giovedì 26 gennaio 2012

Franco Astengo: Forconi, democrazia, alternativa

FORCONI, DEMOCRAZIA, ALTERNATIVA
L’Italia di questo Gennaio 2012 sembra percorsa da una apparentemente non prevista ondata di proteste, seguita più o meno subito dopo la caduta del governo Berlusconi: dai forconi di Sicilia, al blocco di TIR e Taxi, alla levata di scudi di tante altre categorie, anche privilegiate.
La prima impressione è quella del levarsi di una sorta di “jacquerie” di tipo corporativo, tanto è vero che Tommaso Di Francesco sulle colonne del “Manifesto” ha evocato la protesta dei camionisti nel tragico Cile’73.
Sicuramente le cose stanno in maniera diversa e più complicata rispetto a quell’indimenticabile passaggio storico.
Non sfugge, però, l’impressione di un’angoscia diffusa, di una sensazione di vero e proprio spappolamento sociale, di rischio di “salto nel buio”.
Il Paese appare stremato nell’insieme delle espressioni della sua complessità sociale e sale l’indice della sfiducia e dell’agnosticismo.
Le ultime rilevazioni riguardanti i sondaggi elettorali, per quel che valgono, danno la somma di astenuti certi e potenziali ormai al 45%.
Quali le cause, allora, di questo drammatico stato di cose?
Tentiamo di procedere, per quanto posso esserne capace:
1) L’Italia è stata governata male, nel corso degli ultimi 30 anni, ed anche prima, e i cittadini italiani nel loro insieme sono stati trattati davvero in malo modo, dai loro governanti a tutti i livelli. Senza voler sviluppare alcuna forma di qualunquismo, ma cercando di giudicare obiettivamente nel corso di questi anni sono cresciute le distanze sociali, le diseguaglianze di reddito (ormai ci piazziamo ai primi posti nel mondo) e di status, sono diminuite le opportunità per quelli che avrebbero dovuto rappresentare i settori sociali emergenti come le donne e i giovani. E’ aumentato il divario tra Nord e Sud. Interi pezzi del Paese sono dominati dalla criminalità organizzata, ormai stabilmente infiltratasi anche al di fuori dai “classici” luoghi di origine, Il completamento del processo di privatizzazione ha finito con il demolire il residuo di una struttura industriale le cui carenze rappresentano il vero punto debole della nostra economia, assieme all’assoluta inadeguatezza delle infrastrutture, la fragilità del territorio, l’assalto della cementificazione. Lo scollamento territoriale avviatosi con l’assunzione del modello del Nord-Est e del “sciur Brambilla” ha finito con l’allargare il mito leghista della separazione, al cui inseguimento è fallita l’ipotesi federalista e lo stesso decentramento regionale, laddove sanità e trasporti rappresentano un vero e proprio “buco nero” e, ancora, lo svilimento dello studio e della ricerca, avvenuto anche attraverso scelte che è necessario definire sbagliate, come quella del 3 più 2 da seguire nell’itinerario degli studi universitari. E’ arretrato paurosamente il livello dei diritti individuali e del lavoro e le condizioni complessive di sostegno ai settori più deboli da parte dello stato sociale. Il governo populista di estrema destra (animato anche da pulsioni razziste), che ha governato per molti anni, ha coltivato con cura le piante più pericolose: il secessionismo, il corporativismo più bieco, ben comprensivo della “laude” all’evasione fiscale, mentre crescevano le tasse per i soliti noti a “reddito fisso” e si tartassavano operai delle fabbriche e impiegati pubblici. Tutto questo ha avuto origine, è necessario ricordarlo, con la crescita esponenziale del debito pubblico e la “questione morale” alimentate dai governi del C.A.F. e la relativa derisione di chi aveva tentato di opporsi. Governi del CAF sorretti, è bene ricordare anche questo, da tutti gli epigoni del PSI poi finiti alla corte di Centro Destra e di quelli della DC, oggi alla guida del Terzo Polo e presenti nel gruppo dirigente del PD. La fase successiva è stata di sostanziale continuità, con l’aggravante dell’avanzarsi delle idee del maggioritario e della personalizzazione della politica, i cui effetti, accompagnati da sciagurati mutamenti del sistema elettorale, maggiormente tangibili sono apparsi essere quelli della crisi definitiva dei corpi intermedi e del distacco completo tra i soggetti politici e la società; crisi arrivata al suo culmine con la formazione del governo in carica, del tutto dedito a fronteggiare unilateralmente la crisi economica attraverso una visione puramente ideologica e libresca di stampo liberista e che ha già ottenuto il macroscopico risultato di costringere l’intero sistema politico a riallinearsi sul suo asse: fatto inevitabile nel breve periodo di cui le forze politiche del già centrosinistra non sembrano volersi accorgere, ripetendo l’atteggiamento di sottovalutazione già colpevolmente adottato nell’occasione della “discesa in campo” di Silvio Berlusconi nel 1994. In questo quadro, però, la sottovalutazione più imperdonabile ha riguardato la crisi finanziaria globale esplosa nel 2008: il governo dei “ristoranti pieni” ha, sotto quest’aspetto, responsabilità enormi tali da essere considerate in un paese “normale”, ma non da noi, impedienti a qualsiasi ricandidatura al governo di questa Italia malandata e disastrata. L’opposizione però conserva la responsabilità politica di non aver mai ricercato (come, invece, avevano pure tentato Ciampi e Prodi, indicando l’approdo europeo pur con tutti i limiti del caso) la possibilità concreta di un’alternativa;
2) Le forze politiche italiane, ne corso di questi anni, hanno “inseguito” il processo di costruzione dell’Unione Europea, esclusivamente sul piano di quelle dinamiche liberiste e monetariste che, a partire dal trattato di Maastricht hanno portato a quello che oggi è stato definito il “dominio della BCE”. Le forze politiche italiane non sono riuscite a far diventare il tema dell’Europa Politica oggetto prioritario di impegno e di battaglia fissando obiettivi intermedi plausibili, contribuendo a costruire un sistema politico europeo fissando il traguardo finale a una vera propria “Costituzione” e di un ruolo del nostro continente nel nuovo concerto internazionale di inedita polarizzazione, nel declino del periodo contrassegnato dalla presenza di una sola superpotenza, impegnata nell’esportazione militare della democrazia. Un provincialismo, quello delle nostre forze politiche, davvero disarmante;
3) L’ulteriore, e decisivo almeno dal mio punto di vista, elemento della specifica crisi italiana è stato rappresentato dal crollo verticale di rappresentatività fatto segnare dalla sinistra , che si situa ben al di là dei dati elettorali passati, presenti e futuri (non dimenticando, però, come i dirigenti di quella parte di sinistra a parole più conseguente e coerente sono riusciti nel capolavoro di fare in modo che la sinistra di derivazione comunista e socialista restasse esclusa dal parlamento). Un capolavoro alla rovescia che non ha suscitato alcuna riflessione di fondo, anzi ha indotto qualcuno a muoversi ancor di più sul terreno dell’avversario in ispecie su quella della personalizzazione esasperata. La crisi di rappresentatività della sinistra italiana si è avviata formalmente con l’implosione del sistema dei partiti pre-Tangentopoli, anticipata però dall’improvvida, nei modi, nei tempi, nei contenuti, liquidazione del PCI e, ancor prima, da quella che Riccardo Lombardi definì “mutazione genetica” del PSI attuata all’avvento del craxismo. Non è questa, ovviamente, la sede per ricostruire la storia, fondamentale per quella dell’intero Paese, della sinistra italiana, delle sue lotte, del suo imponente radicamento sociale, dell’egemonia culturale esercitata dai diversi soggetti, non solo partitici, che ne rappresentavano le componenti essenziali (sindacati, associazionismo, giornali, case editrici, cooperative). Va affermato, invece, che il vuoto lasciato è risultato incolmabile: un vuoto di riferimento, di classe dirigente anche a livello locale se pensiamo ai Novelli, Cerofolini, Valenzi, Petroselli e ci guardiamo attorno oggi, di capacità di diffusione culturale, di riferimento a modelli di comportamento. Si è verificata, così, un’indubitabile situazione di degrado complessivo, ben significato dall’adagiarsi nella ricerca della governabilità ad ogni costo e in tutte le sedi centrali e periferiche, dall’accoccolarsi sul meccanismo delle elezioni dirette, delle idee del “partito leggero” e di una davvero deplorevole personalizzazione della politica, di un disconoscimento sostanziale dei soggetti sociali storicamente portanti, di concessione all’”autonomia del politico” (con relativo discorso sul finanziamento della politica stessa, cui è seguita l’ambigua polemica “anti-casta) e del corporativismo, se non addirittura un cedimento a pulsioni di stampo leghista (una “costola della sinistra”) e di coinvolgimento nella “questione morale”.
La logica del “pensiero debole”, che ha presieduto a questo gigantesco processo di involuzione politica e sociale, ha portato alla ricerca di un’alternanza altrettanto debole limitata al ruolo di governo, incapace di produrre una reale alternativa, nella ricerca dell’”Inesistente elettore mediano” (con un certo medio impoverito e spaventato, oppure percorso come stiamo vedendo da tensioni leghiste e/o corporative), riducendo l’agire politico all’elaborazione di meccanismi del tutto interni all’autoreferenzialità di un sistema ridotto a un artificioso bipolarismo con tentativi, addirittura, di definizione di un illusorio bipartitismo e dimenticando del tutto le articolazioni della società, la varietà delle contraddizioni, il sorgere di nuovi “cleavages” post-materialisti, dall’ambiente, alla differenza di genere, mentre crescevano impetuosamente i nuovi mezzi di informazione e comunicazione sociale attraverso la rete telematica.
A sinistra la ricostruzione di una soggettività politica dell’alternativa appare essere, in questo momento, il vero “imperativo categorico”, fin qui negletto a causa del mantenersi di una sorta di primordiale istinto di sopravvivenza di un ceto politico che non tende sottoporre se stesso a un’analisi accurata, rifugiandosi invece, da un lato, in un apparente, finto e perdente realismo (a imitazione di quello clamorosamente fallito all’epoca della solidarietà nazionale. Da quel fallimento, Berlinguer trasse l’indicazione per esprimere la linea politica dell’alternativa che contrassegnò la sua ultima, purtroppo, breve stagione accompagnata dall’assunzione piena della categoria della “questione morale” già ricordata) mentre dall’altro canto ci si rifugia in sterili balocchismi retorici.
L’assenza della sinistra è il dato politico più evidente della crisi del sistema politico italiano: la destra fa presto a rifugiarsi nel populismo, nell’accondiscendenza alle più diverse sollevazioni corporative o nelle tecnocrazie impeccabili nel presentarsi, ma feroci nel colpire le classi sociali estranee all’imperituro “establishment” .
Attraverso quest’ analisi, sicuramente lacunosa, non intendo giustificare in alcun modo la rivolta dei TIR e dei forconi.
L’intendimento è stato semplicemente quello di richiamare alcuni dati reali sui quali questa crisi si è sviluppata ed evidenziare, oggettivamente, le responsabilità di un ceto politico (al centro come in periferia) stimolando la ricerca di nuove forme di partecipazione a partire, magari, dal riconsiderare quelle categorie del tanto bistrattato’900, sia sul piano economico, su quello sociale e della struttura politica (magari a partire dalla riconsiderazione della contraddizione di classe): categorie forse messe troppo frettolosamente nel cassetto.
Savona, li 25 gennaio 2012 Franco Astengo

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