è il tema posto dei migliori costituzionalisti, quelli che interpretendo la temporaneità della carta hanno sempre sostenuto in questi ultimi venti anni la necessità di un suo adeguamento. Ma naturalmente sono stati inascoltati e sbeffeggiati, dai politicanti e politici, paladini delle bicamerali, dal centrosinistra, come dal centrodestra, che in nome dell'intoccabilità della Costituzione, perfetti imbroglioni, mascalzoni in doppio petto, hanno fatto della nostra democrazia istituzionale carne di porco. Ma naturalmente assolti perchè non hanno toccato la sacrale prima parte.
Biscardini
Se non mi piace la pallacanestro, non ne invoco un cambiamento delle regole per farla assomigliare al calcio. Semplicemente, cambio sport (o canale televisivo).
Fuori di metafora, in un paese dominato dagli oligarchi, dai profittatori di regime e, (quando va bene) dalla mignottocrazia;
in un paese con i meccanismi di selezione delle classi dirigenti che conosciamo - soprattutto per quanto riguarda quel particolarissimo e vitale sottoinsieme della classe dirigente di un paese che è la classe politica;
in un paese dove il patto sociale è chiaramente saltato - e ne fanno fede il 30% di nero/sommerso/evaso rispetto al PIL, come anche la commistione fra criminalità organizzata e classi dirigenti/dominanti al Sud (ma forse non solo al Sud):
ecco, in un paese così, ci illudiamo che sia sufficiente la richiesta di un cambiamento della Costituxione per cambiare le cose?
Io credo che questo non basti e non serva.
Il 1992 ci ha dimostrato che un cambiamento della costituzione materiale di questo paese è possibile solo attraverso passaggi drammatici, dolorosi, talvolta anche truci.
Chi vuol fare politica avendo come obiettivo il cambiamento deve attrezzarsi per inserirsi in uno scontro sociale inevitabile, auspicabile, igienico.
Ma chi ha in mente la conquista di una seppur minima visibilità in vista delle prossime scadenze elettorali continui pure. Come cantava Vasco: va bene, va bene, va bene così...
PpP
A Pierpaolo
proprio perchè si vuole stare dentro lo scontro e il conflitto sociale che invochiamo un Assemblea Costituente, primo passaggio per una costituzine diversa. Costituzione che attraverso un nuovo patto tra cittadini e Stato deve affrontare. Fu cosi anhe nel '47.
Il primo movimento per aggionare la Costituzione ai nuovi diritti e alla spinte di libertà enerse proprio dopo il '68 e al bisogno di riforme civile esociali degli anni '70.
Senza alcuna ironia.
Biscardini
Continuo a pensare che invocare, da sinistra, una modifica costituzionale in questo periodo storico, sia solo un suicidio.
Per alcuni può essere dovuto all'opinione, diffusa, che tutto sommato il pensiero di destra non sia così egemone e attualmente pericoloso (cosa che per me è invece palese), le altre spiegazioni sull'opportunità dell'assemblea costituente che ho sentito in mailing list non le condivido.
Che ci sia o meno la possibilità che la costituzione venga ulteriormente peggiorata attraverso legge costituzionale del parlamento attuale, la costituente non migliorerebbe certo la situazione, dato che le componenti elette rispecchierebbero la situazione culturale del Paese, salvo cambiamenti epocali, che la crisi potrebbe portare (in bene o anche in male).
Più che una raccolta di firme si potrebbe fare, a proposito delle concessioni autostradali, delle conseguenti gestioni e dei relativi controlli, una denuncia circolare a tutte le Procure e le Procure Generali d’Italia. Non che le Procure siano sicuramente meglio delle commissioni parlamentari, ma per vedere l’effetto che fa.
Saluti a tutti.
Mario Viviani
Mi sembra che la vera questione posta sia il possibile equilibrio (sbilanciato a destra per i critici) che uscirebbe, in questa fase politica, dalla Costituente.
Penso che questa la situazione dovrebbe essere considerata così oggi; domani, dopo un po' di "governo" Berlusconi (promesse, promesse e pochi fatti concreti) si potrebbe riprendere in considerazione la Costituente. La proposta di Boselli (ai suoi tempi) sì che avrebbe potuto trovare equilibri più positivi mentre la cultura politica dei "nuovi" politici mi sembra essere, oggi come ieri, ben lungi da quella del secondo dopoguerra.
Sergio Tremolada
Basta con il solo pessimismo (che spero sia quello dell'intelligenza) mettiamoci anche l'ottimismo (che dovrebbe essere quello della volontà)
Abbiamo vinto o no il referendum costituzionale?
Sergio Tremolada
Non si può fare un’Assemblea Costituente con una legge ordinaria, altrimenti questa assemblea non avrebbe nessun potere di modificare la Costituzione.
Come si vede, io sono sempre stato favorevole all’idea di nominare un’Assemblea Costituente. Nella XIII Legislatura feci una proposta in tal senso di elezione alla proporzionale di una Commissione Costituente. Se si pensa di raggiungere l’obiettivo con una legge ordinaria, si tratterebbe di una svista clamorosa, lasciatevelo dire da chi insegna da molti anni diritto pubblico comparato alla facoltà di scienze politiche della Statale di Milano.
Ho letto la relazione illustrativa pubblicata sul sito PS e devo dire che mi lascia molto perplesso. Non basta dire che è tempo di cambiare, senza dire esattamente in quale direzione. I diritti garantiti dalla prima parte devono essere estesi o ridotti? Quale è la posizione sui cosiddetti diritti di terza generazione?
Nella nostra Costituzione ci sono quantomeno due buchi: il diritto all’ambiente e il diritto ad una informazione libera e pluralista. Finora si è sopperito facendo ricorso al diritto alla salute, in quanto un ambiente degradato incide sulla salute. Per quanto riguarda la libertà di pensiero e di informazione, è regolamentato il diritto attivo di informare ma non quello di essere informati in modo completo, libero ed appunto pluralista.
Non è nemmeno vero che la Costituzione avesse delegato i Partiti di massa. Lo sviluppo della partitocrazia è avvenuto contro i principi della nostra Costituzione. Il massimo di lesione lo si è raggiunto con la legge elettorale vigente.
Leggerò in maniera approfondita il testo appena il sito avrà la compiacenza di pubblicarlo, ma, torno a ripetere, se è un disegno di legge ordinaria, come dice Biscardini, che è un esperto dell’argomento avendo rilasciato diverse dichiarazioni in proposito, stiamo tutti perdendo del tempo. Una discussione intorno ad uno strumento inidoneo a cambiare la Costituzione è un errore irrimediabile.
Avendo avuto la precisazione che si tratta di una legge ordinaria, annuncio urbi et orbi che mi ritiro dai sostenitori della proposta.
Cordialmente.
Felice Besostri
Posta un commento