lunedì 8 dicembre 2008

grosso: la voglia di regolare i conti

la stampa

8/12/2008 - GIUSTIZIA E POLITICA

La voglia di regolare i conti





CRALO FEDERICO GROSSO

Le Procure di Salerno e di Catanzaro, dovunque stiano ragione e torto, dalle vicende di questi ultimi giorni escono a pezzi. In realtà, è la stessa magistratura italiana, nel suo insieme, a uscirne con un’immagine fortemente incrinata.

In passato era accaduto più d’una volta di assistere a polemiche roventi fra magistrati o di essere chiamati a dirimere conflitti più o meno aspri. Non era peraltro mai accaduto di assistere a un contrasto tanto duro, anche nella forma. Non è sicuramente consueto che decine di sostituti procuratori e carabinieri eseguano perquisizioni e sequestri penetrando in massa negli uffici e nelle abitazioni private di altri magistrati. Non è usuale che magistrati inquisiti reagiscano a loro volta indagando gli avversari e procedendo al sequestro degli stessi atti processuali loro sequestrati. A tacer d’altro, i procuratori di Catanzaro, essendo parte lesa degli asseriti reati compiuti a loro danno, avrebbero dovuto astenersi da ogni attività giudiziaria e investire della questione la Procura competente (Napoli o Roma).

Come abbiamo letto nelle cronache di ieri, Consiglio superiore della magistratura e Guardasigilli, dopo l’inusuale, ma necessario, intervento del Presidente della Repubblica di giovedì scorso, si sono mossi con tempestività: il primo convocando a Palazzo dei Marescialli i due capi degli uffici interessati e aprendo nei confronti di entrambi una procedura di trasferimento, il secondo sguinzagliando i suoi ispettori a Salerno e Catanzaro per acquisire notizie e cercare di avere chiarezza. Ieri vi sono state lodi sperticate per tanta speditezza. A me sembra che si sia compiuto, soltanto, ciò che era necessario fare, poiché, nella situazione, qualunque ritardo sarebbe stato inimmaginabile. D’altronde, vi ricordate con quanta rapidità, e quanta intransigenza, all’inizio di questa vicenda l’allora ministro della giustizia Mastella e il Consiglio Superiore si erano mossi nei confronti di De Magistris?

Le indagini su quanto è accaduto si dipaneranno secondo le competenze di ciascun ufficio interessato e secondo le regole stabilite dall’ordinamento giudiziario. Al di là della soluzione delle questioni di merito, le vicende di questi ultimi giorni hanno rivelato che vi sono pezzi della magistratura fortemente malati. Queste malattie, queste deviazioni, devono essere estirpate con la massima urgenza. Mi auguro che l’ordine giudiziario sia in grado di trovare al suo interno gli strumenti per realizzare le correzioni necessarie e restituire serenità e trasparenza a ogni settore di giustizia.

La preoccupazione maggiore, oggi, è comunque un’altra. Da tempo settori importanti della politica stanno scaldando i muscoli contro la magistratura. Non è in gioco, si afferma, la libertà dei magistrati di esercitare la giurisdizione; è in gioco l’abnorme interferenza che l’ordine giudiziario si arrogherebbe sul terreno dell’esercizio del potere. È qui che bisogna intervenire, si sostiene, modificando la struttura del Consiglio Superiore (più rappresentanti dei partiti, meno magistrati); spezzando in due tronconi il Consiglio in modo da indebolire entrambi; rendendo autonoma la polizia dai pubblici ministeri e stemperando pertanto il loro potere; magari attenuando l’obbligatorietà dell’azione penale e facendola dipendere, in qualche modo, anche dal governo.

Non vorrei che, a questo punto, il contesto di guerra fra Procure fornisca alla politica la grande occasione per giungere finalmente là dove, fino ad ora, non sono riusciti affondi decisivi. Leggiamo le più recenti dichiarazioni rilasciate da esponenti politici di primo piano dell’una e dell’altra sponda. Il ministro Alfano ha affermato giovedì scorso che, di fronte allo sfacelo, occorre porre urgentemente mano alle riforme costituzionali e ha chiesto all’uopo il contributo dell’opposizione. Massimo D’Alema in persona, il giorno dopo, ha dichiarato che, in effetti, è giunto il momento di occuparsi con serietà del problema dell’organizzazione costituzionale della giustizia italiana. Ha chiuso il cerchio ieri, in un’intervista alla Stampa, Niccolò Ghedini, appena sbarcato a New York per il grande ponte: gli americani non riescono a capire per quale ragione i giudici, da noi, hanno tanto potere al di fuori di ogni verifica democratica; ora tocca pertanto, necessariamente, alla giustizia essere raggiunta da riforme forti; ben venga, se ci sarà, il contributo dell’opposizione.

Ce n’è abbastanza per essere preoccupati. Quando erano soltanto Berlusconi e i suoi più stretti collaboratori a elaborare una riforma punitiva del mondo giudiziario, si poteva temere, ma anche sperare nelle resistenze degli altri. Quando hanno cominciato qua e là ad abbozzare anche esponenti dell’attuale opposizione, si è cominciato a essere sorpresi. Oggi non si è più soltanto sorpresi. C’è il timore che, di fronte a inchieste giudiziarie che coinvolgono esponenti di ogni partito, si decida di regolare i conti una volta per tutte, risolvendo in questo modo i problemi giudiziari presenti e futuri.

È ciò che, francamente, non dovrebbe accadere. Se lo Stato ha stabilito che non si deve rubare, o non si deve prevaricare, nessuno deve essere legittimato a rubare o prevaricare, si tratti di un cittadino comune o di un esponente politico. In entrambi i casi la magistratura deve essere libera di intervenire, senza lacci, impedimenti, autorizzazioni. Questo, si badi, è, semplicemente, rispetto per la legalità, non è questione di potere.

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