domenica 30 novembre 2008

vittorio melandri: a piacenza il tentativo di rendere possibile un'altra politica

A Piacenza una associazione che si definisce “politico culturale” che si chiama “cittàcomune” e che annovera fra gli altri suoi promotori il prof. Gianni D’Amo e Piergiorgio Bellocchio, ha rivolto a “tutti i cittadini interessati”, queste domande: “un’altra politica è possibile?, è utile, ha una prospettiva? Domande di chiaro stampo retorico se posso dirlo, con incorporata una perentoria risposta affermativa; sono per dire, capace di invocare una chiosa che azzardo: un’altra politica è indispensabile, non resta che lavorare per crearle una prospettiva. Gianni D’Amo è stato molto chiaro in proposito, quando all’inizio del suo intervento ha sottolineato che l’Art. 2 della Costituzione “…richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. E a chi può richiedere ciò la Costituzione, se non a noi a “tutti i cittadini”, e come non cogliere che “i doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale” lì indicati, sono da intendersi, come doveri che ciascuno di noi, in primo luogo, deve rivolgere verso sé stesso. Non è retorico né affatto inutile sottolinearlo, né tanto meno lo si può considerare un esercizio egoistico, perché al contrario, solo se sappiamo avvertire il dovere di essere solidali con noi stessi, possiamo sperare di esserlo nei confronti degli altri, così come, e il parallelo non è per nulla ardito né utopistico, solo amando noi stessi potremo essere capaci di amare gli altri allo stesso modo. La realtà in cui siamo immersi, ci racconta altro, ma è sbagliato pensarlo come un “altro immodificabile”. È comunque vero che da quando la Costituzione sessant’anni fa è nata, il “Popolo sovrano” è stato di fatto un “Sovrano muto”, chiamato ad esprimersi collettivamente una volta ogni tanto (non si può più nemmeno dire ogni cinque anni), salvo poi essere appunto collettivamente indotto al mutismo, e ad essere poco Popolo, e per nulla sovrano, ed oggi come detto autorevolmente, pure ridotto a mucillagine; tutt’al più frantumato in corporazioni l’una contro l’altra armate e tutte strumentalizzate dal potere dominante di turno, locale, nazionale e sovranazionale. Vale per i cittadini che si considerano di destra e per quelli che si considerano di sinistra, perché il “potere” figliato dalla “politica che c’è” in questo si somiglia, e che sia di destra o sia di sinistra, ambisce ad alimentare e a praticare una politica che sa essere forte sì, ma forte dei propri privilegi, non certo delle proprie idee. Le idee hanno infatti un difetto, sono per loro natura fragili, e sottoposte a verifica possono rivelarsi anche sbagliate e indurre al dovere di cambiare, sia le idee sia i governanti che le promuovono, mentre i privilegi una volta “creati” sono indistruttibili e interscambiabili, si possono vestire per diritto e per rovescio, e non tradiscono mai chi ne gode. L’ “altra politica” indispensabile, è proprio allora una politica capace di svestirsi dei suoi privilegi e determinata ad essere forte delle proprie idee. Da dove partire? A livello locale (e parlando della parte che mi interessa), in quel che resta sul campo della sinistra piacentina, certamente partendo dal tentativo di spogliarsi innanzi tutto dei propri vincoli ideologici, come lo stesso Gianni D’Amo, Davide Benedetti (di sinistra democratica), Carla Antonimi (di R.C. con Vendola) e Stefano Forlini (dei Verdi), hanno nell’ordine dichiarato con esemplare chiarezza intervenendo sabato sera al convegno organizzato appunto da “cittàcomune”, e senza per altro rinunciare alle proprie idee, che al contrario vanno in modo trasparente portate al confronto, perché per dirla con le parole del direttore de l’Unità, “al confronto delle idee non mi vengono in mente alternative”. E poi, forse suggestionato dalla recente lettura di una pagina de “il manifesto” del 27 novembre, partendo dall’impegno a ricomporre la sciagurata separazione fra fare e pensare. Questa idea la riprendo appunto dall’ultimo lavoro di Richard Sennett citato da “il manifesto”, in cui lo studioso statunitense riflette sulla separazione fra pensare e fare, separazione da ricomporre al più presto, perché è su tale separazione che si fonda il potere delle classi dominanti, e troppo spesso capita anche nel nostro piccolo mondo di provincia, che ci si divida fra quelli del fare contrapposti a quelli del pensare, senza cogliere quanto sia al contrario esiziale per ribaltare gli attuali rapporti di forza sfavorevoli a noi strutturalmente più deboli, una ricomposizione di detta separazione. A livello nazionale poi, a mio parere, occorrerebbe ri-partire con l’abbattimento del privilegio padre di tutti i privilegi, quello per cui i politici si sono riservati la possibilità di essere primi ed unici giudici di sé stessi, privilegio raffinato da una legge elettorale detta “porcata”, che nomina e non elegge i parlamentari, ma purtroppo, privilegio incardinato da sempre nell’Art. 66 della Costituzione, che recita: “Ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità”. Non padroneggio a sufficienza la scienza costituzionale né la storia della nostra costituente, per spiegare qui cosa abbia indotto i padri costituenti a compiere tale scelta, so però che da tempo tale scelta, quella per cui lo stesso soggetto è giudice di sé stesso, si è inesorabilmente solidificata in privilegio, sino a giungere oggi al concreto paradosso del nostro concittadino On. Maurizio Migliavacca, che nelle vesti di autorevole dirigente di partito, ha contribuito a formare appunto liste, che in base alla legge in vigore sono servite a nominare i parlamentari, ed in veste di Presidente della “Giunta delle elezioni” della Camera, presiede al giudizio solenne sul proprio lavoro. Zaccaria, D’antona, ed altri del PD, il 29 aprile 2008 hanno sì presentato una Proposta di Legge Costituzionale per modificare l’articolo 66 della Costituzione, che prevedere appunto l’introduzione della facoltà di ricorso alla Corte costituzionale contro le deliberazioni delle Camere in materia di verifica dei poteri, e in tale proposta fra l’altro vi si legge che “da un’analisi comparatistica risulta come nella maggior parte dei Paesi dell’Unione europea la verifica dei poteri spetti ad organi esterni al Parlamento (si vedano Svezia, Regno Unito, Portogallo, Spagna, Francia e Austria)…” ma se è facile profezia immaginare che la proposta finirà come una bolla di sapone, a tale proposta non possiamo rimanere indifferenti, perché, citando per concludere Piero Calamandrei, “una delle offese che si fanno alla Costituzione è l’indifferenza alla politica”. Calamandrei lo diceva agli studenti milanesi il 29 gennaio 1955, noi ripetiamolo a noi stessi, non può farci che bene.



Vittorio Melandri

il manifesto del PSE

dall'avvenire dei lavoratori

Il manifesto del PSE per le prossime elezioni europee

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People first

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People first. Così si chiama la bozza del manifesto del PSE a cui hanno lavorato i rappresentanti dei partiti socialisti, socialdemocratici, laburisti e democratici progressisti d'Europa. Di seguito riportiamo una sintetisi del testo che il Pse discuterà a Madrid lunedì e martedì prossimo. Al manifesto hanno dato il loro contributo anche gli eurodeputati italiani che aderiscono al gruppo Pse del PE e che saranno rappresentati a Madrid da Donata Gottardi e Catiuscia Marini.


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Versione italiana a cura di Gianni Pittella *)

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L'utilizzo delle nuove tecnologie è stato fondamentale nell'elaborazione del manifesto del PSE per le prossime elezioni europee di giugno 2009. Infatti, il manifesto che i leaders dei partiti che si riconoscono nel Partito del Socialismo europeo adotteranno la prossima settimana a Madrid, ha visto la partecipazione attiva dei militanti europei. Durante la lunga fase di ascolto lanciata via internet e attraverso il social network facebook per la redazione del documento finale sono stati raccolti i commenti e i suggerimenti sulle priorità politiche del PSE. In quindici pagine sono state sviluppate le proposte inerenti alle tematiche considerate di maggior rilevanza per affrontare la prossima campagna elettorale. In primo luogo vengono identificate le sfide che ci attendono. Dalla crisi economica alla sfida del cambiamento climatico. Dal diritto ad un lavoro decente e duraturo alla partecipazione democratica nella presa delle decisioni. Dagli sforzi per gesti re l'immigrazione ai diritti degli immigrati legalmente residenti nel nostro territorio. Dalle sfide alla democrazia e dei diritti dei cittadini alle minacce del terrorismo e del crimine oltre che dell'estremismo che attraversa l'Europa. E infine sul ruolo che l'Europa deve svolgere come attore globale nell'aumentare la nostra sicurezza interessandosi anche delle aree più povere del mondo. Strutturato in 6 capitoli il manifesto avanza, con proposte concrete, le politiche da avviare per offrire risposte europee alle sfide che ci attendono. Non potendo prescindere dalla grave situazione finanziaria mondiale il documento inizia proprio affrontando il tema del rilancio dell'economia e delle azioni da intraprendere per evitare il ripetersi di simili crisi. La crisi finanziaria ha dimostrato, ancora una volta, la necessità di un'Europa unita e coordinata che ha saputo dare un aiuto alla protezione dei risparmi dei cittadini. Si sottolinea così la necessit&agra ve; di proporre una riforma dei mercati finanziari che preveda regole per tutti gli attori finanziari in gioco.
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Si propone di porre fine alle situazioni dei paradisi fiscali e combattere il riciclaggio di denaro sporco nell'Ue oltre a fare in modo che tutti gli attori del mercato paghino la giusta proporzione di tasse nei paesi in cui operano. Per rilanciare l'economia viene preso in considerazione una strategia europea per una crescita ecologica ed intelligente in grado di creare 10 milioni di nuovi posti di lavoro entro il 2020 con un quinto di essi solo nel settore delle energie rinnovabili. Particolare enfasi viene posta sia nel settore delle reti infrastrutturali, dello sviluppo dei trasporti combinati con le ferrovie e nel sostegno alle azioni che stanno conducendo i sindaci social democratici attraverso il loro manifesto della Mobilità Urbana, che nell'ambito del completamento del mercato interno anche attraverso il sostegno alle piccole e medie imprese considerate la spina dorsale dell'economia europea in grado di offrire occupazione a una larga parte dei lavoratori. Il sostegno alle economie per favorire il cambio è ritenuto particolarmente importante. Bisogna anticipare i cambiamenti e per questo si dovrebbe da un lato rafforzare lo strumento già esistente del fondo di aggiustamento alla globalizzazione, dall'altro prevedere forme di maggior flessibilità per i prestiti indirizzati agli investimenti da parte della Banca Europea degli Investimenti.

Il secondo capitolo si concentra sulla nuova Europa sociale che possa offrire un accordo sociale equo alle persone. Non c'è differenza dove uno vive o dove è nato. I cittadini europei condividono gli stessi valori di base sul tipo di società in cui vogliono vivere: un'Europa sicura, con alti livelli di vita, un lavoro stabile e decente e un ambiente sicuro e pulito. Per garantire questi standards non è sufficiente salvaguardare lo status quo. E' invece necessario prevedere nuove azioni più mirate e in particolare attraverso la ricerca di un accordo su un Patto Europeo per il Progresso sociale che preveda obiettivi e standards nazionali per la salute, le politiche educative e per la sicurezza sociale che siano in grado di combattere la povertà e le ineguaglianze. Si propone, tra le altre opzioni, di includere una clausola di progresso sociale in ogni atto legislativo dell'Unione Europea e che vengano presi in considerazione i criteri s ociali e ambientali nello sviluppo della legislazione europea. La protezione dei diritti dei cittadini dev'essere assicurata attraverso il rispetto della Carta dei diritti fondamentali e della Convenzione europea dei diritti umani. Il rafforzamento della legislazione anti discriminatoria è prioritario per assicurare una parità di trattamento a prescindere dal genere, dalla razza, dall'età dalle disabilità dagli orientamenti sessuali e dalle credenze religiose o di pensiero. I cittadini europei devono ricevere uguale trattamento in tutti gli Stati membri come ad esempio per quanto riguarda i diritti parentali e matrimoniali.
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Trasformare l'Europa nel leader globale contro il cambiamento climatico è il terzo capitolo del documento. Da un lato l'Europa deve essere il leader mondiale nei negoziati per affrontare la sfida del cambiamento climatico, anche attraverso un aumento dell'aiuto europeo ai paesi in via di sviluppo tanto per combattere come per far fronte al cambiamento climatico. Ma l'Europa deve anche essere in grado di condurre una politica energetica molto più ambiziosa, attraverso una direttiva europea sul clima che assicuri obiettivi e azioni in quei settori non ancora coperti dalle leggi esistenti, ad esempio energia, agricoltura, cibo, costruzioni e trasporti. Tutte le legislazioni climatiche dovrebbe essere adattate per fissare al 30% la riduzione delle emissioni. Ma accanto a questo si dovrà investire per prevedere una rete di trasporto dell'energia in grado di trasportare in modo efficiente l'energia eolica prodotta in alto mare nell'Europa occidentale o quell a solare prodotta nei paesi dell'Europa del sud o del nord Africa.

Il quarto capitolo si concentra sullo sviluppo dell'eguaglianza di genere nel nostro continente. Nonostante siano stati effettuati consistenti progressi per raggiungere una parità tra uomo e donna rimangono persistenti ineguaglianze, le donne guadagnano in media il 15% in meno degli uomini facendo lo stesso lavoro e hanno peggiori condizioni nell'inserimento nel mondo del lavoro. Nel mondo ci sono milioni di donne che soffrono ancora violazioni dei loro diritti e vengono sfruttate e in generale la loro partecipazione alla vita politica è ancora bassa anche in Europa. Per rendere la parità di genere una realtà per tutti si propone di creare una Carta Europea per i diritti delle donne per migliorare i loro diritti e le opportunità, si propone di introdurre gli stessi diritti di congedo parentale per uomini e donne in tutt'Europa e si vuole lanciare una campagna per un'equa rappresentanza di uomini e donne a tutti i livelli del processo decisio nale sul territorio dell'Unione. Tra le proposte si sottolinea anche la necessità di porre in atto politiche che permettano ai genitori di dividere equamente le loro responsabilità familiari e professionali investendo nei settori della cura dei minori sia per la fascia d'età 0-3 anni che in quella 3 anni-età scolare.

Le politiche legate all'immigrazione sono concentrate nel quinto capitolo. Consapevoli del fatto che le persone sono preoccupate delle conseguenze dell'immigrazione è necessario prevedere delle riforme. La risposta non è creare ghetti o alimentare la xenofobia, ma attuare vere riforme per assicurare l'integrazione, combattere l'immigrazione illegale, il traffico di esseri umani e il lavoro nero, e lavorare per creare migliori condizioni di vita nei paesi poveri fuori dall'Europa per prevenire la fuga dei cervelli anche da quelle zone. Per gestire i flussi migratori in modo efficace si propone di stabilire uno standard europeo comune per l'immigrazione legale all'interno dell'Unione europea basata sulla solidarietà, sulla condivisione delle responsabilità rispettando pienamente le competenze dei singoli stati membri in materia. Si propone di combattere l'immigrazione illegale attraverso un controllo di polizia europeo delle frontiere esterne, migliorando la cooperazione per combattere il traffico umano delle organizzazioni criminali e attraverso accordi di partnership con i paesi terzi che includano anche le procedure di riammissione. Bisogna però sostenere ulteriormente lo sviluppo del sistema europeo di asilo basato su norme chiare e giuste per coloro che fuggono dalle persecuzioni nei loro paesi.

Infine, il manifesto affronta il ruolo dell'Unione europea come attore globale per sostenere la pace, lo sviluppo e la sicurezza nel mondo in cui viviamo. Gli ambiti attraverso cui l'Unione deve essere presente vengono identificati attraverso la promozione della pace e della sicurezza tramite un ruolo più attivo nella prevenzione dei conflitti, nella promozione attiva dell'Alleanza delle civilizzazioni attraverso le Nazioni Unite; promuovendo la partnership non solo con le aree geografiche confinanti con l'Ue, ma anche con attori internazionali quali l'India, la Cina, rafforzando i rapporti con l'Africa ristabilendo, con la nuova leadership democratica, un nuovo corso alle relazioni transatlantiche.

Un manifesto serio, che cerca di individuare i problemi a cui la nostra società deve far fronte offrendo risposte che portano all'idea di Europa come soggetto politico e non come mera aggregazione di Stati in difesa dei propri interessi. Negli ultimi 5 anni i conservatori hanno avuto la maggioranza in Europa. Cosa hanno fatto? Hanno contrastato la crisi finanziaria globale? Hanno contrastato l'aumento dei prezzi di energia e cibo? Hanno combattuto la poverta' e le diseguaglianze? E' una societa' migliore di 5 anni fa? Hanno incoraggiato le nostre iniziative per sviluppare e migliorare il lavoro? Loro seguono solo il mercato e lasciano che il ricco diventi sempre piu' ricco, a spese di chiunque altro. Noi crediamo in una economia sociale di mercato. Noi crediamo nella solidarieta' fra generazioni, non nell'individualismo di destra". Per questo abbiamo un solo messaggio da inviare in tutti i paesi dell'Unione europea: Possiamo costruire una società più giusta mettendo le persone al primo posto. Dobbiamo portare l'Europa in una nuova direzione nel giugno 2009.
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*) Europarlamentare (PD/PSE), presidente della delegazione italiana presso il gruppo parlamentare del PSE
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felice besostri: la doppia battaglia del socialismo

dall'avvenire dei lavoratori

Ancora pochi giorni e sapremo come intende presentarsi il PD alle
prossime elezioni europee. Tre sono gli scenari: 1) la proposta di un
patto federativo PD-PSE 2) la sottoscrizione del programma-manifesto
del PSE da parte di (autorevoli) esponenti del PD di provenienza DS e
3) la rottura tra PD e PSE. Se questo per l'Italia è la questione più
rilevante, non dobbiamo dimenticare che anche le formazioni di
sinistra devono chiarire quali rapporti intendano sviluppare con il
socialismo europeo, di cui il PSE è la maggiore espressione. Nelle
varie proposte in campo, compresa quella di SD, il tema è evitato.
Allo stato soltanto una formazione della sinistra è inequivocabilmente
vincolata al PSE: il Partito Socialista. Una presenza del PSE in
Italia dello 0,9% è a prima vista una debolezza del socialismo
europeo, ma ancor di più è una debolezza della sinistra italiana,
tagliata fuori dal maggior campo delle forze progressiste e di
sinistra europee.

La debolezza della sinistra italiana è strutturale, poiché è dal
secondo dopoguerra l'unica sinistra in Europa senza vocazione
maggioritaria. Vocazione maggioritaria significa essere in grado di
conquistare una maggioranza parlamentare sulla base della quale
realizzare un proprio programma e di indicare un proprio esponente
alla guida del governo.

Le ragioni sono molteplici, compresa la divisione dell'Europa al tempo
della Guerra fredda e del confronto USA-URSS, ma sopratutto sono
interne alla sinistra e sostanzialmente derivanti dal fatto che
l'Italia è l'unico paese d'Europa nel quale la divisione tra
socialisti e comunisti ha avuto un peso politico anche dopo il venir
meno delle ragioni ideologiche che la hanno prodotta negli anni venti
del secolo scorso.

Nei paesi dell'Europa occidentale i partiti socialisti sono
chiaramente egemoni a sinistra: una egemonia conquistata grazie al
consenso elettorale in sistemi democratici. In Europa orientale
l'egemonia comunista è stata conquistata con le unificazioni forzate
in Cecoslovacchia, Ungheria, Polonia e Germania orientale. Tuttavia
qui la situazione si è modificata con il crollo del sistema sovietico.
Ora, in quei paesi, c'è un partito egemone a sinistra, capace di
giungere al potere in libere elezioni. Questi partiti aderenti in
maggioranza al PSE ed all'Internazionale Socialista sono
sostanzialmente derivati dalla trasformazione dei partiti comunisti
con un apporto minoritario dell'esilio socialdemocratico.

Dunque l'irriducibilità dell'antitesi tra comunismo e socialismo è una
caratteristica solo italiana. Non interessa stabilire di chi sia la
responsabilità, ciascuno ha la sua opinione, ma focalizzare
l'attenzione su punto principale: è superabile? È necessario
superarla? La mia convinzione è che sia possibile, ma soprattutto
necessario, se vogliamo costruire anche in Italia una sinistra a
vocazione maggioritaria. Questo è un compito prioritario per
rispondere alle esigenze che emergono dalla società ed alle sfide
della globalizzazione, aggravate dalla crisi dei mercati finanziari.

La prima base di intesa deve partire dalla risposta alla domanda, se
ci sia tuttora un'attualità del socialismo in questo XXI° secolo.
Parlare di attualità del socialismo significa pensare che una società
diversa da quella esistente sia non solo auspicabile, ma anche
possibile. Significa porsi il problema della costruzione di un ordine
democratico sovranazionale, come nuova dimensione dell'internazionalismo.

E' vero che il movimento operaio ha realizzato le sue maggiori
conquiste democratiche, economiche e sociali nell'ambito dello stato
nazionale, tuttavia dovrebbe essere chiaro che la dimensione dello
stato nazionale è inadeguata ad affrontare i problemi planetari. La
costruzione di una dimensione sovranazionale pone, però, una sfida,
quella di mantenere un ordinamento democratico e non di privilegiare
soluzioni burocratiche e tecnocratiche, soggette alle pressioni dei
gruppi di interesse.

Se questa è la sfida quale è la massa critica per realizzare gli
obiettivi di una società più libera e più giusta? L'unione di tutte le
forze progressiste e di sinistra, quindi, in Europa raccogliersi
nell'ambito del socialismo europeo. Il socialismo europeo è un
concetto più vasto del PSE, cioè di una determinata formazione
organizzativa che, sia detto con chiarezza, è inadeguata. Il PSE non è
un partito sovranazionale o transnazionale, bensì una confederazione
di partiti nazionali, anzi dei gruppi dirigenti dei partiti
socialisti, socialdemocratici o laburisti nazionali. Quando i partiti
del PSE detenevano ben 12 primi ministri su 15 paesi dell'Unione
Europea, nessuno si è accorto che ci fosse una nuova fase in Europa,
anzi è più facile che i partiti socialisti si uniscano quando sono
all'opposizione. Quando sono al potere prevalgono i contingenti
interessi nazional-statuali.

La battaglia per condurre la maggioranza della sinistra italiana
nell'alveo del socialismo europeo è quindi da fare su due fronti:
quello interno alla sinistra per il suo rinnovamento/ aggiornamento e
quello nei confronti del PSE per una sua riforma, il cui primo
tassello è costituito dalla possibilità di aderire individualmente e
direttamente, cioè senza passare dall'iscrizione ad uno dei partiti
nazionali, membri del PSE.

sabato 29 novembre 2008

schiavone: quale etica converte tremonti

24 novembre 2008
AREA RASSEGNA STAMPA | Opinioni | Rassegna stampa
Quale etica converte Tremonti
Fonte Aldo Schiavone - La Repubblica
Pochi sembrano accorgersene: ma la recessione in cui siamo entrati non ridisegna solo il tessuto sociale ed economico del Paese; sta ridefinendo anche il suo profilo culturale. La posta è alta: nulla di meno che l´egemonia intellettuale e morale sulla nuova Italia che, giorno dopo giorno, sta prendendo corpo sotto i nostri occhi.

Giulio Tremonti lo ha capito perfettamente: e il discorso che ha appena pronunciato per l´inaugurazione dell´anno accademico all´Università Cattolica di Milano ha tutti i caratteri di un autentico manifesto ideologico; un annuncio interamente proiettato sui tempi che ci aspettano. Esso segna la fine, per l´attuale maggioranza di governo, della lunga stagione dominata dagli "spiriti animali" evocati con tanto successo dal primo berlusconismo - vitalismo consumistico, esaltazione del privato, destrutturazione delle regole - e suggerisce alla destra italiana un nuovo e assai più impegnativo orizzonte ideale, e un ben diverso quadro di valori. È una vera e propria svolta, che non dobbiamo sottovalutare. E in questo senso Tremonti può ben essere considerato tra coloro che il Whashington Post chiama, non senza qualche ironia, "i convertiti", passati cioè bruscamente dalle sponde del più intransigente purismo di mercato, all´invocazione quotidiana e incalzante di più Stato e di più regole - anche se nel suo caso (glie ne do atto con piacere) si tratterebbe di una conversione della prima ora, che conclude per lui un ripensamento aperto da una precoce previsione della crisi che stava per verificarsi.

Un´idea campeggia - forte e solitaria - al centro della sua proposta. Dobbiamo essere capaci di immettere più etica nell´economia, egli dice. Di costruire un´«economia sociale di mercato» (la formula non è nuova, e Tremonti stesso ne indica le fonti non senza eleganza dottrinaria), in cui al «paradigma della domanda di beni di consumo», fondata sull´indebitamento e sul tutto subito, si possa sostituire «un paradigma morale, civile e politico» che «organizza la domanda sugli investimenti collettivi fatti per il bene complessivo: non per il presente ma per il futuro».
È difficile non essere d´accordo con lui, soprattutto da parte di chi ha scritto da anni che la rivoluzione della tecnica «ha bisogno di etica, e di storia attraversata da disciplinamento morale». Ma non è questo il punto. Cerchiamo invece di guardare le cose più in profondità.

A prima vista, sembrerebbe di essere di fronte alla ripetizione - a parti rovesciate - di uno schema già noto. Al tentativo cioè di riprodurre un´operazione speculare a quella compiuta da molti socialismi europei fra la metà degli anni Ottanta e gli inizi del nuovo secolo. Allora, per sopravvivere in un´epoca ancora dominata dall´espansione impetuosa della nuova economia spinta dalla rivoluzione tecnologica, partiti di sinistra si adattavano a politiche anche ultra liberiste.
Oggi, al contrario, di fronte alla fine rovinosa di quell´ondata, forze di destra sono costrette, per sopravvivere, ad adottare programmi e linee culturali proprie della più classica tradizione della sinistra (a suo modo, lo dice lo stesso Berlusconi: il mio governo «fa cose di sinistra»).

Già questa prima osservazione ci dice parecchio: che il vento è mutato, e il problema per la sinistra non è più di navigargli contro, ma di impedire che qualcuno lo intercetti prima che gonfi le sue vele, ora che soffia dalla parte giusta. Questo - del cambiamento della corrente della storia - dovrebbe diventare un nostro grande tema: soprattutto di fronte alle giovani generazioni, che vogliono sentirsi parlare di futuro. Ma dovremmo esserne davvero capaci, e avere la forza di proporre un´idea di Italia all´altezza delle prove che ci aspettano.

C´è tuttavia molto di più. Più etica va benissimo. E però, quale etica? E qui le cose si complicano. Noi diciamo: non un´etica "laicista", ma che sappia trovare il divino nell´accrescersi infinito delle facoltà umane, e non nella sacralità della natura come vincolo e come barriera. Un´etica della trasformazione e non della conservazione; dell´emancipazione e non della minorità eterna della specie umana; che non rifiuti l´aumento illimitato della potenza della tecnica, ma ne determini gli obiettivi; che non consideri come eterno nessun assetto biologico o sociale, ma accetti di vederli tutti come figure del mutamento e della transizione; che cerchi le sue leggi non nella natura, ma nella ragione delle donne e degli uomini della nostra specie; che assuma l´esistenza di valori non negoziabili, ma solo in quanto anch´essi storicamente determinati: assoluti non nel senso della loro trascendenza, ma in quello della loro indisponibilità e immodificabilità nella situazione data; che non escluda mai la tecnica dalla vita, ma si limiti a decidere quanta parte della tecnica debba incontrare la vita senza passare dal mercato.

E invece il manifesto di Giulio Tremonti mi sembra vada in tutt´altra direzione. Ed è chiaro perché: egli ha in mente un disegno culturale ambizioso e strategico. Saldare il progetto egemonico della nuova destra non più liberista a quello perseguito dalla Chiesa cattolica (o da una parte di essa) nel nostro Paese. Insomma, rifare in qualche modo la Dc. Ed è per questo che la sua etica (per quel tanto che viene da lui precisata) tende a tingersi di tonalità antilluministe, e la sua critica al "mercatismo" e alla globalizzazione tende a confondersi - proprio come accade alla dottrina sociale della Chiesa - con una critica diretta alla modernità e alle sue prospettive (non vorrei sovrainterpretare, ma forse è proprio questo ? il giudizio sulla nostra modernità ? quello che, al fondo, non è piaciuto di Tremonti a Mario Draghi, stando alle indicazioni del Foglio).

Nello stesso giorno in cui Tremonti parlava a Milano, il cardinale Bagnasco teneva a Roma un altro importante discorso, in un´altra università, dedicato al futuro della Chiesa italiana. Non c´è nessuna particolare sintonia tematica fra i due testi. E tuttavia confesso una preoccupazione, come posso dire, di clima intellettuale. C´è un´antica tentazione sempre ricorrente nei momenti critici della storia d´Italia: quella di arroccarsi, di doversi difendere dalla modernità, mettendo in qualche modo la parrocchia al posto dello Stato (debole o inesistente), e salvarsi così. Ricordiamocelo tutti - noi, la destra, la Chiesa stessa: non è più tempo di questi scambi e di queste paure.

rumiz: i nuovi padroni dell'acqua

"I nuovi padroni dell'acqua"
Paolo Rumiz

La Repubblica" 14 novembre 2008


Giu' le mani dall'acqua del sindaco. Dal Piemonte alla Sicilia, nell'Italia bastonata dalla crisi e' nata una nuova resistenza, contro la privatizzazione dei servizi idrici. Una resistenza che parte dal basso e contesta non solo il Governo, ma il Parlamento, che il 6 agosto, mentre il Paese era in vacanza, ha approvato una norma-bomba (unica in Europa) con il "si'" dell'opposizione. Non se n'e' accorto quasi nessuno: quel pezzo di carta obbliga i Comuni a mettere le loro reti sul mercato entro il 2010, e cio' anche quando i servizi funzionano perfettamente e i conti tornano.
Articolo 23 bis, legge 133, firmata Tremonti. La stessa che privatizza mezza Italia e ha provocato la rivolta della scuola. Leggere per credere. Ora i sindaci hanno letto. Quelli di destra e quelli di sinistra. E subito hanno mangiato la foglia. "Ci avete gia' tolto l'Ici. Se ci togliete anche questo - dicono - che ci rimane?". La partita e' chiara: non e' solo una guerra per l'acqua, ma per la democrazia. Col 23 bis essi perdono contemporaneamente una fonte di entrate e la sorveglianza sul territorio. Il federalismo si svuota di senso. Il rapporto con gli elettori diventa una burla. Lo scenario e' inquietante: bollette fuori controllo, e i cittadini con solo un distante "call center" cui segnalare soprusi o disservizi.
Insomma, l'acqua come i telefonini: quando il credito si esaurisce, il collegamento cade.
La storia parte da lontano, nel 2002, con una legge che obbliga i carrozzoni delle municipalizzate a snellirsi, diventare S.p.a. e lavorare con rigore.
L'Italia viene divisa in bacini idrici, i Comuni sono obbligati a consorziarsi e le bollette a includere tutti i costi, che non possono piu' scaricarsi sul resto delle tasse. Anche se i Comuni hanno mantenuto la maggioranza azionaria, nelle ex municipalizzate son potute entrare banche, industrie e societa' multinazionali. Ma quella che doveva essere una rivoluzione verso il meglio si e' rivelata una delusione. Nessuno rifa' gli acquedotti, le reti restano un colabrodo. Il privato funziona peggio del pubblico, parola di Mediobanca, che in un'indagine recente dimostra che le due aziende pubbliche milanesi, Cap ed Mm hanno le reti migliori d'Italia e tariffe tra le piu' basse d'Europa.
Col voto del 6 agosto si rompe l'ultima diga. L'acqua cessa di essere diritto collettivo e diventa bisogno individuale, merce che ciascuno deve pagarsi. Questo spalanca scenari tutti italiani: per esempio i contatori regalati ai privati (banca, industria o chicchessia che incassano le bollette), e le reti idriche che restano in mano pubblica, con i costi del rifacimento a carico dei contribuenti. Insomma, la polpa ai primi e l'osso ai secondi. Il peggio del peggio. E' contro questo che si stanno muovendo i sindaci d'Italia; a partire da quelli della Lombardia, che la guerra l'hanno cominciata prima degli altri.
E' successo che centoquarantaquattro Comuni attorno a Milano han fatto muro
contro la giunta Formigoni, la quale gia' nel 2006 aveva anticipato il 23 bis con una legge che separava erogazione e gestione del servizio. Quasi sempre all'unanimita' - destra, sinistra e Lega unite - i consigli comunali hanno chiesto un referendum per cancellare l'aberrazione; e proprio ieri, dopo una lotta infinita e incommensurabili malumori del Palazzo, davanti al muro di gomma della giunta che apponeva alla legge solo ritocchi di facciata, hanno dichiarato di non recedere in alcun modo dalla richiesta di una consultazione popolare lombarda.
"Si va allo scontro, non abbiamo scelta", spiega Giovanni Cocciro, iperattivo assessore del Comune-capofila di Cologno Monzese, e delinea il futuro della rete in mano privata. "Metti che i contatori passino a una banca, e questa stacchi l'acqua a un condominio che non paga. Il sindaco, per questioni sanitarie, deve garantire il servizio minimo ma, non potendo piu' ordinare la riapertura del rubinetto, puo' solo intervenire con autobotti, con acqua che costa tremila volte di piu'? Per non parlare dei problemi di ordine pubblico che ricadono sul Comune se la gente perde la pazienza".
Nei bar di Cologno, per ripicca, hanno messo l'etichetta all'acqua di rubinetto e ti dicono che le analisi l'hanno dichiarata all'altezza delle piu' blasonate minerali. Al banco la gente chiede "acqua del sindaco" rivendicandola come diritto, non come merce. E un po' dappertutto, attorno a Milano, crescono le "case dell'acqua", dove il bene piu' universale viene distribuito gratis, rinfrescato e con bollicine, in confortevoli spazi alberati dove la gente puo' sedersi e chiacchierare. Un "water pride" in salsa lombarda, che ora sta contagiando anche il Piemonte.
Premane in Valsassina, in provincia di Lecco, e' un comune di montagna a maggioranza leghista gia' assediato da privati in cerca di nuove centraline idroelettriche, e sul tema dell'acqua ha i nervi scoperti. "Nel servizio idrico solo la gestione pubblica puo' garantire equita' all'utente", sottolinea con forza Pietro Caverio, che ha firmato la protesta dei 144 Comuni.
Segnali di insofferenza arrivano da tutto il Paese; situazioni paradossali si moltiplicano. Sentite cos'e' accaduto a Firenze. Il Comune ha accettato di fare una campagna per il risparmio idrico e un anno dopo, di fronte a una diminuzione dei consumi, ecco che la "Publiacqua" manda agli utenti una lettera dove spiega che, a causa della diminuita erogazione, si vede costretta ad alzare le tariffe per far quadrare i conti. Ovvio: il privato premia lo spreco, non il risparmio. L'unica cosa certa sono i rincari: ad Aprilia nel Lazio sono scattati aumenti del trecento per cento e un conseguente sciopero delle bollette che dura tuttora contro la societa' "Acqualatina". Stessa cosa a Leonforte, provincia di Enna, paese di pensionati in bolletta.
A Nola e Portici, nel retroterra napoletano, la societa' "Gori" ha quasi azzerato la pressione in alcuni condomini insolventi, senza avvertire il sindaco; e lavoratori della ditta hanno impedito ai partigiani dell'acqua pubblica di tenere la loro assemblea. A Frosinone gli aumenti sono stati tali che il Comitato di vigilanza e' dovuto intervenire e alzare la voce per ottenere la documentazione nei tempi previsti. Piu' o meno lo stesso a La Spezia, che ha le bollette piu' care d'Italia. Per non parlare di Arezzo, dove la privatizzazione si sta rivelando un fallimento.
L'Acquedotto pugliese, dopo la privatizzazione, si e' indebitato con banche estere finite nelle tempeste finanziarie globali. A Pescara, da quando e' scattato il regime di S.p.a., s'e' scoperto un grave inquinamento industriale della falda e la magistratura ha fatto chiudere l'impianto. A Ferrara il regime di privatizzazione e' coinciso col trasferimento a Bologna del laboratorio di analisi, con conseguente allentamento dei controlli in una delle zone piu' a rischio d'Italia, causa la falda avvelenata del Po. Ma se gia' ora la situazione e' cosi' grave, ci si chiede, cosa accadra' col "23 bis"? Sessantaquattro ambiti idrici territoriali - sui 90 in cui e' compartimentata l'Italia - tengono duro, rimangono pubblici, e organizzano laddove possibile la difesa contro i compratori dell'acqua italiana. Ma e' battaglia tosta: l'acqua e' il business del futuro. Consumi in aumento e
disponibilita' in calo, quindi prezzi destinati infallibilmente a salire.
Conseguenza: nelle rimanenti 26 S.p.a. miste le pressioni sulla politica sono enormi, tanto piu' che nei consigli di amministrazione il pubblico e rappresentato da malleabili politici in pensione, e il privato da vecchie volpi capaci di far prevalere il profitto sulla bonta' del servizio.
Dai 26 ambiti che hanno accettato la privatizzazione sono cresciuti intanto quattro colossi: l'Acea di Roma che ha comprato l'acqua toscana; l'Amga di Genova che s'e' alleata con la Smat di Torino e ha dato vita all'Iride; la Hera di Bologna che cresce in tutta la Padania; la A2A nata dalla fusione dell'Aem milanese e dell'Asm bresciana. In tutte, una forte presenza di multinazionali come Veolia e Suez, banche, imprenditori italiani d'assalto, e una gran voglia di crescere sul mercato. "Ormai il sistema idrico non segue piu' la geografia delle montagne ma quella dei pacchetti azionari", dice Emilio Molinari, leader nazionale dei comitati per il contratto mondiale per l'acqua. Il che porta sorprese a non finire. Del tipo: il Fondo pensioni delle Giubbe Rosse canadesi che entra nella Hera e quello delle vedove scozzesi che trova spazio all'interno dell'Iride. E colpi di scena politici: l'Acea guidata a suo tempo dal sindaco Veltroni mette le mani sull'acqua toscana, costruendo nel Centro Italia un potentissimo polo dell'acqua "rossa", ma poi ti arriva Alemanno a sparigliare i giochi, e l'acqua di una regione di sinistra oggi e' in mano alla destra.
Anni fa a Firenze sarebbe successo il putiferio. Oggi tutto tace. Motivo? Lo spiega la Commissione Antitrust, che gia' nel 2007 ha individuato nei quattro attori forti i pilastri di una situazione di oligopolio. C'e' un cartello, che ora e' pronto a comprarsi tutto il mercato proprio grazie al "23 bis". Dietro alle Quattro Sorelle esiste lo stesso intreccio finanziario e lo stesso collegamento - rigorosamente bipartisan - con i partiti. I quali, difatti, il 6 agosto hanno votato in perfetta unanimita'. Per questo i sindaci si sentono truffati. "L'acqua e' il nuovo luogo dell'inciucio" ti dicono al bar di Cologno Monzese.
Quando i comitati per l'acqua pubblica, sparsi in tutt'Italia, hanno raccolto 400.000 firme e depositato in parlamento nel luglio 2007 una proposta di legge di iniziativa popolare, sia sotto il governo Prodi che sotto quello di Berlusconi non s'e' trovato uno straccio di relatore, nemmeno d'opposizione, capace di esaminare e illustrare la volonta' dei cittadini cosi' massicciamente espressa. La melina del palazzo sul tema dell'acqua e' trasparente, cristallina.
Con l'acqua che diventa un pacchetto azionario, c'e' anche il rischio che un bene primario della nazione passi in mani altrui, nel gioco di scatole cinesi della finanza. In Inghilterra e' accaduto: le bollette si pagano a una societa' australiana, che ha triplicato le tariffe. Vuoi protestare per un guasto? Rivolgiti a un operatore agli antipodi. Puo' capitare anche qui.
Ormai niente isola piu' l'acqua dai fiumi avvelenati delle finanze che affondano l'economia mondiale, e in molti Paesi si sta correndo ai ripari.
Persino in Francia, che pure e' la sede delle multinazionali Suez e Veolia che comprano l'acqua italiana. "Torniamo all'acqua pubblica", proclama il sindaco di Parigi Delanoe, che impernia su questo la campagna elettorale per la riconferma. Anche li' si rivuole l'acqua del sindaco. E che dire della Svizzera e degli Stati Uniti, i Paesi della Nestle' e della Coca-Cola che imbottigliano fonti italiane. Non sono mica scemi: l'acqua e' protetta come fattore strategico e tenuta ben fuori dal mercato.
Ormai si stanno muovendo tutti, anche la Chiesa. I vescovi di Brescia e Milano sono intervenuti proclamando il concetto del pubblico bene. La conferenza episcopale abruzzese ha messo per iscritto che l'accesso all'acqua "e' un diritto fondamentale e inalienabile". In Campania e' battaglia dura e la difesa dell'acqua si intreccia nel modo piu' perverso con gli interessi della camorra e l'affare della monnezza. Al Nord, in piena zona leghista, sindaci come Domenico Sella (Mezzane, nella pedemontana veronese) deliberano che l'acqua e' cosa loro, ed e' il perno del rapporto con i cittadini. "Se xe una perdita, la gente me ciama, e mi fasso subito riparar". Piu' chiaro di cosi'.
Sul territorio sinistra e destra parlano ormai la stessa lingua. Nelle Marche il presidente della Provincia di Ascoli Massimo Rossi (Rifondazione) spiega che "non si puo' imporre la privatizzazione". E sempre ad Ascoli Paolo Nigrotti, An, presidente della societa' di gestione (tutta pubblica), una delle migliori del Paese, osserva che "la privatizzazione non e' stata gran che in Italia" e va applicata solo la' dove serve. La qualita' costa, ma la puo' garantire anche un pubblico responsabile.
Nel Friuli Venezia Giulia, l'ex presidente della Provincia di Gorizia Giorgio Brandolin - uno che ha resistito alle pressioni privatrizzatrici della Regione e ha messo insieme una S.p.a pubblica tutta goriziana che da due anni e mezzo gestisce la rete in modo impeccabile - ora si ritrova capofila dei movimenti anti "23 bis". In Puglia, 38 Comuni e due Province (Bari e Lecce) hanno formato un robusto pacchetto di mischia per la ripubblicizzazione e chiedono a Nichi Vendola una legge regionale che definisca l'acqua "bene privo di rilevanza economica". Ragusa e Messina battono la stessa strada. A Parma e' scesa in piazza pure la gioventu' italiana della Destra di Storace. Succede che di fronte alla bolletta, la gente - toccata nel portafoglio - sta ripescando un concetto passato di moda, quello di bene comune. Nell'acqua il cattolico vede la vita e il
battesimo; il nazionalista un bene non alienabile agli stranieri; il leghista l'autogoverno del territorio. Altri vi trovano il benessere, il dono ospitale, la pulizia e la sanita'. "Tutti sentono l'acqua come l'ultima trincea" ammette Rosario Lembo, segretario del Contratto per l'acqua. Tutti vi scoprono un simbolo potente, e quel simbolo e' capace di rompere i giochi del Palazzo con nuove alleanze.
Giuseppe Altamore - autore di bei libri-inchiesta sul tema, come "Acqua S.p.a." - osserva che "il vero dramma e' la mancanza di un'authority capace di affrontare l'emergenza di un Paese dove un abitante su tre non ha accesso all'acqua potabile. Quattro ministri se ne occupano, ma intanto nessuno pone rimedio a perdite spaventose e nessuno mette in sicurezza le falde avvelenate. Per esempio l'arsenico oltre il limite a Grosseto e Velletri. E poi il fluoro, i cloriti, i trialometani? Servono formidabili investimenti, o la rete va al collasso".

Fabozzi: se sandro Bondi dà lezioni di cultura al PD

Se Sandro Bondi dà lezioni di cultura al partito democratico
Andrea Fabozzi
Manifesto 25.11.08


Ma Palmiro Togliatti - si divide l'elite parlamentare dei berlusconiani - è stato uno stalinista obbediente oppure uno stalinista intelligente? Uno stalinista «creativo» risolve il professore Ernesto Galli della Loggia, ospite d'onore della presentazione del libro L'influenza del comunismo nella storia d'Italia, dando così torto sia a Fabrizio Cicchitto che a Gaetano Quagliariello. Uno stalinista però, insiste Cicchitto, che «applicando la lezione di Gramsci, sottile pensatore totalitario» arrivò lì dove Silvio Berlusconi sarebbe arrivato solo molto dopo (e spendendo molto di più), al controllo «sulle casematte dell'informazione e sui mezzi di comunicazione di massa». Scansando persino, poteva aggiungere, il conflitto di interessi.
Ma al dibattito ieri pomeriggio a Roma c'era anche il ministro della cultura Sandro Bondi e la discussione è salita di tono. Tanto che veniva persino da condividere certe sue affermazioni sulla crisi culturale del Pd. «E' stata operata una cancellazione totale della storia del Pci nella memoria del nuovo partito» ha notato Bondi. Aggiungendo poi che «se non sarà in grado di sbrogliare la sua storia il Pd non uscirà dalla crisi che è innanzitutto culturale». Bondi (comunista in gioventù, è noto) scorrazza facilmente in campo avversario e tanto facile sarebbe rispondergli che anche la cifra culturale del Popolo delle libertà è piuttosto evanescente, ma intanto colpisce nel segno quando descrive il Pd come «un frullato culturale senz'anima dal quale emerge un individualismo libertario alieno alla tradizione comunista». Come pure «un laicismo integrale che non c'entra nulla con la storia dei cattolici democratici» e nemmeno, probabilmente, con quella dei comunisti del Pci. Se Berlusconi, sostiene Quaglieriello, ha vinto perché ha dato voce «a quell'anticomunismo inconfessato che era interdetto dal dibattito pubblico» negli anni il cui il Pci era forte (o magari era forte l'ambizione di far carriera all'università), Nicola Latorre calato dal fragore dei suoi «pizzini» nel vivo del dibattito storico sostiene che l'anticomunismo condiziona al contrario la possibilità di dare una lettura condivisa della storia d'Italia, premessa indispensabile al sospirato spirito bipartisan. L'anticomunismo non da solo, aggiunge il più dalemiano dei dalemiani: anche il giustizialismo.
Delle eredità dell'egemonia comunista Galli della Loggia ne sottolinea soprattutto due, attuali come un fondo del Corriere della Sera. «Il culto della piazza come alternativa alla maggioranza parlamentare» visto che è passato giusto un mese dall'adunata veltroniana. E «il vulnus della legalità». Sostiene cioè il professore che «i provati rapporti di informazione» tra il Pci e l'Unione sovietica, «provati dal ministro dell'interno Scelba» (accidenti!) sono stati ignorati dai governi democristiani «per evitare una guerra civile». E qui spazio a Cicchitto, che ricorda come «il dito sulla grilletto della guerra civile non ce l'aveva Togliatti ma Stalin». «Ci sono le prove» ripete il deputato berlusconiano con la stessa verve che aveva ai tempi dell'indimenticabile commissione Mitrokhin. «Le prove che il mondo culturale italiano pagato dall'Ovra diventò comunista per ripulirsi la biografia». Affari segreti di cui Cicchitto (e ci sono le prove tra le quali una tessera P2) si intende. Le prove di «un'organizzazione militare comunista di massa» e pure «delle ricetrasmittenti di Cossutta e Pecchioli» e persino di «un legame con le Br». Conclusione facile facile: lo stalinismo è diventato giustizialismo «ma noi del centrodestra siamo contenti perché finché il Pd sarà alleato con Di Pietro vinceremo sempre noi». E qui si vede che Latorre è proprio d'accordo, con un sorriso che vale più di un bigliettino.

una lettera di Nerio Nesi

caro Giovanni,
seguo sempre con attenzione e rispetto il dibattito in corso tra i corrispondenti del circolo Rosselli di Milano. Ho visto con molto piacere che è stata unanimente respinta l'idea (spero solo frutto di follia) di chiedere una nuova Assemblea Costituente, che sarebbe il miglior modo per regalare definitivamente l'Italia al signor Berlusconi e ai suoi soci.
C'è invece un problema che sta diventando drammatico: il tentativo in atto di privatizzare l'acqua (intento attribuito al signor Tremonti). Che l'acqua - bene supremo dell'umanità - possa essere di propietà di alcuni capitalisti, è un pensiero che farebbe indignare chiunque, ma non, putroppo, un'opinione pubblica addormentata dalla televisione.
Bisogna ribellarsi. E il Circolo Rosselli, che porta un nome glorioso, deve essere l'animatore di questa ribellione.
Consideratemi a vostra disposizione.
Un abbraccio.
Tuo Nerio Nesi

Da Aprile: varie sulla crisi

Serve la "paperon Tax"
In uno Stato democratico e solidale in momenti di crisi le risorse si prendono dove producono minor danno sociale. In Italia è inutile continuare a sanguisugare il lavoro dipendente e le pensioni più di quanto è stato fatto finora, occorre cercare altrove. La scelta poi non è così difficile, basta guardare alle rendite finanziarie vere



La ricetta Zapatero contro la crisi
L'economia spagnola è una delle più colpite dalla crisi economica, specie perché il deteriorarsi della sua precedente performance, con la caduta del Pil e l'esaurirsi dell'attivo di bilancio, è avvenuta con una rapidità impressionante. Una crisi con immediate ripercussioni sull'economia reale, con un tasso di disoccupazione attorno all'11%

dino greco sulla crisi

da aprile

L'impacco caldo sulla gamba di legno
Marzia Bonacci, 27 novembre 2008, 15:55

Crisi economica. Le misure prese dal governo per rispondere alla difficile fase che il paese sta vivendo, sospeso sul baratro della recessione, sono inadeguate e in certi casi addirittura sbagliate. Ne abbiamo parlato con il segretario della Cgil di Brescia Dino Greco che ci ha spiegato perché


La crisi economica che avanza e le risposte confezionate dal governo che non convincono la Cgil, la quale rilancia lo sciopero generale del 12 dicembre per inviare un segnale chiaro all'esecutivo, e cioè che il piano messo a punto da Palazzo Chigi per rispondere ad una situazione d'emergenza mondiale qual è quella che anche il nostro paese sta vivendo, va rivisto perché insufficiente ed errato. Ne abbiamo parlato con il segretario della Cgil di Brescia Dino Greco, volto storico del sindacalismo.
Come valuti le misure anti-crisi prese dal governo?
Sono inadeguate e sbagliate. Le definirei come un impacco caldo su una gamba di legno. Si tratta di provvedimenti inefficaci per la quantità delle risorse messe a disposizione a sostegno del reddito perché 2 miliardi di euro sono troppo esigui. E' una cifra che rende scarsa la consistenza dell'aiuto ma anche la platea dei beneficiari. Il bonus familiare, riconosciuto ai nuclei familiari che hanno un reddito sotto i 20 mila euro, significa un aiuto occasionale di 150-800 euro ad una platea sociale fatalmente ristretta. Per esempio i lavoratori dipendenti o i cassa-integrati ne sono esclusi.

Per non parlare del fatto che indicare i 20 mila euro di reddito come discriminante per godere del bonus familaire significa coinvolgere anche possibili evasori fiscali...
Sì, c'è anche questo aspetto dovuto all'inquinamento fraudolento del nostro sistema fiscale, dove l'evasione permane altissima. Ma anche se non ci fosse tale elemento negativo, la scelta di indicare nei 20 mila euro la discriminante per godere del bonus familiare è comunque sbagliata: un piatto di lenticchie che verrà mangiato da pochi.

E la social card, questi 40 euro che per tre mesi saranno garantiti ad un milione e trecento mila italiani e che dovrebbero arrivare per Natale?
E' una compassionevole elargizione ai poveri. Come del resto il bonus familiare. Anche in questo caso, come per la misura precedente, vale la critica del troppo poco per troppo pochi. Non allevia, se non in modo risibile, le condizioni di vita dei lavoratori in affanno, non ha un impatto sul rilancio dei consumi interni, essenziale per una ripresa dell'occupazione e della produzione, due livelli su cui il governo non interviene ma che sono il terreno vero di risposta alla crisi. Se non si agisce su un rilancio dei consumi, attraverso il sostegno ai redditi e alle pensioni, per infondere forza alla produttività, che a sua volta garantisce posti di lavoro, non c'è via d'uscita a questo momento di crisi.

Ma c'è anche bisogno di misure più immediate che ridiano ossigeno da subito...
Sì, per questo si dovrebbe pensare alla detassazione della tredicesima, per rendere poi strutturali le detrazioni fiscali sul lavoro dipendente, garantendo che esse siano inversamente proporzionali al reddito percepito. E' nel rilancio dei consumi, attraverso un sostegno ai salari da lavoro dipendente e alle pensioni, che si può uscire dall'empasse, portando anche ad una ripresa della produzione industriale.

Altro fronte scoperto è quello degli ammortizzatori sociali che il governo si è impegnato a finanziare con un miliardo di euro e ad estendere anche ai precari, falcidiati da questa crisi. Che ne pensi?
E' una foglia di fico che non compre le nudità. Soprattutto per il futuro. L'ecatombe occupazionale è destinata a crescere, in particolare a gennaio, quando la cassa integrazione ordinaria (usata adesso come risposta tampone) si imporrà come forma permanente in seguito al rendersi più strutturale della crisi stessa. Le risorse stanziate sono largamente insufficienti, dureranno pochi mesi.

Il governo sarebbe portato, tra le altre misure, a mettere in campo anche quella della detassazione degli straordinari. Ti sembra una risposta saggia?
E' un cammino inverso a quello che abbiamo perseguito per decenni e che è consistito nel far costare di più il lavoro extra, anche perché l'allungamento dell'orario di occupazione è una delle principali cause degli infortuni sul lavoro. In tempi di crisi, quando vanno in fumo tantissimi posti di lavoro e si diffonde la cassa integrazione, non si può attuare la detassazione degli straordinari, cioè alleggerire il carico fiscale per l'attività lavorativa straordinaria. E' grottesco. Inoltre si tratta di una misura che non risponde alla necessità di garantire e favorire l'occupazione in un momento difficile: lo straordinario di lavoro infatti vanifica la creazione di nuova e altra occupazione. Si tratta anche in questo caso di un provvedimento che aiuta una platea ristretta di beneficiari.

Il governo sostiene che i fondi messi a disposizione non posso essere che quelli prospettati, perchè manca denaro. Sarebbe possibile reperirlo in altre forme? Come si può avere più risorse da investire nel piano anticrisi?
Un modo sarebbe usare il finanziamento per la detassazione degli straordinari in altre misure. Si potrebbe poi pensare ad introdurre una tassa patrimoniale sui grandi redditi. La storia economica recente ci dice che 10 punti del pil si sono spostati dal lavoro reale alle rendite e ai profitti, allora perchè questa classe sociale, che si è arricchita negli ultimi anni, non deve essere tassata per questo arricchimento? Perché non dovrebbe pagare una politica di redistribuzione della ricchezza, che è un'opera di giustizia sociale ma anche di risposta alla crisi, soprattutto se il denaro è ridistribuito a favore dei redditi da lavoro dipendente e pensioni? Sarebbe una tassa di scopo, una tassa contro la crisi. Il governo invece agisce in senso contrario: anziché colpire l'evasione fiscale, soprattutto la grande evasione, taglia i fondi alla lotta. Recuperare il denaro di coloro che fuggono al fisco, invece, consentirebbe di disporre di cifre non indifferenti da investire in questa congiuntura drammatica. Basti pensare che l'evasione annuale è pari a 100 miliardi.

Oltre a questo?
Pensare ad investimenti pubblici e di welfare: rilanciare, anzi promuovere una politica seria di edilizia popolare, di re-infrastrutturizzazione civile del paese (settore ferroviario, reti idriche, bonifica idrogeologica), di investimenti in attività e strutture che rispondano ad una rivoluzione verde. Un modo per promuovere e creare posti di lavoro, ma anche per garantire uno sviluppo di qualità che permane nel futuro. Loro, al contrario, propongono le grandi opere, come il ponte sullo Stretto o i trafori, portandoci anche su questo aspetto in controtendenza rispetto all'azione del resto dei governi europei. Che per altro investono una quantità di fondi maggiori.

Le banche e le imprese sembrano soddisfatte. Perché?
Perché il governo ha investito solo due miliardi per sostenere redditi e pensioni, mentre ha stornato molto (circa 20 miliardi di euro, ndr) per gli istituti di credito e le industrie. La maggiore liquidità alle banche è stata riconosciuta loro senza chiedere nulla in cambio, così come fatto anche per le imprese con il taglio dell' Irap.

Bisogna, in virtù della crisi in atto, rivedere la Finanziaria. Ma il ministro dell'Economia Tremonti è irremovibile sulla linea che essa non si tocca. Un atteggiamento discutibile, non trovi?
La Finanziaria andrebbe rivisitata a causa di ciò che sta accadendo economicamente. Bisogna poi liberarsi dell'ossessione del patto di Maastricht: una necessità che oggi ammette perfino un ex banchiere come Ciampi e che molti, come me, sostengono da tempo, cioè anche quando esistevano altri equilibri politici, come quello del precedente esecutivo, che con l'allora ministro dell'Economia Schioppa si rese sordo a questa richiesta. Si può invece lavorare a stabilizzare il debito per poter investire risorse. Il rapporto debito-pil, osservato dall'Europa, si può tenere sotto controllo aumentando il denominatore, cioè il pil, ma in modo qualificato, ovvero puntando su investimenti sociali che inaugurino un nuovo modello di sviluppo, evitando di perseguire genericamente la cosiddetta crescita, altro mito moderno che andrebbe superato.

In tante occasioni tu hai insistito sul rosario di misure scellerate che l'esecutivo ha preso in materia di economia e lavoro: reintroduzione delle dimissioni in bianco, taglio della pubblica amministrazione, abrogazione della legge del governo Prodi sulla stabilizzazione dei precari della Pa, l'attacco all'art.18, l'attacco al Ccnl e quan'altro. Si può dire che questa crisi arriva a destabilizzare un quadro già provato dalla politica del centrodestra?
Sì, perché attaccare il mondo del lavoro e il sindacato è un'operazione regressiva e reazionaria che non può che tradursi come tale anche sul piano sociale ed economico.

turci: il ruolo del PS

dal sito www.liberalsocialisti.org

Lanfranco Turci, Quale ruolo per il Partito Socialista ?

Dal sito dell'Associazione per la Rosa del Pugno del 27 novembre 2008.
"La sinistra italiana nelle sue varie articolazioni appare a prima vista in preda a una frenesia di combinazioni e scomposizioni senza fine, agitata da polemiche infuocate, da annunci di rese dei conti imminenti tali da lasciare senza respiro un osservatore esterno. E invece tutti questi movimenti non emozionano più di tanto un osservatore disincantato che in essi non vede i prodromi di una grande ripresa, bensì le manifestazioni superficiali di un sostanziale immobilismo politico e culturale.

Infatti il centro destra continua a dominare la scena,nonostante la crisi economica e finanziaria. E’ anzi interessante notare come il centro destra si stia trasformando all'interno della crisi e stia assumendo sempre più le vesti di un grande e paterno partito populista, sufficientemente "anticapitalista” , antimodernizzante e autoritario per potersi fregiare delle insegne tremontiane di "Dio, Patria e Famiglia". Non importa se questo cambiamento smentisce il "mercatismo" e l'antistatalismo della storica discesa in campo. E pazienza anche se sarà necessario prima o poi mettere la sordina a Brunetta, o alle velleità meritocratiche della Gelmini. Anche Bossi stesso sarà chiamato ad aggiustare il tiro, pena la crisi della maggioranza, perchè il suo federalismo fiscale agita i sonni del partito meridionale della spesa pubblica, passato in gran parte nelle fila del Popolo delle libertà.

Questi cambiamenti dovrebbero stimolare una riflessione aggiornata nella sinistra e una più precisa calibratura della opposizione, capace di interagire con i movimenti della scuola e dell’università e con il malessere sociale provocato dalla crisi, senza farsi incantare dalle prediche teologiche e paramarxiste di Tremonti. Ma di questo non c'è traccia.

A sinistra abbiamo invece una scissione in Rifondazione comunista annunciata e smentita a giorni alterni, in modo speculare alla nascita annunciata e smentita del nuovo raggruppamento de “La sinistra”. Abbiamo l’inossidabile PdCI di Diliberto, i Verdi allo sbando e i Radicali ospiti in sofferenza nel PD, intenti a scioperi della fame in difesa del nuovo eroe della democrazia: Riccardo Villari. E abbiamo un PD alle prese con l’ennesimo capitolo della guerra dei trent’anni fra Veltroni e D’Alema. Un capitolo ancor più indefinibile di altri del passato, ma che può arrivare sui titoli dei media solo perché il PD non offre altro e appare paralizzato, senza una linea e una strategia di opposizione riformista, capace di sfidare il governo. E proprio per questo si trova esposto alle intrusioni di Di Pietro, alle gag dei pizzini in TV e alle sceneggiate degli allievi di Mastella. In questo contesto Di Pietro si erge come un gigante nel desolato campo del centro sinistra, come il simbolo dell’antiberlusconismo duro e puro, cavalcando di tutto: dalla difesa corporativa dei magistrati, al vittimismo dell’Orlando abbandonato, ai piloti e hostess in sciopero a Fiumicino.

Ma il punto focale della crisi resta il PD. Un partito che su un versante non si distingue dall’Udc e sull’altro da Di Pietro, perché manca di una precisa identità immediatamente percepibile dall’opinione pubblica. Quella identità che il PD ha rifiutato nel momento in cui ha escluso l’opzione di un socialismo moderno, liberale, sicuro nel difendere i postulati della giustizia sociale, quanto fermo nella difesa delle libertà, dei diritti civili, del ruolo dell’individuo come protagonista responsabile e consapevole nelle istituzioni pubbliche, in quelle sociali e nel mercato. E’ una illusione, l’ennesima illusione veltroniana, cercare di colmare questo vuoto importando il nuovo mito di Obama come l’ultima reincarnazione del sogno americano.

Riemerge invece forte e incomprimibile l’esigenza di una forza riformista di matrice socialista. Proprio a questa assenza Galli Della Loggia addebitava giorni fa sul ‘Corriere della Sera’ la incapacità del PD di tenere ferma la barra sia contro la destra populista sia contro il massimalismo demagogico e giustizialista. Ma nel momento in cui da tante parti si riscontra questa anomalia, questa assenza del riformismo socialista, dove stanno e come stanno i socialisti ?

Ce n’è una bella schiera felice e gagliarda che sta con Berlusconi, tanto più contenta ora che è venuto di moda dire che il governo di centro destra fa una politica di sinistra. In verità si tratta di un pezzo ben ripagato del vecchio ceto politico socialista che ha messo la sua professionalità al servizio del centro destra, giustificandosi in nome del preteso riformismo berlusconiano e del riscatto socialista contro le ingiustizie di tangentopoli.

Poi ci sono i socialisti entrati in tempi e modi diversi nei DS e nel PD. Mi sembrano la parte più infelice della diaspora. Entrati nei DS convinti di essere a tutti gli effetti in una casa socialista, o nel PD con la speranza di poter costruire un forte polo di attrazione, si trovano oggi senza ruolo, senza spazio e senza visibilità, in un partito in cui la stessa agibilità politica è ridotta al lumicino.

Infine c’è il Partito Socialista, uscito piccolo e debole dalla Costituente socialista, per gran parte semplice prolungamento ridimensionato dell’esperienza dello SDI; anche se in esso non hanno rinunciato a tentare di innescare discorsi e dinamiche nuove compagni provenienti dal Nuovo Psi o da altre esperienze socialiste, nonché compagni provenienti dai DS e passati dall’esperienza della Rosa nel pugno.

Credo che nel PS siamo tutti convinti che non sarà attorno a noi che si potrà costituire quel grande partito del socialismo europeo che pure è il nostro obiettivo dichiarato. Il PS, nonostante i richiami dei socialisti collocati nel centro destra e le sollecitazioni terzaforziste, mantiene un saldo ancoraggio nel centro sinistra. Ma restando nel centro sinistra fatica a definire con chiarezza la sua missione politica e si trova esposto a forti sollecitazioni del PD, come dimostra la recente scelta di Gavino Angius. Quelle sollecitazioni respinte alle ultime elezioni politiche a prezzo dell’esclusione dal Parlamento, potrebbero ripresentarsi se malauguratamente dovesse cambiare la legge elettorale per le prossime europee. E comunque sono all’ordine del giorno in molte realtà territoriali con le prossime amministrative. D’altro lato se l’unica ragione della autonomia socialista dovesse ridursi a essere, come per molti quadri socialisti in effetti è, un semplice escamotage organizzativo per alzare il potere contrattuale verso il PD nelle amministrazioni locali o altrove, è evidente che sarebbe ben poca cosa, destinata a essere comunque rapidamente erosa anche dal PD in crisi profonda di oggi.

Quale può essere allora il posizionamento non puramente tattico di questo PS così piccolo e pericolante ?
Dobbiamo partire dalla considerazione che l’evoluzione della sinistra verso un grande partito del socialismo europeo,pur riguardando anche alcune parti della ex sinistra Arcobaleno, passa necessariamente attraverso la crisi e la trasformazione del PD. Stando così le cose, i socialisti del PS dovrebbero prendere a modello il piccolo partito di Ugo La Malfa della fase del centrismo. Quel piccolo partito seppe giocare un ruolo importante sia per modernizzare la politica della DC, sia per favorire l’evoluzione riformista prima del PSI poi del PCI. In tutt’altro contesto e con tutt’altri obiettivi il PS dovrebbe essere capace di una simile operazione maieutica: costruire dentro la sinistra un nucleo dotato di una rigorosa piattaforma laica, liberale e socialista in grado di muoversi con estrema libertà dentro il centro sinistra e nel confronto col governo. In questo modo potrebbe aspirare a giocare un ruolo importante anche sugli equilibri del PD, interagendo con le forze più simpatetiche al suo interno in vista del cambiamento dello stesso progetto. Per fare ciò occorrerebbe un partito la cui chiarezza strategica e la cui determinazione fossero inversamente proporzionali alla consistenza organizzativa e alla precaria collocazione extraparlamentare di oggi.”Vaste programme”per dirla con De Gaulle!

In effetti non è facile immaginare che questo PS sia capace di imboccare e mantenere una strada di questo tipo. Troppe logiche a breve, troppi microcalcoli di potere, pochissime risorse e un grave inaridimento culturale minano la possibilità di assumere un disegno di questo tipo e soprattutto la capacità di metterlo in pratica con la coerenza necessaria. Dobbiamo riconoscere che il congresso recente non ha sciolto questi nodi,il che lascia aperto il rischio che anche questo PS si riduca a un altro capitolo inconcludente della diaspora socialista, nonostante la vasta mole di iniziative messe in moto negli ultimi tempi. Per evitare questo esito non è tanto l’ennesimo sforzo di vitalismo organizzativo quello che serve. Anzi diciamoci la verità: l’abuso di un malinteso “primum vivere”sta confondendo l’immagine e la percezione del PS da parte dell’opinione pubblica.

Quello che ci serve è un vero chiarimento strategico, uno sforzo di intelligenza politica che ci consenta di trovare la vera ragion d’essere di questo partito e così assolvere a un ruolo utile per tutta la sinistra. Il tempo per questa scelta non è infinito."

panzeri: flussi migratori

dalla newsletter di antonio panzeri

L'editoriale
di A. Panzeri


I flussi migratori, che coinvolgono milioni di persone in tutto il pianeta ed investono anche l'Europa con crescente intensità nell'ultimo decennio, sono un fenomeno di dimensione globale. Per questo il governo dell'immigrazione, la lotta contro l'immigrazione clandestina e il traffico di esseri umani, la definizione di politiche di integrazione e cittadinanza non possono essere affrontati in modo efficace dal chiuso di una Nazione ma sono, al contrario, grandi questioni europee. I diversi Paesi non possono affrontare questa sfida in solitudine o, peggio, contrapponendosi all'Europa definendo risposte demagogiche e parziali.



Soltanto una politica comune di immigrazione e asilo a livello dell'Unione europea può consentire risposte efficaci a questa sfida che costituisce, già oggi, non un problema ma una necessità e un'opportunità per l'Europa, se accompagnata da politiche responsabili di governo.
È noto infatti che l'invecchiamento della popolazione e il declino progressivo della popolazione attiva sono un problema crescente per la tenuta dei sistemi di welfare e, in generale, per il rilancio del "modello sociale europeo".
In questo contesto, l'immigrazione è divenuta una delle componenti essenziali della risposta all'evoluzione demografica in Europa e della "strategia di Lisbona" per la crescita, la competitività, l'occupazione, in particolare per compensare la necessità crescente di forza lavoro qualificata che, da sole, le nostre società non riescono già oggi a soddisfare.
L'Unione europea deve avere più coraggio. Occorre superare le diffidenze dei Governi nazionali e definire un coordinamento forte e norme comuni per tutti i Paesi su quattro versanti:

Una politica comune di ingresso e soggiorno: tenendo conto delle differenze dei mercati del lavoro nazionali, occorre definire condizioni uniformi per l'ingresso e il soggiorno per motivi di lavoro. Alla direttiva "Blue Card" per l'ingresso e il soggiorno dei lavoratori stranieri altamente qualificati, devono seguire altre proposte normative per criteri comuni di ingresso e soggiorno per le altre categorie di lavoratori migranti valide per tutti i Paesi membri.
Una politica comune di lotta all'immigrazione clandestina, al lavoro nero e al traffico di esseri umani: occorre rafforzare la cooperazione giudiziaria in materia penale e la cooperazione di polizia a livello europeo per colpire efficacemente le reti criminali internazionali. A questo fine, è essenziale definire sanzioni penali uniformi contro il traffico e lo sfruttamento del lavoro nero dei migranti, intensificare lo scambio di informazioni e il coordinamento delle indagini in seno a Europol e Eurojust, definire strumenti per la gestione comune delle frontiere esterne dell'Unione europea, anche attraverso il rafforzamento di Frontex, l'agenzia dell'UE per il controllo delle frontiere.
Una politica europea di integrazione, inclusione sociale e cittadinanza: l'Unione europea deve sostenere lo sforzo degli attori istituzionali, delle parti sociali e della società civile che da anni lavorano, spesso in solitudine, a livello locale, regionale e nazionale a progetti di integrazione e partecipazione nei territori, nelle città, nei quartieri. È necessario definire un approccio comune dell'Unione europea per l'integrazione dei migranti, per favorire la loro partecipazione attiva alla vita sociale, culturale e politica delle società d'accoglienza, perché società più integrate sono anche società più sicure, oltre che più civili. Occorre definire a livello europeo un nucleo di diritti dei migranti che costituisce il cuore di una cittadinanza europea di residenza fondata sull'estensione progressiva dei diritti, dai diritti del lavoro ai diritti sociali, ai diritti di cittadinanza, incluso il diritto di voto alle elezioni amministrative ed europee per gli immigrati residenti in un Paese membro da almeno cinque anni.
Un partenariato forte tra l'Unione europea e i Paesi di origine e transito dei flussi migratori: la gestione dei movimenti migratori non può fondarsi soltanto su accordi bilaterali con I Paesi di origine e transito. Occorre un partenariato forte tra l'Unione europea e questi Paesi, fondato, oltre che sulla gestione dei movimenti migratori e il controllo delle frontiere anche sul sostegno allo sviluppo economico e sociale, ai processi di democratizzazione e al rafforzamento delle istituzioni. Questo partenariato deve diventare sempre più una componente essenziale della politica estera dell'Unione europea e della politica di vicinato.
Questi sono i punti che sono stati oggetto di confronto nel convegno che si è tenuto sabato 22 novembre, alla Villa Reale di Monza, e sui quali ci sarà l’impegno sia in sede parlamentare, sia sul territorio.

venerdì 28 novembre 2008

congresso psf

da le monde

Le camp Royal veut participer à la direction du PS
"Il n'y a pas deux Partis socialistes", a assuré le ségoléniste Manuel Valls.
Point de vue
Parti socialiste : basta les combines !, par Louis Gautier
Chronique "Politique"
Le Parti socialiste à qui perd gagne, vraiment ?, par Patrick Jarreau
Point de vue
Improbable Die Linke à la française, par Jérôme Fourquet

un altro mondo è possibile

LES ÉDITOS DE MARIANNE
Un autre monde? Chiche!
Par Hervé Nathan. Oui, le travail solidaire, la finance responsable, le commerce respectueux, c'est possible. Oui, un autre monde, qui ne serait plus régi par les principes ultra-libéraux, est possible. Et Marianne le prouve, dans son prochain numéro.

28/11/2008

congresso psf

dal sito marianne


DOCUMENTS
Jack Lang: «Il faut augmenter les impôts. Du courage, merde!»
Invité de Parlons Net, l'ancien ministre de la Culture et de l'Education nationale, qui avait appelé les militants socialistes à voter pour Martine Aubry, a évoqué l'avenir du PS, bien sûr, mais aussi celui de l'école et de la télévision publique. devinez lequel des trois est, à son sens, le plus radieux?

montebourg: il muro di berlino del capitalismo

2 - "Le mur de Berlin du capitalisme", tribune d'Arnaud Montebourg, Le Monde daté du 21/10/08

magnus: ricchi e poveri sempre più diseguali

da micromega


GEORGE MAGNUS*

Ci sono tre ragioni fortissime e stringenti per occuparsi con estrema attenzione della disuguaglianza: non solo di disparità di reddito, ma più in generale di opportunità. Prima di tutto una maggiore disuguaglianza porta alla paralisi della mobilità sociale e dei progressi basati sul merito, può dare origine a frustrazioni politiche e fragilità economica. In secondo luogo l’opposizione politica rischia di essere dirottata e trasformata in opposizione populista, contro gli aspetti positivi della globalizzazione, mediante l’uso di politiche e controlli di tipo protezionistico. Già vediamo in atto processi di questo tipo nell’Unione Europea, negli Stati Uniti e in alcuni Paesi in via di sviluppo. In terzo luogo, l’eccesso di disuguaglianza è sempre sbagliato dal punto di vista etico, e potrebbe delegittimare il nostro sistema economico.

Secondo un recente studio dell’Ocse, nel 2005 il 10% più ricco della popolazione percepiva un reddito di 9 volte superiore a quello del 10% più povero. Nei Paesi nordici e in Francia la disuguaglianza era molto inferiore, ma in molte grandi nazioni la disparità era decisamente più elevata. In Messico per esempio la differenza nei livelli di reddito tra il 10% al vertice e il 10% al fondo della scala sociale era di 26 a 1, negli Stati Uniti di 16 a 1, in Italia di 11 a 1 e in Giappone, Regno Unito, Germania e Canada di 8-10 a 1. In termini monetari il rapporto affermava che i cittadini più poveri dei Paesi Ocse erano costretti a vivere in media con meno di 7 mila dollari l’anno, quando non dovevano accontentarsi di 5 mila come in Italia e negli Stati Uniti. I dati citati fotografano unicamente le due estremità del livello di reddito. Non si riferiscono alla disparità di ricchezza, dove il primo decile della popolazione di regola possiede almeno il 50% della ricchezza, definite in termini di patrimonio immobiliare, depositi bancari, prodotti finanziari e altri beni dello stesso genere. Nessuno vuole sostenere che tali disparità siano un fenomeno recente, ma negli ultimi 20 anni le dimensioni della disuguaglianza sono andate aumentando. [...]

Esistono misure che i governi possono intraprendere per affrontare la disuguaglianza da subito, malgrado le pressioni finanziarie generate dalla spesa finalizzata a scongiurare il crollo del sistema bancario. Nel futuro immediato si possono prevedere forme di finanziamento per gli elementi più poveri della società, e si potrebbero avviare programmi concentrati su infrastrutture, rinnovamento urbano, attenuazione dei fenomeni di cambiamento climatico, energie alternative e altri progetti ecosostenibili. Sono cose che dovremo fare comunque, e sarebbe il caso di cominciare subito anche perché questi programmi produrrebbero conseguenze durature sui posti di lavoro e sui redditi.

Nel lungo periodo non ci sono alternative a programmi fortemente strutturati volti a incrementare il livello complessivo dell’occupazione e soprattutto della specializzazione e dell’istruzione. [...] Dobbiamo dar vita a una globalizzazione migliore, capace di una migliore valutazione e gestione dei costi. La Cina è diventata il fulcro della produzione manifatturiera di basso e medio profilo per il mondo intero, e l’India aspira allo stesso ruolo nel settore dei servizi. Dobbiamo lavorare alla pari con questi giganti del mercato emergente.[...] Dobbiamo sviluppare programmi che incrementino l’inserimento nella forza lavoro delle donne e delle persone con più di 55 anni. E concentrarci sulle strategie volte a promuovere l’istruzione e la formazione professionale permanenti, per tutta la durata della vita attiva della popolazione, volte ad agevolare la mobilità sociale e la capacità di competere nell’economia globale. Nei prossimi 10 anni avremo più bisogno di ingegneri meccanici che finanziari, occorrerà che i nostri cervelloni si adoperino per costruire cose concrete invece di escogitare complicati modelli di prodotti finanziari. E dobbiamo bloccare la crescente tendenza al pensionamento di persone che godono di un livello di istruzione e competenza più elevato di quello dei loro figli e nipoti che entrano oggi nel mondo del lavoro.

*Senior Economic Adviser dell’UBS Investment Bank. Dal saggio «Non possiamo più ignorare la disuguaglianza» pubblicato su «MicroMega» da oggi in edicola

claudio fava sul coordinamento delle sinistre

dal sito di sd

Bene, coordiniamoci ma anche con Pd Idv e Ps"
di Frida Nacinovich
Allora che si fa Claudio Fava? Ci coordiniamo? Ma ci coordiniamo anche in vista delle elezioni?
Una premessa: il coordinamento delle opposizioni non è un soggetto politico, non è un cartello elettorale. Serve a rafforzare con proposte comuni l'iniziativa politica, non risolve e non esaurisce le significative differenze di orizzonte strategico che attraversano la sinistra: ci sono, e tenerne conto è anche un fatto di onestà politica. Ciò non ci sottrae all'urgenza di trovare terreni operativi di lavoro comune, non c'è alcuna ragione di arrivare alla paralisi politica.
Come possiamo definire il coordinamento delle forze della sinistra proposto da Paolo Ferrero? Una sorta di patto di unità d'azione?
Proprio per la sua funzione operativa mi sembra riduttivo aprire il coordinamento alla sola sinistra. L'invito va rivolto anche all'opposizione parlamentare del Pd e dell'Idv, anche al Ps.

pd: il nodo scorsoio del pse

da aprile

Il nodo scorsoio del PSE
Si spacca il Pd piemontese sulla proposta di aderire al gruppo socialista europeo a Strasburgo sostenuta dall'ex segretario Ds Piero Fassino e dalla presidente della regione Piemonte Mercedes Bresso. si sostiene che "se Fassino e Bresso aderiranno al documento del PSE, ognuno nel PD sarà autorizzato a sottoscrivere documenti dei diversi partiti europei"

Il Pse è la nostra casa
Nella discussione su quale rapporto dovrà avere il Pd con i partiti socialisti e laburisti europei c'è una decisione preliminare da prendere: e cioè se la scelta è meramente identitaria o politica-programmatica. Affrontare, infatti, la questione del rapporto col socialismo europeo solo in termini identitari ed ideologici provocherebbe inevitabilmente una divisone del partito

stefano bazzoli: sulla costituzione

Una domanda ai giuristi.

Ma il principio costituzionale (secondo me sacrosanto) che il parlamentare esercita le funzioni “senza vincolo di mandato”, non è palesemente contraddetto da una legge che recide totalmente ogni collegamento fra la volontà dell’elettore e il singolo parlamentare?

Senza vincolo di mandato significa, fra l’altro, che vi è un rapporto di fiducia (personalissimo, non partitico) fra elettore ed eletto.

Cioè, io mi fido di te, ti voto sì, perché sei in un partito e perché ti riconosci in un programma, ma ti riconosco anche il diritto di adattare la tua azione parlamentare alla mutevole situazione, di restare indipendente dalle logiche di “apparato” e, in sintesi, di mettere la tua intelligenza politica un millimetro prima di ogni schema precostituito.

Paradossalmente Io sarei disposto ad accettare l’attuale legge elettorale legge, ma abolendo quel principio.

In altre parole, se lista bloccata dev’essere, allora bisogna trovare il sistema di vincolare il parlamentare ad un mandato partitico e/o di programma con la conseguente sua revocabilità in corso di legislatura (cosa peraltro praticamente impossibile se non nelle farneticazioni di Beppe Grillo).



Insomma io dico: Aut “senza vincolo di mandato” Aut liste bloccate. Tertium non datur.



O sono fuori strada?



Per quanto riguarda la costituente concordo totalmente con Luciano Belli Paci. Per ora (leggi per i prossimi 20-30 anni) meno si tocca la Costituzione, meglio è.



Stefano Bazzoli

giovedì 27 novembre 2008

jean daniel sul psf

Nº2299SEMAINE DU JEUDI 27 Novembre 2008
À la Une < Le Nouvel Observateur < Un obscur désir de suicide



Un obscur désir de suicide




Le pire est-il concevable ? Oui. Imaginons. Le Parti socialiste français, l'une des plus grandes formations de toutes les démocraties occidentales, explose dans la division et met de lui-même un terme à sa mission, mais cela dans les règles les plus démocratiques qui soient. La première conséquence de cette explosion est très simple : il n'y a plus d'opposition face à un pouvoir présidentiel devenu plus personnel que jamais. Ce sera le vide. Face au gouvernement et aux majorités dans les deux Chambres, il y aura des personnalités, d'ailleurs très valables, à la tête d'une kyrielle de partis. Nous aurons une série de petits François Bayrou, lequel aura perdu le prestige de la solitude. Nous aurons ainsi l'avantage de démontrer que le fonctionnement de la démocratie dans la nation peut être mis en question par un excès de démocratie dans les partis de l'opposition. C'est un paradoxe, mais il ne faut en ignorer aucune des composantes.
Le Parti socialiste actuel est majoritaire dans les élections locales, règne sur sept des dix plus grandes villes de France et sur vingt régions. Il constitue une force considérable. Ce parti a à son actif bien des gloires. Il a installé au pouvoir pendant quatorze ans un homme d'Etat, François Mitterrand, qui, non content d'avoir mis fin à des décennies de domination des communistes sur la gauche, a maintenu les structures unitaires du Parti socialiste. Et l'on trouve tout naturel de voir s'affronter deux candidates pour la direction d'une des formations politiques les plus sexistes de la nation. On s'est tellement passionné pour le pugilat entre Ségolène Royal et Martine Aubry que l'on a fini par oublier qu'il s'agissait de deux femmes. Elles sont arrivées à leur niveau de responsabilité par leur seule énergie, en venant de la base, sans avoir été désignées par personne.



C'est pourtant ce parti qui s'est réuni en un congrès où la lutte féroce et mesquine pour le pouvoir a dominé la compétition des idées. Comme si, après quarante années, il était soudain visité par une secrète envie de disparaître. Car, après tout, il ne s'agissait que de choisir entre une candidate, Ségolène Royal, persuadée que l'adaptation au monde moderne exigeait la «participation» de tous les «humanistes», et une autre candidate, Martine Aubry, qui estimait que la vigueur dans la fidélité suffisait pour restaurer la vieille maison et même rajeunir ses enfants. Si l'on oublie la gestuelle, l'apparence, l'image - c'est-à-dire ce que la télévision a pour fonction de rendre prioritaire -, la confrontation a été souvent d'une certaine densité, et il n'était donc pas indigne d'hésiter entre les audaces non maîtrisées de l'une et le conservatisme autoritaire de l'autre.
Je ne jurerais pas qu'il n'y ait pas eu, dans le dernier stade de la compétition, après que Bertrand Delanoë et que Benoît Hamon s'étaient retirés, des tractations entre gens qui n'avaient pas que de nobles préoccupations. Mais ce n'est pas le propos d'un article comme celui-ci. Il est évident que Ségolène Royal a suscité une coalition qui ressemble fort à une conjuration. Mais n'a-t-elle pas tout fait pour s'assurer un statut de victime dont elle pensait imprudemment bénéficier ? Cela dit, je ne me lasserai pas de répéter que l'importance des changements brutaux qui sont en train d'ébranler notre monde et la conscience que l'on peut en avoir doivent être les critères de tout jugement.



Cela est valable pour tous et en particulier pour nos deux candidates. Rien, dans leurs proclamations ni même dans les motions de leurs experts, ne me conduit à penser qu'elles aient pris la mesure de ce qui menace aujourd'hui tout notre système économique et paralyse nos prévisions. Ni Martine Aubry, représentante, en somme, de la social-démocratie classique, ni Ségolène Royal, représentante d'un Parti socialiste «démocrate» à l'américaine, ne nous donnent la moindre piste pour sortir de la crise actuelle, la plus forte que nous ayons connue depuis 1929, provoquée par l'aveuglement des élites et le grégarisme des leaders d'opinion. Incapables de lire notre environnement international, les deux candidates ne nous disent rien, enfin, sur le monde extérieur, à un moment où les Européens ont montré une certaine capacité d'action commune, où la Chine a rejoint le G20 et où les Etats-Unis révisent leurs stratégies en reconnaissant qu'ils ne seront plus les seuls acteurs sur la scène internationale.

Pour ce qui est de la crise, je lis avec intérêt et profit les analyses de Thomas Piketty et de Pierre-Alain Muet. Qu'ils permettent à un profane de leur dire que leurs différences ne sont pas évidentes et qu'en tout cas les unes et les autres pèsent peu sur les déclarations de la candidate de leur choix.
Je pourrais continuer, ne serait-ce qu'en pillant mes confrères étrangers, ceux de «The Economist», du «Wall Street Journal» et tout simplement ceux que cite «Courrier international». Sur les déchirements du Parti socialiste, qui sont allés pourtant jusqu'à la foire d'empoigne, ils sont plus indulgents que d'ordinaire, et moins sadiques que nous ne sommes masochistes. L'excès de démocratie n'est pas assimilé systématiquement à un désordre et ne provoque pas chez eux les ricanements méprisants qu'ils peuvent avoir lorsqu'ils parlent de l'Italie.
Certains de ces commentateurs comprennent, comme j'essaie de le faire ici, que le grand risque est de voir toute opposition disparaître dans la démocratie française. Car ce n'est pas avec les «anticapitalistes» et les socialistes antilibéraux que l'on constituera une formation dotée d'une vraie doctrine et d'une réelle capacité de mobilisation. Sur la crise, puisque c'est vraiment mon seul critère, avec celui du changement, je n'ai rien vu venant de l'extrême-gauche ou du centre qui annonce cette sagesse prophétique que tout réclame.
Mais revenons à notre hypothèse initiale : lorsqu'il n'y aura plus de parti pour constituer la grande opposition légale au pouvoir du président de la République, on me dit que le contre-pouvoir constitué par les Régions ne fera qu'augmenter. Rien n'est moins assuré, et il faudra bien, aussi, s'attendre à ce que le mécontentement s'exprime dans la rue.




Jean Daniel
Le Nouvel Observateur

congresso psf

da le monde

Jean-Christophe Cambadélis : "Ségolène Royal n'a pas d'alliés"
Dans un "chat" au Monde.fr, le député PS de Paris Jean-Christophe Cambadélis, proche de Martine Aubry, dessine les contours de la reconstruction du Parti socialiste au lendemain de l'après-congrès de Reims.

il pd non firma il manifesto

I commenti di Nencini, Craxi, Del Bue e Biscardini
NO DI VELTRONI AL PSE. IL MANIFESTO DI MADRID LO FIRMERA' FASSINO PER I DS!


Riccardo Nencini interpellato da Repubblica è lapidario:" Il programma per le elezioni europee del PSE lo sottoscriverà Fassino per i DS e non Veltroni per il PD. In altre parole tale programma sarà sottoscritto da un partito (i DS) estinto in Italia ma non dal partito (il PD) che farà la campagna elettorale. Come la prenderanno i compagni del PSE?"
"Con la scelta di non sottoscrivere il Manifesto socialista, il Partito democratico si è chiamato fuori da questo alveo politico naturale nel quale, fra le altre cose, vi entrò grazie allo sforzo e all'impegno politico dei socialisti italiani"afferma Bobo Craxi."Si tratta", prosegue Craxi, "di una valutazione che consideriamo negativa, ma anche di un atto di chiarezza: certe soluzioni che leggiamo sui giornali di firme Ds 'post mortem' al Manifesto del Pse non stanno in piedi né per dritto, né per storto. Andranno forse bene per lo spettacolo, ma sono, in realtà, un inutile tentativo di tenere in vita un'opzione politica che il Pd, per bocca del suo leader, non contempla più".
"La doppiezza", continua Craxi, "in questi casi non è sintomo di furbizia, bensì di confusione. Il prossimo 30 novembre, a Madrid, nella prevista riunione del Bureau, assumeremo una posizione molto netta circa l'opportunità che venga messa in scena una farsa che contraddice la realtà delle cose".
"In Europa vigono regole e comportamenti chiari ed univoci", conclude l'esponente socialista, "la cui violazione crea solo un danno politico e d'immagine".
Sul tema interviene anche Mauro Del Bue. "Un tempo il Pci era comunista in Italia, ma vicino ai socialisti in Europa, poi il Pds si disse socialista in Europa e democratico di sinistra in Italia, adesso il nuovo Pd non sa più chi è né in Europa, né in Italia-osserva Del Bue- Ma come si fa a fondare un partito che non ha deciso dove collocarsi, cioè quale identità assumere né da noi, né nel contesto europeo? La trovata di Fassino a Madrid dove è in corso la preparazione del Manifesto dei socialisti europei per le prossime elezioni di primavera -sottolinea Del Bue- è davvero sconcertante. E anche un pò grottesca. Per evitare di firmare il documento come Pd (Veltroni non si impegnerà a firmare un bel niente) Fassino firmerà come ex segretario dell'ex Ds. Occhetto, a questo punto, potrebbe firmare anche come primo segretario dell'ex Pds e, perchè no, anche come ex segretario dell'ex Pci. E poi dicon o che vogliono guardare avanti. Ma se vogliono un minino di chiarezza e sono obbligati a guardare indietro, come possono avere un futuro? Per quanto ci riguarda noi faremo la lista dei socialisti firmando il documento dei socialisti europei.
Per Roberto Biscardini "La decisione del Pd di rimanere fuori dal Pse non ammette ambiguità e chiarisce definitivamente la diversità tra il nostro Partito e il Partito Democratico. Siamo due partiti diversi osserva Biscardini- con due prospettive diverse e riferimenti internazionali diversi. E diventa ormai inutile continuare a chiedere al Pd di chiarire la propria collocazione in Europa. Ormai-aggiunge l'esponente socialista- non ci sono più dubbi: la stessa dichiarazione di Piero Fassino, che conferma la volontà del Pd di rifiutare l'adesione al Pse, proponendo ai socialisti europei un accordo per la nascita di un nuovo gruppo parlamentare di tipo federativo senza più riferimento esplicito al Pse, è una conferma di una decisione presa e pesante. I socialisti, che saranno l'unico partito italiano a firmare il Manifesto di Madrid e che hanno nel proprio simbolo il riferimento al Pse -conclude Bi scardini- possono affrontare la campagna elettorale per le europee con un'identità precisa, facendo valere anche presso l'elettorato italiano l'attualità del socialismo internazionale."

il manifesto del pse

IL MANIFESTO DEL PSE PER LE ELEZIONI EUROPEE
L'ufficio di presidenza del Partito del Socialismo Europeo ha approvato in via definitiva la proposta di Manifesto elettorale per le elezioni europee del 2009, che sarà poi lanciata a Madrid il prossimo 1 dicembre nel corso del Consiglio Generale dello stesso PSE, ospitato dal premier spagnolo Zapatero. I socialisti proporranno agli elettori un'unica piattaforma elettorale in tutti i 27 paesi della Unione Europea, dal titolo "Prima le persone-Una nuova direzione per l'Europa" basata su 6 punti principali: rilancio dell'economia e lotta alla crisi finanziaria, maggiore equità sociale (l'Europa "sociale"), lotta al cambiamento climatico, difendere le pari opportunità, garantire un'efficace politica di immigrazione, fare dell'Europa un soggetto politico mondiale per la pace e la sicurezza.
Luca Cefisi che ha partecipato alla riunione di ieri, nota che "in Europa c'è uno schieramento progressista e moderno che si identifica con il Partito del Socialismo Europeo. Le nostre proposte sono chiaramente diverse da quelle del centro-destra, e chiedono anche agli italiani di scegliere da che parte stare: sono centrate sulle pari opportunità, sulla laicità, sulla difesa dei cittadini dalla crisi finanziaria, su nuove politiche energetiche, su un'Europa forte e unita. Se il centro sinistra italiano si tirerà indietro, per provincialismo o per remore ideologiche, dallo schieramento europeo dei socialisti, sarà tutta l'Italia ad essere più debole. Noi del Partito Socialista -conclude Cefisi- faremo comunque la nostra parte, in Italia e in Europa, per promuovere le idee di questo Manifesto".

Flick: la memoria contro l'intolleranza

da la stampa

La memoria contro l'intolleranza
La letteratura - quando dà il meglio di se stessa - rende partecipi del destino di altri, div...
GIOVANNI MARIA FLICK*

governo: errori di merito e di metodo

dal sito di aprile


Governo, errori di merito e metodo
La Cgil conferma lo sciopero nazionale del 12 dicembre perchè il piano anti-crisi dell'esecutivo non convince dal punto di vista contenutistico. Corso Italia contesta anche la mancanza di disponibilità all'ascolto delle sue proposte dimostrata nell'incontro di lunedì con le parti sociali. Ne abbiamo parlato con Fulvio Fammoni, segretario confederale del sindacato di Epifani

contro berlusconi sinistra divisa

dal sito di aprile

Contro Berlusconi? Sinistra divisa

Il segretario del Prc Ferrero lancia l'idea di un coordinamento per favorire l'opposizione sociale al governo e Confindustria. A farne parte, solo le forze dell'ex Sa. Risponde positivamente il leader di Sd Fava, che però specifica come nell'iniziativa debbano essere coinvolti anche Pd, Idv e socialisti. Risponde Rifondazione che non è possibile

la risposta dell'is alla crisi economica

MEXICO COUNCIL - A Global Social Democratic Response to the World Financial Crisis17-18 November 2008

Members of the Socialist International Council from all continents convened in Mexico on Monday 17 and Tuesday 18 November, hosted by the organisation’s two member parties in that country, the Institutional Revolutionary Party, PRI, and the Party of Democratic Revolution, PRD, to discuss an agenda under the main theme of “A Global Social Democratic Response to the World Financial Crisis”. Participants, including current and former heads of government, ministers, party leaders and representatives, brought to the discussions regional and national perspectives to put forward common social democratic proposals for tackling the global financial and economic crises.

Meeting on a University campus in Vallarta, with close to 200 delegates, the Council opened on Monday 17 November with words of welcome from the Director of the Institute of Innovation and Governance of the University of Guadalajara, and speeches by Guadalupe Acosta Naranjo, President of the PRD; Beatriz Paredes, President of the PRI and an SI Vice-President; and by the President of the Socialist International, George Papandreou. (Videos)

High on the Council agenda were the critical role of politics, government and regulation to secure a sustainable and fair global economy, as well as the changing international situation, following the election of Barack Obama in the United States and the new scenario for world politics, and opportunities for international cooperation and multilateralism. (List of Speakers)

Building on discussions initiated by the Socialist International Presidium at its meeting, held at the United Nations in New York, and the recently established SI Commission on Global Financial Issues, the Council highlighted the need for a comprehensive approach to the crisis, one which addressed not only the financial aspect but also dealt with climate change, environmental and energy issues, as well as fighting poverty. The SI Council underlined that new responsibilities and opportunities had opened up for the global social democratic movement to place its concerns at the heart of the agenda of a new economic paradigm – with an emphasis on jobs, pensions, health, education and democratic governance. A return to politics was essential, the Council asserted, and gave specific proposals for a new financial architecture based on social democratic principles in a Statement adopted at the conclusion of the debates.

The Council also heard examples of innovative approaches and best practices for social inclusion policies in different parts of the world, especially among emerging and developing countries, in a special panel debate. Particular cases were presented, including policies for migrant workers both at home and abroad introduced in Zacatecas, Mexico; on social development projects being carried out in Guatemala; on job creation policies undertaken in Angola; on social inclusion programmes for indigenous peoples established in Peru and on the need for democratic development in Equatorial Guinea. There also followed a discussion on the need to address inequality and enhance regional cooperation, which included a perspective from Latin America and the Caribbean.

At this first Council following the XXIII Congress, the Socialist International, in accordance with its Statutes, established a number of regional and thematic Committees which will be active in this forthcoming period, as well as electing their respective Chairs. Regional committees were re-established for Africa; Asia and the Pacific; the CIS, Caucasus and the Black Sea; Latin America and the Caribbean; the Mediterranean; the Middle East; and South Eastern Europe, with thematic Committees created to address the following issues: Economic Policy, Labour and National Resources; Social Cohesion, Poverty and HIV/AIDS; Disarmament; Local Authorities; Migrations; and Peace. The members of the SI Finance and Administration Committee and the organisation’s Ethics Committee were also elected for this inter-Congress period.