martedì 2 giugno 2009

Claudio Bellavita: da tangentopoli alla cleptocrazia

Potrebbe essere un capitolo di storia contemporanea, ma, visto che i protagonisti in buona parte sono sempre (eternamente) gli stessi, è ancora un argomento politico.

Per quasi tutta la prima repubblica, sui costi della politica regnava la massima ipocrisia: si faceva finta che bastasssero le tessere e le sottoscrizioni. Nessuno parlava di contributi della Confindustria, delle partecipazioni statali, dei petrolieri e tanto meno di contributi dall'estero ( che, anche se arrivano da un alleato, sempre tradimento sono). Neanche si parlava di lavori pubblici e di contributi connessi alle vicende urbanistiche degli enti locali.
Intanto, i costi della politica aumentavano, perchè cresceva il benessere economico e si continuava a far finta che gli amministratori degli enti locali lavorassero quasi gratis (a meno che fossero dipendenti pubblici). Un balzo all'insù avvenne con le prime inchieste, perchè i collettori anche più disinteressati smisero di lavorare solo per il partito o la corrente.
A un certo punto i costi cominciarono a diventare generalizzati e insostenibili, gli imprenditori degli altri paesi occidentali non ne potevano più di mettere nei guai i loro manager se volevano lavorare in Italia. e poi, dopo la caduta del muro di Berlino, a nessuno interessava più molto chi governava in Italia, con tutti i partiti schierati per la NATO. E fu tangentopoli.

Il rimedio, nel passaggio alla seconda repubblica, fu apparentemente razionale: dimnuire i costi eliminando le preferenze (solo nelle votazioni nazionali, però) e aumentare il finanziamento pubblico ai partiti ignorando, tutti d'accordo, un referendum frettoloso e populista. In questo modo, però, si resero onnipotenti i vertici esistenti dei partiti, che con l'assegnazione dei collegi uninominali, e peggio ancora, con le nomine dirette grazie al porcellum, sceglievano i parlamentari il cui numero determinava una parte del finanziamento: Nella prima legislatura della seconda repubblica molti furono i parlamentari che cambiavano frequentemente gruppo per ususfruire in proprio del finanziamento, poi fu inventata qualche norma cautelativa.
Però la situazione di accentramento dei poteri al vertice è degenerata al punto che ben più della metà degli italiani vota per partiti monofamiliari, che non fanno e non faranno mai un congresso, soprattutto un congresso dove il tesoriere si alza per spiegare come è stato usato il finanziamento pubblico, i cui sommari rendiconti sono controllati da una commissione di parlamentari nominati per l'appunto dai vertici dei partiti. Anche se i rendiconti sono pubblici non trapelano molte indiscrezioni giornalistiche. Anche i giornali ricevono infatti dei contributi, le TV sono di fatto proprietà diretta o indiretta dei partiti, resta internet, ma c'è un accordo bipartisan per controllare anche quello (il primo che ci ha provato è stato Prodi).

Ma il vero rimedio è stato un altro, perchè nessuno voleva per davvero rinunciare alle vacche grasse del periodo di tangentopoli: solo centralizzarne la gestione, perchè coi soldi si fa politica anche e soprattutto all'interno dei partiti.
E così, siccome era tanto di modo privatizzare, il pubblico è fonte di sprechi e di corruzione, il privato di efficienza, guardate la Thatcher (non i suoi treni), poi lo vuole il FMI, lo vuole la UE, lo vogliono la canea degli elzeviristi, si è deciso di privatizzare tutto il possibile ma anche l'impossibile, cioè gli enti pubblici in eterna perdita, che devono sempre ricevere un contributo statale: ferrovie, aziende locali di trasporto, poste, enti preposti alla costruzione delle infrastruttture, persino alla vendita dei beni pubblici. Perchè chi ruba in un ente pubblico è perseguito d'ufficio dal PM, chi ruba in una s.p.a è perseguibile solo su denuncia del legale rappresentante. Occorre che tutto cambi perchè tutto resti come prima...
Sistemata così, anche con il generoso ricorso ai general contractors al posto degli appalti, la possibilità di continuare come prima, si è passati alle seconda fase. L'epico saccheggio delle partecipazioni statali.
Quelle che avevano un gruppo dirigente forte, e temibile, non furono saccheggiate. per le altre , si fece di tutto e di più. Le autostrade, con un trucchetto miserabile, furono vendute a un decimo del valore che gli fu dato subito dopo la vendita, con l'accordo tariffario e il prolungamente delle concessioni. Opera di san Prodi.

Per tutte il meccanismo di privatizzazione studiato dagli avvocati d'affari e dalle banche è stato lo stesso: i soldi per l'acquisto li mettevano le banche in una finanziaria che dopo veniva fusa con la società acquistata, scaricandole l'onere del debito. Operazione da galera, se la società dovesse fallire, altrimenti vige la regola che la denucia la può fare solo il legale rappresentante, che, guarda un pò, è il capo degli acquirenti. Vi chiederete: ma i piccoli azionisti? Bè, sono il parco buoi, potrebbbero esercitare il diritto di recesso, ma vengono assordati da una campagna di stampa dei soliti elzeviristi, e poi le banche fanno in modo che il titolo salga al di sopra del prezzo di recesso, almeno finchè c'è la possibilità di esercitarlo. Subito dopo, bisogna far cassa, quindi vendere tutto il vendibile della società acquistata per ridurre i debiti ( fatti per acquistarla). . Magari facendo fare ancora qualche utile extra alla banda degli acquirenti (i capitani coraggiosi).
Veramente, ci sarebbe chi dovrebbe vigilare su queste vicende: la Consob, dove lavorano molti capaci funzionari, con stipendi da Banca d'Italia. Non è molto chiaro come fanno le istruttorie, quel che è certo è che i membri cella commissiome (di nomina bipartisan) non hanno emesso neanche un sussurro. Ma sembra che il pane e il companatico non mancheranno mai più, a loro e ai famigliari.

Insomma le regole del mercato, lo dimostra anche la crisi mondiale, sono astratte, e non tengono conto che molti, troppi operatori del mercato sono ladri, imbroglioni , bugiardi e pronti a qualunque cosa per l'utile. D'altra parte, abbiamo un presidente del consiglio che ha fatto i soldi negli immobili, si pensa distribuendo le tangenti urbanixstiche più generose della storia, poi ha investito il suo patrimonio nelle tv di cui ha potuto sempre controllare più canali di quelli consentiti dalla legge, infine ha potuto governare senza che nessuno gli contestasse l'ineleggibilità: è l'icona della seconda repubblica, quella della cleptocrazia. E della convenzione generale, politica e giornalistica, di non parlare mai di questi argomenti.

1 commento:

Sergio Tremolada ha detto...

C'é un piccolo particolare che non coincide con la ricostruzione fatta sulle TV private: la prima era di Rusconi ... fallita! Un'altra di Mondadori ... idem! (E si parla solo di quelle principali) Tutti a correre dal Berlusca per salvarle.

Sergio Tremolada