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Auto, economia. Usa e Italia
Le notizie che vengono dal settore auto impongono a tutti revisioni di non poco conto. Anzitutto le notizie che arrivano dagli Stati Uniti dicono che mentre epigoni nostrani del liberismo si attardano a fare coesistere dettami ideologici chiaramente falliti con la realtà, in quella realtà economica e politica si sperimentano novità veramente rilevanti senza perdersi nella inutile e disperata ricerca di coerenze impossibili. Forse è questa la prima differenza tra la “capitale dell’impero” e la sua periferia.
Naturalmente sarebbe un errore leggere le novità dell’attuale politica economica americana con gli occhiali della sinistra storica. Obama non propugna un nuovo socialismo. Si tratta di altro, ma non per questo meno importante.
Prima riflessione: le guerre sembrano non essere più considerate il volano dell’economia, costano moltissimo e per di più è difficile vincerle anche con gli straordinari mezzi a disposizione.
La distruzione di risorse causata dalle guerre è incompatibile con un clima sociale accettabile e poiché oggi la priorità sembra essere garantire interventi verso le aree sociali più esposte alla crisi è evidente che occorre cambiare.
Seconda riflessione: la suddivisione delle materie prime e dell’energia richiedono un clima nei rapporti tra le diverse aree mondiali in grado di evitare, almeno in partenza, il ricorso alle armi e quindi diventa rilevante un sistema di rapporti multipolare e non casualmente emerge proprio nel programma di Obama una suggestiva torsione degli investimenti verso le energie rinnovabili e il conseguente impegno alla creazione di un nuovo settore economico, tecnologico, occupazionale.
Terza riflessione: l’intervento pubblico nell’economia non è più un tabù, anzi in quanto ritenuto necessario per raddrizzare la baracca viene attuato senza tanti complimenti, con effetti clamorosi come il ritorno della proprietà pubblica, la severa regolazione di attività economiche in modo da rendere chiare le responsabilità della crisi (anche per allontanarle da altri), la regolazione d’imperio dei redditi e non solo nelle banche ma anche in altri settori di intervento come le grandi companies dell’auto. Ciò che serve alla collettività non viene lasciato fallire e quindi vengono introdotte novità rilevanti nel diritto societario, nel perimetro del mercato, ecc.
Quarta riflessione: l’opinione pubblica americana tollera male che gli interventi di sostegno siano rivolti ai settori responsabili della crisi e non a favore di chi subisce i colpi più seri della crisi economica, di qui l’avvio di una interessante riflessione su come sostenere i settori sociali ed economici più in difficoltà: da chi rischia il posto di lavoro a chi ha perso la casa. E’ una latitudine politica prima sconosciuta. E’ vero che prima non c’era una crisi così grave e tuttavia va riconosciuto che si cerca di mettere in campo una risposta.
Sono solo alcuni aspetti, ma utili per confermare che la crisi economica da altre parti è presa molto sul serio, mentre in Italia quando qualcuno ha parlato di fare entrare la mano pubblica nel settore auto in crisi è stato preso per matto; quando altri hanno parlato dell’esigenza di dare una regola alla dinamica dei redditi (oggi il rapporto tra reddito medio da lavoro e massimo dei manager in Italia può arrivare a 1: 5.000 e anche oltre) sono stati derisi; quando si è parlato di regole per il settore finanziario (dopo Parmalat) siamo arrivati alla depenalizzazione del falso in bilancio che purtroppo esiste tuttora per le società non quotate.
Senza dubbio la Fiat ha beneficiato di una direzione Marchionne di qualità diversa dal passato e in questi anni è faticosamente uscita dalla crisi, ora però proprio lui avverte che la crisi attuale è una cosa seria e che in futuro c’è spazio per solo 6 gruppi nel settore auto. In altre parole avendo capito che gli USA cercheranno di proteggere una loro presenza nel settore, che i giapponesi pur in difficoltà non mollano e che altri paesi emergenti sono decisi a combattere la loro battaglia, il problema rilevante è quale disegno propone il Governo (il pubblico) all’economia ?
Qui siamo al ridicolo ed è comprensibile che Marchionne sia preoccupato.
Sul piano sociale siamo al capitalismo compassionevole, propugnato da Bush. Sul piano economico siamo ai lavori pubblici più o meno utili, se si faranno. Sul piano dell’innovazione questo Governo cancella con un tratto di penna, per di più irridendo, gli sgravi fiscali per il risparmio energetico. Lo spazio per interventi ci sarebbe, a patto di scegliere le cose importanti, ad esempio progettando un futuro di risparmio energetico, di uso diffuso delle fonti rinnovabili, ecc. La Fiat potrebbe indirizzarsi nell’innovazione, nel futuro, tanto più che oggi parlare di intervento pubblico non è più ragione di ostracismo in Europa. Purtroppo questo è il Governo che rompe con l’Europa sul 20-20-20 (non con il loquace e inconcludente Almunia) in difesa della vecchia economia e della conservazione produttiva voluta da Confindustria ed è lo stesso che promette alle banche che l’aiuto verrà dato loro senza troppe intromissioni, al massimo qualche promozione di amici. Poi tutto tornerà come prima.
Il problema è l’area politica del vecchio centro sinistra. Per ora non saprei chiamarla diversamente. Ritorna di attualità il terreno culturale e politico tipico di chi si candida come alternativa di governo alla destra: quello di un diverso ruolo dell’interevento pubblico (qualunque sia il livello a cui avviene) e di un disegno di economia e di società da perseguire. Per via democratica - ovviamente - per essere chiari. La litania delle regole e delle Autorità non basta più, come è evidente. Sono anche utili, ma non bastano. Occorre un progetto di società, di economia, di convivenza e il ruolo pubblico è decisivo per provare a realizzarlo e lo si può fare con divieti, ad esempio verso certi prodotti finanziari, e con incentivi a sostegno di iniziative precise.
Altrimenti si finirà come la BCE che ha allargato i cordoni del credito quando la crisi ormai era arrivata, o il Governo italiano che consente un rapporto incestuoso tra banche e imprese in piena crisi finanziaria, quando dopo il 1929 questo era considerato giustamente un tabù. Con questi chiari di luna, Marchionne parla con preoccupazione di 6 gruppi che resteranno nel settore auto, ma forse dispera che il suo lavoro per raddrizzare la Fiat basterà per il futuro a garantire almeno una partnership equilibrata e per non finire come Alitalia. Visto il Governo alla prova ha ragione di essere preoccupato e noi con lui.
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