sabato 4 settembre 2021

Valdo Spini: La dura lezione dell'Afghanistan

La dura lezione dell’Afghanistan Dall'avvenire dei lavoratori Prima di tutto grazie a quanti, diplomatici, carabinieri, paracadutisti, piloti, hanno lavorato duramente, correndo gravi rischi per portare fuori da Kabul i cittadini italiani e quasi cinquemila profughi. È stata una luce in una vicenda buia e triste, ben lontana dall’essere terminata in tutta la sua drammaticità. di Valdo Spini *) Gli Usa e gli alleati Nato hanno subito una sconfitta, a parte gli aspetti militari, soprattutto politica. Nessun’altra iniziativa militare del futuro potrà prescindere da quello che è avvenuto e sta avvenendo in Afghanistan. La responsabilità prima è dell’amministrazione Trump. Lo snodo politico è infatti il 29 febbraio 2020, data degli accordi di Doha sul ritiro delle truppe americane (e quindi degli alleati) firmati nella capitale del Qatar tra Mike Pompeo, segretario di Stato dell’amministrazione Trump, il mullah Abdul Ghani Baradar, considerato allora il “numero due” dei Talebani, e l’inviato dell’Onu, Zalmay Mamozy Khalilzad. Il governo afghano di Ashraf Ghani era stato completamente tagliato fuori. Come si poteva pensare che in tali condizioni quel governo avrebbe potuto resistere tanto da permettere un ordinato rientro dei civili statunitensi ed europei, nonché dei loro collaboratori afghani e di quanti si erano impegnati nello stesso Afghanistan per una società diversa da quella che i talebani vogliono instaurare? E difatti, Biden aveva ottenuto una dilazione del ritiro fino ad agosto, inizial­men­te fissato per lo scorso maggio. Ma questo non cambiava la qualità delle condizioni politiche e dei problemi da risolvere. Prima si portano via i civili e, alla fine, i militari: questo è quanto andava fatto, pianificando un ordinato ritiro. Del resto, gli Usa sono stati costretti a mandare cinquemila marines all’aeropor­to di Kabul, e così noi e gli altri alleati, sia pure in scala più piccola. È una dura lezione che non va dimenticata per il futuro. Soprattutto da parte dell’Unione Europea, che deve far seguire a quanto costruito sul piano economico con il Next Generation, uno sviluppo della sua dimensione politica, anche nel campo della difesa. Mentre si tenta, allargando il discorso ai G20 e ai paesi confinanti, un’iniziativa politica per salvare il salvabile, sul piano più generale possiamo iniziare a formulare alcune riflessioni. L’occupazione militare di un paese da sola non può trasformarne l’assetto politico e la scala dei valori delle comunità interessate. Il disperato esodo degli Afghani che non vogliono vivere sotto i Talebani e in particolare quanto stanno facendo le donne nella difesa dei loro diritti, in primo luogo di quello all’istruzione, dimostrano che esiste anche un’universalità dei diritti civili e politici, nonché l’aspirazione a usufruirne. Se quindi da un lato democrazia e diritti civili non si esportano con le armi, dall’altro è inaccettabile l’idea che ci siano popoli, culture, comunità che siano ad essi impermeabili. Sarebbe un atteggiamento improntato non al realismo, ma al cinismo. Il compito che ci aspetta, allora, è di testimoniare e di comunicare, con la cultura da un lato, con la concreta solidarietà dall’altro, proprio quei grandi valori di rispetto della persona umana e dei suoi diritti, universalmente validi.

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