mercoledì 31 dicembre 2008

Nicolucci: la guerra di Ehud

LA GUERRA DI EHUD

In Israele l'uomo del giorno è il laburista Ehud Barak, il ministro
della Difesa. Tirato per la giacca da Hamas in una guerra che nella
cosiddetta “cucina” - il ristretto direttorio di governo composto dal
primo ministro e dai ministri di esteri e difesa, così definito dal
tempo di Golda Meir, che lo riuniva nella propria cucina di casa - non
lo ha certo visto tra gli impazienti, Barak è infatti premiato dai
sondaggi . Sondaggi che vedono sia un deciso sostegno dell'opinione
pubblica israeliana all'intervento, sia un guadagno elettorale di ben
due seggi anche per il partito laburista, sin qui dato per spacciato.
Un partito che sembrava non avere più spazio nell'arena politica
israeliana, schiacciato a destra dalla nascita di Kadima – partito
creato da Sharon con laburisti come Shimon Peres - e recentemente
chiuso anche a sinistra dalla nascita di un rinnovato Meretz, a cui ha
partecipato anche Gilad Sher, l'ex capo negoziatore e fraterno amico
dello stesso Barak. Così, con una tipica e repentina movenza
mediorientale, lo scenario politico muta improvvisamente. Prima, il
disfacimento di un governo per la prima volta caduto su temi interni di
corruzione piuttosto che sul nodo esistenziale del conflitto israelo-
palestinese, con una conseguente caotica lotta per la sopravvivenza
politica tra le sue personalità, terrorizzate dalla prospettiva di una
destra arrembante alle elezioni del 10 febbraio. Con un Barak
considerato il vaso di coccio tra quelli di ferro della Livni e di
Netanyahu. Oggi, una competizione interna al centrosinistra sconvolta
nei suoi esiti probabili ed aperta ad ogni possibile esito con la
destra. Nel medioriente però chi oggi sembra avere le carte migliori
potrebbe domani in realtà dover rimanere con il cerino in mano. E nel
caso le cose andassero male potrebbe non bastare a Barak il fatto di
essere il più decorato soldato della storia d'Israele con cinque
medaglie ricevute, tra cui quella “Golan”, così come l'esser stato con
una bionda parrucca da donna a capo dell'audace commando che a Beirut
eliminò nel sonno un terrorista palestinese responsabile del massacro
degli atleti israeliani alle Olimpiadi di Monaco – episodio raccontato
dal film “Munich” – né esser stato a capo dell'Intelligence Militare, e
poi Capo di Stato Maggiore: sempre una patente di inettitudine gli
verrà affibbiata. Perchè le cose possono andare male: per chi detiene
la supremazia militare l'andamento di un'offensiva asimmetrica come
quella in atto a Gaza è infatti come sbucciare un carciofo, più si va
avanti più le opzioni si restringono. Dopo l'iniziale assalto aereo,
certamente un successo, ora è vitale sapere come proseguire. Già molti
suggeriscono che piuttosto di rischiare il disastro per avere qualche
piccolo successo in più - dato che l'obiettivo di distruggere
militarmente Hamas è impossibile – adesso bisogna fermarsi. E lasciare
il passo alla diplomazia. Cosa oggi ancora più difficile del solito:
per le festività cristiane, ma anche per la difficoltà di parlare con
Hamas a Gaza, data la distruzione delle infrastrutture e la fuga in
clandestinità di tutta la sua dirigenza.

Insomma, se fosse questo il caso e tutto andasse male, Barak la
pagherà cara. Certo è però che nonostante il tentativo di Tzipi Livni
di guidare il fronte bellicista non sarà lei ad avvantaggiarsene. Lo
farà invece Netanyahu. Il suo Likud appare oggi nei sondaggi con sei
seggi in meno: che vanno però non a Kadima ma all'estrema destra. Se
però la guerra si ingarbugliasse, o dovesse inciampare in un incidente
come quello di Qana - che nel 1996 tramutò il candidato primo ministro
Shimon Peres da padre della patria in carnefice di profughi inermi -
allora Barak e Kadima saranno sburgiardati come mentitori, visto che
sono entrati in guerra per indebolire Hamas, e non per farne un
gigante. E dato che l'efficace slogan usato contro Netanyahu al momento
è “Bibi? Io non gli credo!”, esso si ritorcerà loro contro. Con tutte
le conseguenze politiche ed elettorali del caso.

Fabio Nicolucci

( da Il Riformista del 31 dicembre 2008)

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