dal sito di micromega
Il caso Englaro
Da Sacconi un atto eversivo di estremismo clericale
di Felice Mill Colorni
Com’è possibile che, in una classe politica preoccupata solo dei sondaggi di opinione, priva di principi e ormai di qualunque riferimento a qualcosa che abbia a che fare alla lontana con l’etica pubblica, vi sia questo sostegno acritico, ottuso e pressoché plebiscitario, unico nell’Europa occidentale, per le posizioni più oscurantiste dell’integralismo cattolico clericale?
Com’è possibile che non sia travolto da un’ondata di ripulsa e di discredito generalizzati un ministro che ingiunge a un’azienda privata di rifiutarsi di dare esecuzione a una decisione giurisdizionale passata al vaglio della Corte di Cassazione e della Corte Costituzionale, e che minaccia in caso contrario di distruggere economicamente quell’azienda?
È quanto ha osato fare il ministro Sacconi, rendendosi responsabile di un comportamento apertamente eversivo e di un delitto che non solo non ha cercato di nascondere, ma che non ha neppure smentito. Bene hanno fatto i radicali a denunciarlo per violenza privata (anche se andrebbe fatto loro notare che in futuro, se si attuerà una qualche forma di subordinazione dell’azione penale a indicazioni del potere politico come sembrano auspicare, tutta la classe politica avrà licenza piena di delinquere – se non addirittura, in un paese in cui la correttezza della politica è ormai una barzelletta, di utilizzare sistematicamente l’arma dell’azione penale contro i propri oppositori).
Sacconi è un ex socialista, mai segnalatosi in precedenza per tendenze clericali, tanto meno estremiste ed eversive. Ma chi glielo ha fatto fare? Che cosa pensa di guadagnarci? La grande maggioranza degli italiani è da anni, secondo ogni sondaggio condotto in materia, largamente favorevole perfino all’eutanasia vera e propria. Anche l’edizione di quest’anno, appena uscita, del rapporto sulla secolarizzazione della società italiana, condotto dalla fondazione Critica liberale e dal settore Nuovi Diritti della Cgil nazionale, non su opinioni raccolte in interviste ma su incontrovertibili registrazioni statistiche di comportamenti effettivi, conferma che, nella loro vita reale, gli italiani sono sempre più lontani, ogni anno che passa, dalle prescrizioni della gerarchia cattolica: nessuna “revanche de Dieu”, nessun “ritorno del religioso”, in nulla di quel che concerne l’autodeterminazione dell’individuo nelle sue scelte etiche e di vita personali, nessun passo indietro, come vuole l’ottusa vulgata politico-mediatica ripetuta fino allo sfinimento, rispetto alla stagione politico-culturale in cui si sono affermati divorzio, aborto, contraccezione, libertà sessuali, ecc. Al contrario: i valori della laicità saranno anche del tutto sconosciuti alla maggioranza dei nostri concittadini, ma la secolarizzazione avanza inesorabile e trionfa sulle intimazioni di Papa e vescovi.
Perché allora questa sfrenata e ottusa rincorsa ai favori della gerarchia vaticana anche da parte di un personale politico che non è neppure di formazione cattolica o democristiana? Saremmo portati ad escludere che alla sua non imberbe età il ministro Sacconi si sia improvvisamente scoperto un’inedita vocazione talebana, una conversione improvvisa e così irrefrenabile da costringerlo a calpestare in modo così plateale i suoi doveri di ministro della Repubblica.
La risposta è semplice, ed è tutta nel silenzio e nella rinuncia di quella che dovrebbe essere la parte laica, liberale e democratica della classe politica a svolgere il suo ruolo e a fare valere le ragioni della civiltà laica, liberale, democratica, europea occidentale, di fronte alle pretese, allo smisurato orgoglio ideologico e confessionale, alla smisurata e famelica volontà di potenza e di dominio sulle vite altrui della gerarchia cattolica. Quest’ultima, a differenza di una classe politica di sprovveduti, si sa perfettamente minoranza nella società italiana, ma non le par vero di poter trarre risorse pubbliche, potere mediatico e un ritrovato ruolo egemonico dallo squagliamento della politica laica.
Rispolverando più o meno consapevolmente un’antica analisi gramsciana di una società ancora prevalentemente contadina riletta attraverso il cinismo sovietico di Togliatti, il nuovo partito che si era proposto di interpretare le esigenze di modernizzazione della società italiana, rimasto quasi unico interlocutore di una destra aliena in Europa grazie agli artifici della legge elettorale, non si sogna di difendere le ragioni minime della civiltà liberale europea: la separazione dei poteri e le regole elementari dello Stato di diritto e del rule of law prima ancora che quelle della laicità, della libertà e dell’autodeterminazione degli individui, della pari dignità sociale di chi non è neppure cattolico.
Faceva altrettanto il gruppo dirigente del Pci, ma c’erano almeno altri partiti laici; e negli anni Settanta si era sviluppata almeno una vita democratica interna ai partiti che consentì perfino alle donne del Pci di imporre un mutamento di rotta ai vertici che, per non compromettere la strategia del “compromesso storico” e delle “larghe intese”, inizialmente non volevano impegnarsi a sostegno di una legge sull’aborto. Il Pd di oggi è infinitamente meno democratico al suo interno di quel che non fosse lo stesso Pci di trent’anni fa.
E così, nell’assenza o quasi di voci laiche, o anche minimamente interessate alle regole del gioco e alla correttezza democratica, a sostenere con qualunque mezzo, anche illegale, anche eversivo, qualunque pretesa degli estremisti clericali, magari non si guadagnerà molto, ma non si rischia pressoché nulla.
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