QUEL NATALE NELLE BARACCHE
Adriano Prosperi, La Repubblica, 24 Dicembre 2008
Strano Natale.
Una cronaca televisiva da Forte dei Marmi mostra un mercatino di Natale nel luogo più caro d'Italia. Un venditore dichiara soddisfatto: «Spendono, spendono». La televisione diffonde immagini da cartolina: paesaggi, consumi, uomini e donne tutto di lusso. Spostiamoci di poco. Siamo nei pressi dell'Arno, a poca distanza da Pisa. Altre immagini, altre parole. Si vedono ma non in televisione alcune baracche.
Gli abitanti hanno scritto un appello, in italiano e in inglese. Ne riporto alcune frasi:
«Siamo dei Rom rumeni, siamo circa 60 famiglie.Viviamo nella città di Pisa, nelle baracche in condizioni non buone, senza acqua e senza luce.
Noi non vogliamo vivere nelle baracche. Siamo costretti a vivere nelle baracche perché non ci è data la possibilità di prendere una casa: il Comune non ha interesse ad aiutarci a trovare una casa. Non possiamo mandare a scuola i bimbi perché non abbiamo le condizioni igienico-sanitarie. Alcuni bimbi vanno a scuola, ma spesso le scuole rifiutano di iscrivere i nostri figli.
Facciamo lavori che gli italiani non vogliono fare, in condizioni peggiori. Alcuni di noi lavorano con contratto regolare, altri al nero, altri sono in cerca. Alcune persone hanno fatto dei corsi di specializzazione, anche se vivono in queste condizioni.
E' difficile trovare lavoro perché molti datori di lavoro chiedono la residenza dell'anagrafe. Anche se viviamo a Pisa da tanti anni, anche se lavoriamo, anche se i nostri figli vanno a scuola, il Comune non ci dà la residenza dell'anagrafe perché viviamo nelle baracche.
Noi siamo persone che vogliamo integrarci, siamo persone intelligenti, con cultura, con tradizioni.
Il Sindaco di Pisa ha firmato una ordinanza per sgomberare i campi, senza soluzione, in stagione di inverno. Noi non possiamo lasciare la città di Pisa, abbiamo lavoro, paghiamo i contributi, abbiamo anche alcuni figli malati. Ordinare uno sgombero in queste condizioni è inumano».
Mi dicono che lo sgombero sarà spostato a dopo Natale. Pietà? Forse è vero che, come ha scritto Machiavelli, gli uomini non sono mai del tutto buoni o del tutto cattivi. Forse si è temuto l'effetto sgradevole dello sgombero nel freddo intenso di questi giorni, mentre i cittadini bennati vanno alla messa. O forse anche i vigili incaricati della demolizione delle baracche e della deportazione dei rom in quel giorno hanno altro da fare.
Non chiedete da quale parte politica viene quell'ordinanza. La cosa non è importante, non più. La politica, sia quella delle lotte dei partiti, sia l'antica paziente arte del possibile è morta. Rimane solo la caccia al favore degli elettori. Che non la faranno mancare.
Me ne offre la prova una lettera anonima (non del tutto, c'è una firma collettiva: «un gruppo di lettori del Tirreno») speditami un mese fa dove si legge fra l'altro: «In città ci sono troppi immigrati e zingari, tutta gente che non fa nulla ai quali si aggiungono una miriade di ambulanti di colore che danneggiano gravemente il turismo. Di qui l'ordinanza più che giusta anti-borzoni» (sic: trattasi di un'ordinanza che vietava le grosse borse dei venditori ambulanti di colore). E continuava: «Case ai rom? Cose da pazzi! Gli zingari prima o poi dovranno essere rispediti nei loro paesi di provenienza. Di questo ne è convinto il novanta per cento della gente. Quella degli zingari, in particolare, è l'etnia più odiata dagli italiani».
Dai tempi dell'esplosione di violenza con l'aggressione fascista al campo di Ponticelli le cose sono dunque cambiate. Come, lo lasciamo giudicare ai lettori. Nel paese che ricorda ufficialmente le leggi razziali del 1938, nella regione che ha dedicato solenni e commosse cerimonie pubbliche e convegni di studio, a pochi passi da quel Parco di San Rossore dove quelle leggi vennero firmate, l'odio «etnico» è professato apertamente da anonimi lettori di un quotidiano di sinistra.
Forse è il caso di progettare su quell'argine dell'Arno, al posto delle baracche destinate alla ennesima demolizione (ché molte altre ce ne sono già state) un monumento alla memoria di Arturo Bocchini, il capo della polizia che nel settembre del 1940 emanò i primi provvedimenti di internamento degli zingari italiani. Lui li internava nei campi di concentramento, i suoi imitatori di oggi li buttano fuori dalle baracche, all'aperto, in questa stagione. Forse moriranno di freddo. L'importante è che lo facciano lontano dai nostri occhi.
Questo accade in un paese dove nella distrazione generale si parla apertamente di regime presidenziale e si portano a termine gli ultimi dettagli di quel piano della P2 di cui giustamente Licio Gelli rivendica la lungimiranza e il successo. Buon Natale e felice anno nuovo.
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