sabato 27 dicembre 2008

vittorio melandri: conformismo

Moni Ovadia scrive su l’Unità di oggi sulla tragica situazione di Gaza, a ciò indotto dall’ennesimo rinfocolare di guerra, e afferma: “niente di nuovo sotto il cielo della Terrasanta, se non le sofferenze degli inermi”.



Una affermazione tragicamente conforme alla realtà, ma non per questo “conformista”, anzi.



Ma ….. delle “conformi” sofferenze degli inermi, e sotto tutti i cieli, sembra che addirittura gli inermi per primi, se ne parlano, lo facciano appunto in preda al “conformismo” più trito, l’unico “ismo” che non sia incalzato da alcun tipo di spinte re-visioniste.



Da quando poi la logica dell’economia di scala, si applica a tutto ma proprio a tutto, anche al modo di portare i libri a scuola, e le divise che un tempo erano segno di distinzione, e servivano chessò, fra le classi alte a distinguere quelli di Oxford da quelli di Cambridge, e fra quelle basse a distinguere chi andava all’asilo Mirra da quelli che andavano all’asilo S. Eufemia, capita oggi di osservare che in ogni parte del mondo gli studenti si radunano in “mandrie” omogenee, tutti vestiti di “jeans giubbotto jeans e zainetto”.



Fenomeno se vogliamo marginale ma carico di un qualche significato, e che, ancora in forme primitive, colpì la mia provinciale esperienza, quando a Roma, a metà degli anni settanta, prendevo il tram a Porta Maggiore per andare alla filiale Olivetti sulla Prenestina, dove da operatore della formazione, facevo esperienza in “field”.



Credo che il conformismo, inteso come passivo adeguamento a quello che viene imposto alle masse, e una volta avviato, da sé stesso autoalimentato in un vortice di fatto masochista quanto inarrestabile, sia uno dei “mostri” che divorano l’umanità.



In morte di Harold Pinter, Gianfranco Capitta sulla prima pagina de “il manifesto” riporta un suo pensiero:



“Il popolo americano non immaginava neppure che ci potesse essere un odio così profondo nei suoi confronti, perché è tenuto nell’ignoranza più assoluta delle azioni del suo stesso paese”.



E parla del paese a più antica costituzione moderna e democratica. Figuriamoci cosa il conformismo può determinare altrove, dove le istituzioni democratiche sono più fragili, e l’ignoranza di massa, come gli Stati Uniti d’America insegnano, pianificata con “geometrica potenza” e alimenta senza soste.



Anche quando sia dettato dalla paterna benevolenza di “avanguardie illuminate”, il conformismo resta fra i principali colpevoli delle sofferenze degli inermi. E rimanendo al tragico della vita, non di rado si staglia al nostro orizzonte anche il “conformismo dell’anticonformismo”, dove il secondo termine è inghiottito dall’onnivoro primo, proprio come è accaduto, ben al di là delle intenzioni di Sciascia, che i veri “professionisti dall’antimafia” abbiano inghiottito i combattenti della mafia; i proletari si facciano anche con paradossale gran voluttà, complici del capitale che li brucia; i credenti in Dio si riducano ad adoratori di Padre Pio.



Quest’ultima forma di conformismo, rivelatasi capace addirittura, di spianare a pontificati alterni, uno favorevole, uno contrario, l’anticonformismo vaticano.



Sono un sostenitore de “il manifesto”, sue sono le uniche “azioni” che mi è capitato di acquistare in vita mia, questo a dire della stima che da sempre nutro per questo foglio quotidiano, ma non sono così sicuro che la sua, sia sempre stata una “temeraria avventura anticonformista”, come la definisce Angelo D’Orsi, in chiusura del suo articolo lì oggi pubblicato.



Il “conformismo anticonformista di matrice comunista”, che sin dal famoso “titoletto” da sempre lo accompagna, spesso mi è parso tradire, anche sulle pagine de il manifesto, persino la validità di una idea comunista, che meriterebbe di uscire appunto anche lei, dal “conformismo” che la imprigiona da sempre.



Questa però è solo una mia idea che potrebbe rivelarsi al confronto con altre peregrina.



Sostengo invece con altera imprudenza, e credo pure con lo spirito evocato da Angelo D’Orsi, che di “anticonformismo”, abbiamo bisogno come dell’aria che respiriamo.



Vittorio Melandri

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