Il Circolo Carlo Rosselli è una realtà associativa presente a Milano sin dal 1981. http://www.circolorossellimilano.org/
giovedì 30 settembre 2021
Aumenti del gas. Tra futures e speculazioni
Dall'ADL
Aumenti del gas
Tra futures e speculazione
In Italia, non solo tra le forze politiche, si discute dell’aumento delle bollette del gas e dell’elettricità, rispettivamente del 31% e del 40%. È un trend inflattivo in atto in tutta Europa e nel resto del mondo, ma…
di Mario Lettieri, già Sottosegretario all’economia (governo Prodi)
e Paolo Raimondi, Economista
Sulle cause dell’aumento del gas manca la chiarezza. Non basta riferirsi alla ripresa economica globale e dei consumi dopo i lockdown pandemici, alla domanda di energia pulita e al cambiamento climatico. Tutti aspetti veri, ma il classico rapporto tra domanda e offerta, a nostro avviso, non spiega il fenomeno dei prezzi così “inflazionati”. Però, diventano delle giustificazioni per operazioni di carattere finanziario, come i futures sul gas.
Com’è noto, il prezzo del gas naturale e quello dei futures sul gas sono definiti nello stato della Louisiana dal cosiddetto Henry Hub. Dall’inizio dell’anno il prezzo dei futures sul gas contrattati negli Usa è cresciuto di oltre 94%. Cinque volte quelli di due anni fa.
Si aggiunga che sul mercato ci sono anche i cosiddetti CFD (contract for difference), strumenti finanziari derivati il cui utilizzo non comporta lo scambio fisico, in questo caso il gas. Bensì si prevede il pagamento in contanti della variazione di valore della materia prima alla scadenza del contratto.
I mercati principali dei futures sui prodotti energetici sono il Chicago Mercantile Exchange e il NYMEX di New York. Come per gli altri futures e, in genere, per i derivati finanziari, i trader possono usare il cosiddetto leverage, la leva, per cui un deposito limitato messo in garanzia permette di sottoscrivere contratti per un valore multiplo.
Pertanto, la sola spiegazione oggettiva dell’aumento del prezzo del gas, causato dalla crescita della domanda e dei consumi, non regge. Lo conferma anche lo studio, “The future of liquified natural gas: Opportunities for growth”, pubblicato nel settembre 2020 da McKinsey & Company, la maggiore società internazionale di consulenza strategica. McKinsey ha una sua credibilità. Per esempio, in passato ha elaborato lo studio più accurato sulle infrastrutture a livello globale.
McKinsey sosteneva che l’industria del gas naturale liquefatto (GNL) stava praticando prezzi bassi e un’offerta eccessiva e che, per la pandemia, la domanda di gas nel 2020 sarebbe potuta diminuire dal 4 al 7%. Tanto che gli esportatori di GNL avevano cancellato alcune spedizioni di gas (più di 100 cargo statunitensi sono stati cancellati nel mese di giugno e di luglio 2020), poiché il prezzo spot nei mercati asiatici ed europei non copriva più il costo della fornitura.
In ogni caso, McKinsey spiegava che in futuro lo GNL avrebbe avuto una grande potenzialità in rapporto a cinque aree di intervento: efficienza del capitale, ottimizzazione della catena di approvvigionamento, sviluppo del mercato, de carbonizzazione e digitalizzazione avanzata dei processi. In seguito, McKinsey ha valutato una crescita della domanda globale di gas intorno al 3,4% annuo fino al 2035.
Perciò, l’aumento della domanda c’è, ma in dimensioni che non giustificano la sproporzionata crescita del prezzo del gas. Invece, l’aumento dei prezzi dei futures può deformare l’andamento del mercato.
Ovviamente i liberisti facinorosi sostengono che i futures non influenzano l’andamento dei prezzi, poiché si tratta di contratti tra privati, dove se uno perde, l’altro vince. Somma zero.
In realtà, i futures e in generale le operazioni speculative in derivati, grazie al leverage, raggiungono numeri altissimi e riescono a influenzare i mercati e determinare i prezzi di una materia prima. Si ricordi il balzo del petrolio fino a oltre 150 dollari al barile nel 2008, alla vigilia della Grande Crisi, per poi crollare. Allora si parlò dei famosi “barili di carta”, perché per ogni barile reale di petrolio, almeno cento barili erano trattati con strumenti speculativi.
Resta ineludibile, quindi, l’approvazione di nuove regole sulle attività finanziarie e speculative. Il G20 non può sottrarsi a questa specifica responsabilità. Se ne faccia carico anche il governo italiano.
Felice Besostri: Dopo le elezioni in Germania
Dall'ADL
DOPO LE Elezioni IN GERMANIA
Cosa sarà l’Europa? Come riemergeremo nei prossimi anni di post pandemia? Quale ruolo giocheremo come europei nel mondo multipolare? Quale sarà la nostra capacità di affrontare le sfide planetarie, dal surriscaldamento globale ai flussi migratori, dagli scenari di guerra alla digitalizzazione? Ciò non dipenderà, purtroppo, dalle elezioni del Parlamento europeo del 2024, ma da questi tre fattori...
di Felice Besostri *)
Le elezioni federali tedesche, appena svoltesi in questo 2021, rappresentano una determinante rispetto al futuro dell’UE. A ciò si aggiungono le presidenziali e legislative francesi in calendario per il 2022. E poi ci sono le elezioni politiche italiane del 2023, sempreché non vengano anticipate al 2022, come spera la destra per sfruttare a proprio vantaggio l’ennesima legge elettorale incostituzionale, i cui effetti distorsivi sono aggravati da un’eccessiva riduzione del numero di parlamentari sancita con la legge costituzionale n. 1/2020.
Dopo la Brexit i grandi paesi UE sono ridotti a tre – Germania, Francia e Italia – che non sono nelle loro migliori condizioni, ma nemmeno stanno meglio i paesi medio grandi a cominciare dalla Spagna, per finire con Romania e Polonia.
PAESI SENZA “PORCELLUM” - Per combinazione fortuita il prossimo anno è decisivo per i tre capi di Stato dei grandi Paesi UE. Si dovranno eleggere i tredicesimi presidenti di Italia e Germania, da parte di assemblee speciali composte da parlamentari e rappresentanti delle articolazioni territoriali costitutive delle rispettive repubbliche.
Il nono Presidente della Quinta Repubblica francese sarà eletto, invece, direttamente dal popolo, mentre il nono Cancelliere federale sarà quello scelto dall’alleanza di governo, che succederà alla Grosse Koalition di Angela Merkel, tuttora dotata di una maggioranza assoluta pari a 406 seggi, al 54,93% dei seggi e al 49,8% dei voti validi. Ma le maggioranze numeriche teoriche sono almeno quattro.
Quanto al Bundestag, esso ha una “base” di 598 membri, dei quali 299 vengono eletti in collegi uninominali maggioritari (“Primo voto”) e altri 299 su liste bloccate proporzionali nei Laender (“Secondo voto”). E però la composizione finale del Bundestag deve rispettare la proporzione delle liste. Perciò, se un partito ottiene un numero di seggi superiore alla sua percentuale, si devono aggiungere seggi in Parlamento, i cosiddetti “mandati aggiuntivi” che servono appunto a rispecchiare esattamente la proporzione di consenso risultante dal “Secondo voto”.
Nel 2013, con Afd e FDP fuori dal Bundestag i seggi parlamentari erano 631. Nel 2017 con sei partiti rappresentati i seggi totali salirono a 709. Quest’anno si è giunti al record di 735 seggi.
Morale: per rispettare la volontà degli elettori in Germania si aumentano i seggi, in Italia sono stati drasticamente ridotti allo scopo di premiare i tre/quattro partiti “maggiori”.
I cittadini tedeschi la sera delle elezioni non sanno chi sarà il futuro Cancelliere, che corrisponde al nostro Presidente del Consiglio dei ministri. Noi – che invece (dal Porcellum in poi) dovremmo saperlo subito, chi vince e chi governa – non stiamo per nulla meglio di loro. Dal 2006 abbiamo avuto otto premier in quattro legislature. Loro, grazie a una legge sostanzialmente proporzionale con soglia di accesso e ridottissimo premio di maggioranza, nello stesso periodo hanno avuto una sola Cancelliera, la “Mutti” Merkel.
E nessuno scioglimento anticipato.
ottica europea e internazionale – Una valutazione più generale deve farci riflettere. Viviamo in una fase storica paragonabile alla seconda metà del XIX secolo, quello caratterizzato da un prepotente sviluppo industriale e dell’espansione degli imperi coloniali.
Allora la sinistra europea non diede soltanto una risposta in termini di analisi politica ed economica, ma si impegnò anche in un forte slancio organizzativo con la creazione, nei singoli paesi, di grandi partiti socialisti che avviarono il loro coordinamento nella Prima Internazionale.
Oggi all’orizzonte non si vede nulla di simile.
Appare come un fenomeno di facciata il nostro odierno europeismo, surrogato di un internazionalismo che si era rovinato nella Prima Guerra Mondiale e che poi, dopo la Seconda, s’è assiderato con il fallimento dell’Internazionale Comunista.
Ma non esiste alcuna possibilità di dare risposte nazionali ai problemi planetari. Come regolare la finanza internazionale o ridurre il consumo di energia d’origine fossile? Per ridurre efficacemente il consumo bisognerebbe ridurre anche la produzione. Ma allora occorrerebbe indennizzare i paesi produttori, e lo stesso valga se intendiamo salvare le grandi foreste.
Quindi, sarebbe necessario tassare le imprese multinazionali e i profitti finanziari…
Quindi, il ruolo dell’Europa non può essere a rimorchio di una leadership come quella americana, che decide in solitario; e basta leggere la cronaca della fuga dall’Afghanistan oppure quella del contrasto al pericolo cinese con i sottomarini nucleari per rendersene conto.
DESTRA E SINISTRA TEDESCHE OGGI - La Germania giocherà un ruolo importante, se contribuirà a cambiare le politiche europee.
Ma com’è andata, realmente, nelle elezioni federali tedesche, appena svoltesi?
La SPD ha vinto chiaramente, seppure di stretta misura, ma la sinistra nel suo complesso ha perso. E ciò vale specialmente nella ex DDR, con l’eccezione del Meclemburgo Pomerania Anteriore, dove i socialdemocratici hanno guadagnato un 1% rispetto al 2017. Tuttavia, i voti del 2013, il 29,44%, ora non ci sono più. Né esiste una maggioranza numerica teorica di sinistra SPD+LINKE+VERDI.
Nel 2021 la SPD (206 seggi) + LINKE (39 seggi) + VERDI (118 seggi) arrivano a 363 seggi su 735: si attestano cioè 5 seggi sotto la maggioranza assoluta, e questo perché la Linke ha perso 30 seggi.
Di contro, malgrado la perdita secca dell’UNION e soprattutto della CDU, ma anche dell’AfD, la destra ha vinto a livello federale grazie al successo del FDP. Per la seconda volta, come nel 2017, sarebbe teoricamente possibile un governo UNION+FDP+AfD con 371 seggi (196+92+83).
Nel 2017 questa virtuale maggioranza di destra aveva traguardato i 374 seggi su 709 con il 52,7%. Oggi, nel 2021 essa si è ridotta, ma non solo e non in primis per questa ragione resta alquanto improbabile. L’assoluto antieuropeismo della AfD sarebbe intollerabile per la UNION che a Bruxelles esprime Ursula von der Leyen, Presidente della Commissione Europea.
Nella Repubblica Federale Tedesca non esiste il fenomeno della migrazione da un gruppo parlamentare all’altro, non nel Bundestag (a livello regionale è diverso). Pertanto, resta valida la risposta di Konrad Adenauer quando gli chiesero come avrebbe potuto governare in solitaria con appena due voti di maggioranza: «Ma ce ne è uno in sovrappiù!», esclamò.
Nella congiuntura attuale la SPD non può che tentare la costruzione di un governo “Semaforo”, cioè rosso SPD, giallo FDP e verde Grünen. Si tratterebbe di una formula a guida socialdemocratica, come nella Renania Palatinato. Essa scongiurerebbe una coalizione “Jamaica”, cioè gialla FDP, verde GRÜNEN a nera UNION, come nello Schleswig-Holstein. Questo Land, per inciso, ha mandato al Bundestag un deputato rappresentativo della minoranza danese. È la prima volta dal 1949.
Insomma, l’incertezza domina sul futuro cancellierato, perché loro la sera del voto non sanno chi li governerà…
Ma a Berlino è abbastanza certo che ci sarà un governo prima di Natale e che durerà quattro anni.
CENNI DI Analisi del voto TEDESCO - Entrando un po’ più nel merito si può dire che a destra il riporto dei voti tra CDU e FDP avviene in modo pieno, come fossero vasi comunicanti e anche le particolarità del sistema appaiono sfruttate in pieno con il primo voto “di testa” al maggioritario e il secondo voto “di cuore” al proporzionale.
A sinistra, invece, ciò non è stato possibile perché con la Linke al 4,9%, i voti “di testa” nei collegi maggioritari risultavano essenziali alla sopravvivenza di quel partito.
L’elettorato generico di sinistra ha fatto uso del voto disgiunto, come dimostra il caso di Gregor Gysi nel collegio uninominale di Berlin-Treptow-Köpenick, dove nel 2017 si verificò la più grande differenza tra Primo voto maggioritario e Secondo voto proporzionale. Tant’è che Gysi fu eletto con il 39,9%, mentre nello stesso collegio la Linke ottenne il 25,2%.
Nei collegi corrispondenti al territorio della ex DDR la debolezza della sinistra è stata ancor più evidente.
Nel 2013 la LINKE con il 22,7% era il secondo partito e la SPD con il 17,9% il terzo. Nel 2017 la Linke con il 17,8% terzo partito e la SPD con 13,4% il quarto. Nel giro di appena 4 anni la sinistra è passata dal 40,6% al 31,2%.
Nello stesso periodo alle elezioni federali la destra è passata dal 44,1%, composto da UNION 38,5% e AfD 5,6% al 49,5% con l’Unione al 27,6%, primo partito e l’AfD al 21,9% al secondo posto.
In queste elezioni la AfD è scesa dal 11,46% al 10,3%, ma è diventato il primo partito in Sassonia e in Turingia.
In controtendenza, la SPD ha conquistato nel Meclemburgo Pomerania Anteriore 34 seggi: qui i socialdemocratici con il 39,6% (+9%) hanno conseguito una percentuale mai raggiunta prima in questo Land.
Inoltre, per la prima volta, Berlino avrà una sindaca: è Franziska Giffey della SPD. Ex ministra della Famiglia del governo Merkel, si dimise a maggio dopo lo scandalo legato ad accuse di plagio per la sua tesi di dottorato. Giffey, 43 anni, subentra a Michael Müller che aveva scelto di non ricandidarsi: «Berlino è una delle città più attraenti e importanti del mondo», – ha commentato la neo sindaca: «Abbiamo tutte le potenzialità affinché questi anni Venti portino Berlino a essere città di riferimento per il business, la tecnologia, la cultura e la creatività in Europa. E possiamo fare tutto questo socialmente e democraticamente».
A Berlino la SPD ha totalizzato il 21,4%, i GRÜNE mietono il 18,9% e la Linke porta a casa il 14%. Il municipio della capitale tedesca sembra destinato a continuare l’attuale coalizione Rosso-Rosso-Verde, pur con qualche acciacco per la SPD (-0,2%) e la Linke (-1,6%). Forse è questo il laboratorio di una nuova sinistra in terra tedesca.
Intervista a Massimo Salvadori: “In Europa è tornata la socialdemocrazia, ma il Pd la snobba” - Il Riformista
Intervista a Massimo Salvadori: “In Europa è tornata la socialdemocrazia, ma il Pd la snobba” - Il Riformista: Il voto tedesco: un messaggio alla sinistra europea. E a quella italiana. Il Riformista ne discute con uno dei più […]
Milano al voto, nella città degli affitti alle stelle i partiti inseguono gli inquilini delle 70mila case popolari. Tra gli scivoloni del Pd e gli slogan della Lega - Il Fatto Quotidiano
Milano al voto, nella città degli affitti alle stelle i partiti inseguono gli inquilini delle 70mila case popolari. Tra gli scivoloni del Pd e gli slogan della Lega - Il Fatto Quotidiano: Case popolari, che passione. La sorniona campagna elettorale per le comunali di Milano del 3-4 ottobre si accende a pochi giorni dal voto. Su un solo tema, nella città con gli affitti alle stelle: le case popolari. Anche se nel Recovery Plan non ne è prevista nemmeno una e le politiche di sostegno all’affitto in …
mercoledì 29 settembre 2021
martedì 28 settembre 2021
The Good and Bad in Germany's Election by Jan-Werner Mueller - Project Syndicate
The Good and Bad in Germany's Election by Jan-Werner Mueller - Project Syndicate: While the composition of Germany’s next government remains unknown, there are already some lessons that can be drawn from the outcome of the federal election. The most important is that mainstream parties can succeed without pandering to populists and attempting to co-opt far-right movements.
Franco Astengo: Socialdemocrazia
SOCIALDEMOCRAZIA di Franco Astengo
L’esito delle elezioni norvegesi e – soprattutto – di quelle tedesche ha fatto azzardare a qualche commentatore un’idea di rivolgimento di rotta fino ad affermare “Saranno i progressisti a gestire la ripresa”.
In realtà esiste un ampio varco tra questi (positivi) risultati elettorali e la prospettiva di una affermazione di egemonia, almeno a livello europeo, di forze tradizionalmente legate ai canoni classici della socialdemocrazia ma poste in condizione di definire un nuovo equilibrio posto sul piano delle emergenti esigenze di innovazione.
Per capirci meglio. Le due più importanti transizioni, a) quella ecologica, vira verso la conservazione dei rapporti sociali b) quella digitale, è in mano al macro capitalismo.
All’interno di una complessità di quadro politico che accomuna buona parte dei Paesi europei la ricollocazione della sinistra non può essere orientata semplicemente verso l’area ecologista ma deve ripensare al nuovo intreccio tra le contraddizioni sociali e il mutamento di relazione tra struttura e sovrastruttura dirigendosi verso una “socialdemocrazia della modernità” ( nell’esempio di un: “socialismo della finitudine”).
Si tratta infatti di definire un quadro di alternativa fondata su di una visione di progetto di mutamento sistemico raccolta attorno alle cinque transizioni in atto:
a) quadro geopolitico globale
b) sanitaria
c) ecologica
d) digitale e della comunicazione
e) le forme della partecipazione e dell'iniziativa politica
Quest’ultima appare assolutamente decisiva poiché si sta smarrendo il collegamento tra conflitto sociale/organizzazione politica/ rappresentanza istituzionale.
La socialdemocrazia più o meno tradizionale può servire per ricercare un nuovo grande compromesso come fu nei trenta gloriosi (dove però c’era l’Unione Sovietica e l’equilibrio geopolitico era fondato sulla logica dei blocchi).
Rimane intatto, per un lavoro di lunga lena, il tema (e lo spazio) del “mutamento dello stato delle cose presenti”.
lunedì 27 settembre 2021
Franco Astengo: Germania
PRIME CONSIDERAZIONI INTORNO AI NUMERI DELLE ELEZIONI TEDESCHE 2021 di Franco Astengo
Di seguito alcune provvisorie considerazioni sul voto in Germania del 26 settembre 2021:
1) Lievissima flessione nell'espressione dei voti validi. Nella parte maggioritaria nel 2017 si ebbero 46.389.615 espressioni di suffragio valide scese a 46.339.602 nel 2021 ( meno 50.013). Nella parte proporzionale nel 2017 46.515.492 voti validi scesi a 46.419.448 nel 2021 ( meno 96.044)
2) Flessione CDU - CSU. Parte maggioritaria 2017: CDU 14.030. 751; 2021 10.445.571 (meno 3.585.180) Parte Proporzionale 2017: CDU 12.447.656; 2021 8.770.980 ( meno 3.676.676). Parte maggioritaria 2017 CSU 3.255. 487; 2021 2.787.904 (Meno 467.583); parte proporzionale CSU 2017: 2.869.688, 2021 2.402.826 (meno 466.862). Complessivamente CDU-CSU flettono nella parte maggioritaria di 4.052.763 voti; nella parte proporzionale di 4.153.538 voti. Una perdita dovuta principalmente alla CDU (-7,7 nella parter maggioritaria e - 7,9% nella parte proporzionale) mentre la CSU sostanzialmente tiene (-1,0 sia nella parte maggioritaria, sia in quella proporzionale).
3) Crescita SPD. Parte maggioritaria 2017 11.429.231, 2021 12.228.363 voti ( più 799.132) Parte proporzionale 2017 9.539.381 2021 11.949.756 (più 2.410.375). Fermo restando che la vittoria dell'SPD deriva in misura maggiore dalla sconfitta della CDU-CSU, l'incremento ottenuto nella parte proporzionale può far pensare all'avvio di un vero e proprio spostamento nell'asse politico del Paese, probabilmente non prevedibile dopo dieci anni di Grosse Koalition
4) Sotto le previsioni l'incremento dei Grunen. Non c'è stata la "valanga verde" tale da portare il partito vicino alla cancelleria, anche se l'incremento di voti è stato rilevante. 2017 Parte maggioritaria 3.717. 922, 2021 6.465.502 (più 2.474.580) Parte proporzionale 2017 4.158.400, 2021 6.848.215 ( più 2.689.815) In ogni caso, come vedremo meglio analizzando il voto della FDP, è verso i verdi che maggiormente dovrebbe indirizzarsi la diaspora che ha colpito CDU-CSU: sembra il frutto di una dinamica politica maggiormente centrista e di stampo conservatore rispetto a una dinamica "di sinistra". Insomma si potrebbe usare la definizione di "transizione ecologica conservativa".
5) Debole la crescita della FDP. 2017 Parte Maggioritaria 3.249.238, 2021 4.040.783 ( più 791.545) 2017 Parte proporzionale 4.999.449 2021 5.316.698 (più 317.249)
6) Flessione dell'AfD. 2017 Parte maggioritaria 5.317.499, 2021 4.694.017 (meno 623.482). 2017 Parte proporzionale 5.878.115, 2021 4.802.097 (meno 1.076. 018). I risultati di Sassonia e Turingia fanno pensare a una sorta di limite alla dimensione territoriale dell'AfD nei lander dell'ex DDR.
7) Crisi della Linke. 2017. Parte Maggioritaria 3.966.637 2021 2.306.755 (meno 1.659.882). Parte proporzionale 2017 4.297.270; 2021 2.269.993 (meno 2.027.277). Una perdita di metà dell'elettorato dovuta, probabilmente, come sostiene la dirigenza del partito all'assunzione - a sinistra - di un ritorno alla competitività con la CDU da parte dell'SPD nella prospettiva dell'assunzione della cancelleria. Un altro segnale della necessità di ridiscutere ruolo e presenza della sinistra sul piano europeo.
8) Da segnalare infine la crescita del movimento dei Liberi Elettori che pure non ha superato la soglia di sbarramento del 5%. Liberi Elettori (Freie Wähler, FW o FWG) è un concetto tedesco in cui un'associazione di persone partecipa in un'elezione senza avere lo status di partito politico registrato. Solitamente è un gruppo degli elettori organizzato localmente sotto forma di un'associazione registrata (eV). Nella maggior parte dei casi, i Liberi Elettori sono attivi solo al livello di governo locale, concorrendo per consigli cittadini e come sindaco. I Liberi Elettori tendono ad essere di maggior successo nelle zone rurali della Germania meridionale, facendo appello più agli elettori conservatori che preferiscono le decisioni locali alla politica di partito. I gruppi dei Liberi Elettori sono attivi in tutti gli Stati tedeschi. 2017 Parte maggioritaria 589.056 , 2021 1.334.093 (più 745.037); Parte Proporzionale 2017 463.292; 2021 1.127.171 ( più 663.779). Voti che probabilmente sono mancati alla crescita di Verdi e FPD.
In sostanza gli elementi da sottolineare sono (al momento) :
a) il calo della CDU (la CSU mantiene sostanzialmente le posizioni) si misura in direzione dei Verdi e secondariamente della FDP;
b) la crescita dell'SPD si misura con la caduta della Linke. Un andamento che assume un duplice significato: da un lato una richiesta di "radicalizzazione" nella offerta di governo dei socialdemocratici; dall'altro (se si guarda anche al risultato norvegese) una richiesta complessiva di riposizionamento a sinistra;
c) la flessione dell'Afd coincide con un arroccamento territoriale verso Est. Un fatto che assume un significato geo politico profondo rispetto alle dinamiche europee in termini di sicurezza e immigrazione.
Elezioni Germania, il Bundestag si gonfia ancora: 735 deputati, mai così tanti. La Spd ha 206 seggi, la Linke si salva - I numeri - Il Fatto Quotidiano
Germania, che succede ora? La strada delle coalizioni "Semaforo" e "Giamaica". E l'equilibrio (necessario ma difficile) tra Liberali e Verdi - Il Fatto Quotidiano
domenica 26 settembre 2021
venerdì 24 settembre 2021
Franco Astengo: L'uomo della necessità
L’UOMO DELLA NECESSITA’ di Franco Astengo
Non è facile in questo momento inquadrare la fase politica ma l'affermazione padronale circa "L’uomo della necessità " assomiglia troppo all’ "Uomo della provvidenza" per permetterci il lusso di analizzare riduttivamente la realtà.
Sta andando a compimento un disegno che “viene da lontano” nell'idea di svuotamento della centralità parlamentare nella democrazia repubblicana e di anestetizzazione del confronto sociale.
Al di fuori dello schema che prevedeva il colpo di teatro della trasformazione presidenzialista ( già presente nel testo della Bicamerale D’Alema) sta mutando la forma di governo , il senso della competizione elettorale politica , si mette a regime la perdita di ruolo del Parlamento (già gravemente compromessa da tempo e resa evidente dalla facilità con la quale si è arrivati alla riduzione nel numero dei parlamentari) , si ingloba l'intermediazione sociale in un "Patto" i cui termini di gestione del potere sono definiti in partenza e non contestabili.
Non basta allora un’opposizione da sinistra centrata sulla “riduzione dei diritti”: serve qualcosa di più ampio fondato su di un'analisi politica maggiormente approfondita al riguardo della complessità di contraddizioni in atto, in particolare di quella sanitaria che sta tagliando a fette trasversali l'opinione pubblica, in una dimensione ben diversa dai canoni usuali di lettura delle motivazioni di conflittualità
Conflitto sociale e confronto politico risultano essenziali nella dinamica democratica e non possono essere sostituiti da un "Patto" stipulato unilateralmente sulla base delle esigenze di una"parte", quella prevalente in un quadro di sostanziale "coalizione dominante".
Sta definitamente saltando per aria il (prezioso) raccordo tra Prima e Seconda Parte della nostra Carta fondamentale.
L’ovazione salita dall’assemblea di Confindustria segna con chiarezza l'idea di un nuovo confine.
E’ necessario allora pensare urgentemente a un’opposizione di “Sinistra Costituzionale” da organizzare anche in forma specificatamente soggettiva.
giovedì 23 settembre 2021
mercoledì 22 settembre 2021
Milano, l'Anpi si appella agli elettori: "Non date il voto a liste e candidati fascisti". Bernardo un mese fa costretto alla giravolta - Il Fatto Quotidiano
martedì 21 settembre 2021
Franco Astengo: Un tempo
UN TEMPO di Franco Astengo
E' vero: qualche volta c'è un giudice magari a Firenze e non a Berlino ma non si può dimenticare:
1) come regolarmente avviene da molto tempo in Italia la magistratura ha supplito la politica;
2) la vicenda fiorentina non è isolata anzi, e nasce come tutte le altre da una dismissione dei diritti collettivi che deriva direttamente dalla costante negazione dei termini concreti della lotta sociale. Almeno dalle nostre parti non si avverte da tempo una costante presenza di impegno sociale capace di organizzarsi sul contrasto alla crescita delle disuguaglianze posta sul piano del potere e della condizioni materiali di vita e di lavoro ("un tempo" la si sarebbe definita "lotta di classe", quella che qualcuno ha scritto sia stata ormai vinta dai "padroni");
3) appare assente una rappresentanza soggettivamente rivolta verso quella che "un tempo" definivamo "contraddizione principale" . Una rappresentanza politica ("un tempo" lo avremmo chiamato partito) capace di legarne l'analisi della realtà a quella delle grandi transizioni in atto nella nostra epoca elaborando una strategia di mutamento politico e sociale ("un tempo" l'avremmo definito di alternativa, magari lavorando anche per individuarne i meccanismi di aggregazione e i passaggi politici)
4) In 11 righe ho scritto quattro volte "un tempo". Forse è bene fermarsi qui.
lunedì 20 settembre 2021
#TWT21: Socialists and the Labour Party | Red Pepper
#TWT21: Socialists and the Labour Party | Red Pepper: Tom Williams makes the case for organising strategically within the Labour Party
Ecco i veri numeri della disoccupazione - Collettiva
Ecco i veri numeri della disoccupazione - Collettiva: Nel 2020 la "disoccupazione sostanziale" ha raggiunto il 14,5 per cento della forza lavoro, 3,9 milioni di persone, un milione e seicentomila in più rispetto al dato ufficiale. È quanto emerge dal rapporto elaborato dalla Fondazio
domenica 19 settembre 2021
La via milanese e nazionale al riformismo è al di fuori del Pd - Linkiesta.it
La via milanese e nazionale al riformismo è al di fuori del Pd - Linkiesta.it: La partita delle amministrative milanesi è un banco di prova per la politica nazionale: il fallimento del progetto del Partito democratico apre le porte a una domanda: come unire liberaldemocratici, socialdemocratici e laici?
sabato 18 settembre 2021
Giovanni Scirocco: Il socialismo tra passato e futuro
Dall' Aavanti!
IL SOCIALISMO TRA PASSATO E FUTURO
La storia del socialismo è stata, per certi versi, più la storia degli aggettivi che hanno tentato di definirlo (riformista, rivoluzionario, massimalista, reale, democratico, liberale, ecc.) che del sostantivo. Quella che appare come una debolezza del concetto, lo è anche, nella difficoltà di definirlo, della sua pratica (come testimoniato dai dibattiti degli anni ‘70 sulla mancanza di una concezione marxista dello Stato). In fondo, già Bernstein, il padre del revisionismo marxista, aveva individuato la questione alla fine dell’800, con il suo celebre motto: “Il fine è nulla, il movimento è tutto”.
Nel corso del ‘900, quasi tutte queste endiadi sono venute meno, alcune per fallimento (il “socialismo reale”), altre per una accettazione talmente universale da diventare scontata e quasi stucchevole, come quella dedicata al riformismo come pratica politica e di governo, tanto da non capire neppure più a cosa ci si riferisca con esattezza, come nella notte hegeliana (e spesso senza neppure il volo ispiratore della nottola di Minerva…).
Il nostro Paese ha, tra le sue molte particolarità, quella di essere quasi sempre late comer per ciò che concerne i fenomeni politici e sociali (e quando questa particolarità è stata smentita, ciò è accaduto per eventi non degni di particolare merito, come nel caso del fascismo). Anche nel caso della storia del socialismo, l’approdo pieno al socialismo riformista e democratico si verificò solo tra la fine degli anni ‘70 e l’inizio degli anni ‘80 quando, per chi li voleva vedere, erano già evidenti, prima ancora del crollo del Muro e della fine del comunismo, i segnali della crisi della socialdemocrazia a livello internazionale, per motivi strutturali, primo tra tutti la fine della classe operaia come classe “generale” (per citare un saggio del 1966 di Luciano Cafagna), la rivoluzione digitale e soprattutto la crisi fiscale dello Stato, che rimetteva in discussione la sostenibilità lo stesso welfare, uno dei pilastri del compromesso socialdemocratico.
Ciò che restava sin da allora “spendibile”, se ci pensiamo bene, sul terreno del dibattito storico e della lotta politica era ed è solo il socialismo liberale (come avevano intuito nel 1978 Craxi e Luciano Pellicani con il Vangelo socialista) che però anch’esso ha avuto una ben strana fortuna. È stato infatti conosciuto (e riconosciuto…) tardi in Italia (la prima edizione di Socialismo liberale di Carlo Rosselli apparve, per Einaudi, solo nel 1973), criticato non solo in ambito comunista (da leggere la risposta che Rosselli diede a Giorgio Amendola nei “Quaderni di GL”, gennaio 1932), ma nello stesso partito socialista e vittima, più recentemente, di un equivoco che però affonda nel tempo le proprie radici.
Gaetano Arfè amava raccontare che nella notte successiva alla conclusione del congresso socialista di Venezia del 1957 (che vide, dopo il XX congresso e l’invasione sovietica dell’Ungheria, la vittoria della svolta autonomistica promossa da Nenni, in minoranza però negli organi dirigenti del partito), Nenni, amareggiato e stanco, si lasciò andare all’onda dei ricordi parlandogli a lungo di Rosselli ed esprimendo il rincrescimento, senza sottacere le proprie responsabilità, che i socialisti avessero lasciato cadere l’eredità rosselliana. Osservava inoltre, continuava Arfè, che tra le cause minori ma non trascurabili di questo fatto c’era anche quella che Rosselli, intitolando al socialismo liberale la sua opera più nota, aveva fatto una scelta poco felice, perché per molti socialisti che non avevano letto il libro, ma ne conoscevano il titolo, quella espressione stava a significare un socialismo ibrido, accomodante, annacquato, il “socialismo che si contenta”, come Salvemini definiva il socialismo di Ivanoe Bonomi.
In realtà, quello di Rosselli è tutt’altro che un socialismo accomodante o annacquato. È certamente un socialismo che non è calato dall’alto, ma che punta sull’individuo e sulla autoeducazione, fortemente volontaristico e non deterministico, ma sempre socialismo è, in cui la “libertà di” (fare, intraprendere, agire) è fondamentale, nella coscienza però di quanto sia utopistico «l’andar cianciando di morale, di autonomia spirituale, di doveri, di adesione e rispetto al metodo democratico, a chi versa nella miseria e riesce a malapena, con un lavoro logorante e abbruttente, a soddisfare i bisogni primari della vita»: la libertà dal bisogno è quindi premessa altrettanto fondamentale, una libertà che può essere conquistata anche attraverso esperimenti cooperativi e di autogestione, nell’ottica di un socialismo moderno, cosciente della crisi in cui versa la socialdemocrazia in Europa. Come lo stesso Rosselli chiariva a Claudio Treves sulla “Libertà” dell 22 gennaio 1931, la tesi centrale di Socialismo liberale «consiste nella piena conciliazione tra socialismo e libertà e nella confutazione delle pseudoposizioni liberali borghesi: pseudo appunto perché esterne allo sforzo di emancipazione della classe lavoratrice».
Il problema che si poneva a Rosselli (e che si pone tuttora a chiunque abbia a cuore le sorti del socialismo) è dunque quella individuato da Norberto Bobbio nella sua prefazione all’edizione einaudiana di Socialismo liberale: come riaffermare le irrinunciabili esigenze dei principi fondamentali del liberalismo e della democrazia senza rinnegare il socialismo come fine? Bobbio così rispondeva, con la sua tradizionale chiarezza: «Il dibattito di questi anni ha confermato la sostanziale differenza tra l'interpretazione rosselliana del socialismo liberale e quella più corrente nel dibattito teorico-politico. Rosselli non si propone di trovare una conciliazione tra due opposte dottrine o due prassi politiche: per lui il socialismo, una volta liberato dall'involucro dottrinale, il marxismo, che sinora lo aveva irrigidito in un sistema filosofico imposto e accettato dogmaticamente, è la continuazione, il perfezionamento, l'ultima fase, del processo di emancipazione dell'uomo, di cui il primo momento è rappresentato dal pensiero liberale e dalla sua attuazione storica nel riconoscimento pubblico dei diritti della persona avvenuto attraverso le rivoluzioni americane e francesi: il liberalismo, per Rosselli, è quindi un metodo, il socialismo un fine».
Il 29 marzo 1932 moriva a Parigi Filippo Turati. Rosselli ne scrisse un Profilo che resta tuttora, a 80 anni di distanza, uno degli scritti più lucidi sul leader del riformismo italiano, da discepolo fedele che ne riconosceva i meriti storici e però ne coglieva anche le incertezze e i limiti dell’opera, prima tra tutti la sconfitta subìta dal fascismo anche per l’incapacità di parlare alle nuove generazioni, con credibilità e parole vive. Il suo Profilo è quindi anche una lezione di metodo, nel mostrare come si possa fare i conti con una tradizione politica, senza però rinnegarla. Temo che sia quello che è mancato in questi 30 anni (dopo la fine del comunismo, Maastricht e la scomparsa dei partiti storici della Prima repubblica) a tutta la sinistra italiana, socialista e comunista. Come Rosselli scriveva in Socialismo liberale, nella parte dedicata a “I miei conti col marxismo”:
xii. Che il nuovo movimento socialista italiano non dovrà esser frutto di appiccicature di partiti e partitelli ormai sepolti, ma organismo nuovo dai piedi al capo, sintesi federativa di tutte le forze che si battono per la causa della libertà e del lavoro.
Giovanni Scirocco
venerdì 17 settembre 2021
Renato Fioretti: Dal “Libro bianco” al “Sostegni bis”: una sconfitta annunciata
Dal “Libro bianco” al “Sostegni bis”: una sconfitta annunciata: Dal 2001 al 2021 la classe dominante del nostro Paese ha realizzato una vera e propria controrivoluzione per ridurre le conquiste sociali dei lavoratori. Ripercorriamo qui le tappe principali di un’offensiva pericolosamente avviata a perdurare nel tempo.
giovedì 16 settembre 2021
Why Germany Must Go Red-Red-Green
Why Germany Must Go Red-Red-Green: Next week’s German election looks set to offer the SPD a path into government – but if there is to be real change, they must align with the Left.
Gianluca Mercuri: Cosa possono insegnare alla sinistra italiana i paradossi di quella francese
Corriere della sera
Cosa possono insegnare alla sinistra italiana i paradossi di quella francese
editorialista di Gianluca Mercuri
Ogni anno Le Monde commissiona un sondaggio sulle «Fractures françaises» e i risultati del 2021 sono molto interessanti, soprattutto se visti dal lato sinistro del panorama politico. Quasi un francese su due, per esempio, pensa che «per rafforzare la crescita, deve essere rafforzato il ruolo dello Stato in alcuni settori dell’economia». In più, per il 42% degli intervistati «non c’è abbastanza solidarietà nei confronti delle persone in difficoltà». E in tanti chiedono «più protezione per i lavoratori dipendenti».
Insomma, valori tradizionalmente associati alla sinistra — in Francia ma ovunque, a cominciare dall’Italia — come Stato, solidarietà e sicurezza sociale, sembrano in buona forma. Le Monde nota però che a questo stato di salute dei suoi ideali non ne corrisponde uno altrettanto incoraggiante dei suoi partiti e delle sue personalità. In attesa di pesare l’entrata in campo della sindaca di Parigi Anne Hidalgo, annunciata tre giorni fa, i candidati della gauche alle Presidenziali del 2022 non hanno finora accumulato più del 30% delle intenzioni di voto.
Eppure, dopo lo choc iniziale dell «svuotamento» della sinistra riuscito a Emmanuel Macron, il successivo spostamento a destra del presidente avrebbe dovuto restituirle spazio elettorale. A maggior ragione con il revival dei suoi valori di base prodotto dalla pandemia. Perché non è successo?
Una possibile spiegazione, scrive il giornale parigino che dal dopoguerra è il principale punto di riferimento del progressismo moderato — quello radicale si riconosce di più in Libération — «è legata al peso che, accanto alle questioni sociali ritenute prioritarie, hanno assunto altri temi nell’elettorato di sinistra: l’atteggiamento verso gli stranieri, la percezione dell’Islam e il ruolo delle donne». E qui vengono le note fondamentali: «Essere di sinistra oggi significa anche pensare che “non ci sono troppi stranieri in Francia”, che l’Islam sia “compatibile con i valori della società francese” e che la Francia sia “una società patriarcale”».
Sembrano fondamentali, queste note, per il loro valore universale. Per come, cioè, siano clamorosamente riferibili allo spettro mondiale della sinistra, e in particolare a quella italiana. Che anche nei momenti di maggiore difficoltà, in seguito ai grandi flussi migratori del biennio 2015-16, ha mantenuto tra i suoi elementi identitari la lotta alla xenofobia e alla sua variante islamofoba, laddove il tema della «compatibilità» dell’Islam con le società occidentali, e l’opportunità di accordare una preferenza ai migranti di culture più affini — ergo: di discriminare in partenza i musulmani in base alla loro appartenenza religiosa — è stato evocato non solo dalla destra politica ma anche da commentatori autorevoli.
Che la sinistra abbia tenuto il punto su tali questioni — e che la sinistra francese ci sia riuscita nonostante l’ondata terroristica che ha colpito quel Paese negli anni scorsi — può essere giudicato nei modi più diversi, a seconda delle angolazioni. Quella scelta da Le Monde, un giornale non sospettabile di derive «securitarie, è interessante proprio per la sua provenienza, ma è importante anche nel merito: «La riluttanza dei partiti di sinistra a occuparsi di questioni come la sicurezza, la giustizia, la difesa e persino la scuola, e la loro difficoltà a rispondere alle preoccupazioni sul presunto declino della Francia o sulla messa in discussione della sua identità, possono far luce sul loro indebolimento, o addirittura sul passaggio al Rassemblement National (ex Front, il partito di estrema destra di Marine Le Pen) di una parte del loro elettorato popolare. L’impressionante livello di fiducia in istituzioni come l’esercito (81%), la polizia (75%) e le scuole (73%), anche nelle file della sinistra, dovrebbe far riflettere».
Insomma, le difficoltà elettorali della gauche sono attribuite dal più prestigioso giornale di Francia a questa scarsa sensibilità rispetto ai timori più istintivi di un elettorato che pure ne sposa volentieri i valori di base sul piano sociale. Per questo, a otto mesi dalle Presidenziali, appare valido il consiglio di «rinnovare le proprie analisi e il proprio discorso per rispondere alle richieste dei cittadini destabilizzati».
Anche questo suggerimento, come i dati emersi dal sondaggio di Le Monde, parrebbe a prima vista replicabile tout court in Italia, vista l’acclarata difficoltà della sinistra nostrana a riconnettersi agli strati popolari, alle periferie urbane e alle comunità rurali. Eppure, la recente evoluzione del Partito democratico sembra smentire in parte questa tendenza. La scelta di fondo di Enrico Letta — reduce guarda caso da una lunga esperienza professionale parigina — è stata sorprendentemente gauchiste; è stata quella, come ha scritto Paolo Mieli nel suo ultimo editoriale, «di impegnarsi in battaglie identitarie di testimonianza che non mettessero in difficoltà il governo» ma che hanno fortemente ribadito che il Pd è una forza di centrosinistra che non smette di guardare a sinistra. E quindi i migranti (ius soli), la sessualità e il genere (legge Zan), l’equità sociale (tasse di successione) sono state mosse per niente estemporanee. E se inizialmente hanno suscitato perplessità, alla fine hanno consentito al leader di non scendere sotto il 20%, di mantenere l’asse con i post-grillini da una posizione culturalmente e politicamente egemone (di guida, non succube) e di apparire «nel momento della verità, più di tutti gli altri in sintonia con il governo guidato da Mario Draghi». Mieli ne conclude che «si può ipotizzare che il segretario del Pd sia stato fin qui un po’ sottovalutato».
Proprio la recente scelta francese di Letta — l’aver espresso un chiaro endorsement ad Anne Hidalgo con un bon courage su Twitter che pare abbia deluso Macron — ha ribadito la volontà di stare nel campo del socialismo europeo, lui che è espressione dell’ala postdemocristiana del Pd. Ma è prevedibile che passata la contingenza elettorale — in cui è impegnato anche personalmente nel collegio di Siena: il suo primo bagno di voti — il leader del Pd non trascuri i suggerimenti di Le Monde e affronti la grande sfida di ogni sinistra occidentale: senza cedere al populismo, tornare ad essere autenticamente popolare. Sfida complicata, perché soffiare sul fuoco delle paure è molto più facile che provare a capirle, e a spegnerle.
mercoledì 15 settembre 2021
Von der Leyen: "Verso politica migratoria e di difesa comune. Serve un'intelligence europea". Il fronte con Mattarella, Draghi e Borrell - Il Fatto Quotidiano
Norway’s Left Breakthrough
Norway’s Left Breakthrough: This week’s election in Norway saw Labour defeat the Conservative government – but the radical left also gained seats, raising hopes of a coalition to implement ambitious socialist reforms.
ELEZIONI! IL MINIMO SINDACALE DEL SINDACO |
ELEZIONI! IL MINIMO SINDACALE DEL SINDACO |: Antifascismo. Questa è la parola rimbalzata tra Sala e Bernardo all’apertura della campagna elettorale a metà settembre. Né il primo né il secondo possono appuntarsi al petto questa medaglia. Se…
martedì 14 settembre 2021
lunedì 13 settembre 2021
domenica 12 settembre 2021
sabato 11 settembre 2021
venerdì 10 settembre 2021
La lezione della GKN | Global Project
La lezione della GKN | Global Project: In questi anni abbiamo assistito ad una miriade di vertenze
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ristrutturazione, spesso nei comparti industriali tradizionali. Vicende ...
giovedì 9 settembre 2021
mercoledì 8 settembre 2021
martedì 7 settembre 2021
Comunali, quanto pesa il reddito di cittadinanza: ecco i numeri nelle città al voto. I sondaggisti: "Parlarne per i candidati non conviene" - Il Fatto Quotidiano
lunedì 6 settembre 2021
domenica 5 settembre 2021
sabato 4 settembre 2021
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L’Europa alla ricerca di una difesa comune | ISPI: Dopo il ritiro Usa dall’Afghanistan e il progressivo disimpegno di Washington, l’Europa si interroga sulla sua politica estera e di sicurezza. Sarà la volta buona?
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La partita cinese in Afghanistan, tra Pakistan e India: Quali sono gli interessi della Cina in Afghanistan e più in generale in Asia Centrale? Sono due i paesi chiave in questa regione: India e Pakistan
Valdo Spini: La dura lezione dell'Afghanistan
La dura lezione dell’Afghanistan
Dall'avvenire dei lavoratori
Prima di tutto grazie a quanti, diplomatici, carabinieri, paracadutisti, piloti, hanno lavorato duramente, correndo gravi rischi per portare fuori da Kabul i cittadini italiani e quasi cinquemila profughi. È stata una luce in una vicenda buia e triste, ben lontana dall’essere terminata in tutta la sua drammaticità.
di Valdo Spini *)
Gli Usa e gli alleati Nato hanno subito una sconfitta, a parte gli aspetti militari, soprattutto politica. Nessun’altra iniziativa militare del futuro potrà prescindere da quello che è avvenuto e sta avvenendo in Afghanistan.
La responsabilità prima è dell’amministrazione Trump. Lo snodo politico è infatti il 29 febbraio 2020, data degli accordi di Doha sul ritiro delle truppe americane (e quindi degli alleati) firmati nella capitale del Qatar tra Mike Pompeo, segretario di Stato dell’amministrazione Trump, il mullah Abdul Ghani Baradar, considerato allora il “numero due” dei Talebani, e l’inviato dell’Onu, Zalmay Mamozy Khalilzad.
Il governo afghano di Ashraf Ghani era stato completamente tagliato fuori. Come si poteva pensare che in tali condizioni quel governo avrebbe potuto resistere tanto da permettere un ordinato rientro dei civili statunitensi ed europei, nonché dei loro collaboratori afghani e di quanti si erano impegnati nello stesso Afghanistan per una società diversa da quella che i talebani vogliono instaurare? E difatti, Biden aveva ottenuto una dilazione del ritiro fino ad agosto, inizialmente fissato per lo scorso maggio. Ma questo non cambiava la qualità delle condizioni politiche e dei problemi da risolvere. Prima si portano via i civili e, alla fine, i militari: questo è quanto andava fatto, pianificando un ordinato ritiro. Del resto, gli Usa sono stati costretti a mandare cinquemila marines all’aeroporto di Kabul, e così noi e gli altri alleati, sia pure in scala più piccola.
È una dura lezione che non va dimenticata per il futuro. Soprattutto da parte dell’Unione Europea, che deve far seguire a quanto costruito sul piano economico con il Next Generation, uno sviluppo della sua dimensione politica, anche nel campo della difesa.
Mentre si tenta, allargando il discorso ai G20 e ai paesi confinanti, un’iniziativa politica per salvare il salvabile, sul piano più generale possiamo iniziare a formulare alcune riflessioni.
L’occupazione militare di un paese da sola non può trasformarne l’assetto politico e la scala dei valori delle comunità interessate. Il disperato esodo degli Afghani che non vogliono vivere sotto i Talebani e in particolare quanto stanno facendo le donne nella difesa dei loro diritti, in primo luogo di quello all’istruzione, dimostrano che esiste anche un’universalità dei diritti civili e politici, nonché l’aspirazione a usufruirne.
Se quindi da un lato democrazia e diritti civili non si esportano con le armi, dall’altro è inaccettabile l’idea che ci siano popoli, culture, comunità che siano ad essi impermeabili. Sarebbe un atteggiamento improntato non al realismo, ma al cinismo.
Il compito che ci aspetta, allora, è di testimoniare e di comunicare, con la cultura da un lato, con la concreta solidarietà dall’altro, proprio quei grandi valori di rispetto della persona umana e dei suoi diritti, universalmente validi.
venerdì 3 settembre 2021
America's Return to Realism by Eric Posner - Project Syndicate
America's Return to Realism by Eric Posner - Project Syndicate: It was already clear that former President Donald Trump repudiated the humanitarian or quasi-humanitarian motives that underpinned US military interventions after the Cold War. But Joe Biden’s forceful renunciation of foreign-policy idealism is somewhat surprising.
giovedì 2 settembre 2021
Franco Astengo: Somma e sottrazione nella costruzione politica
SOMMA E SOTTRAZIONE NELLA COSTRUZIONE POLITICA di Franco Astengo
In questi giorni di preparazione elettorale mi è capitato, sia pure nel limitato ambito di una piccola cittadina di provincia, di osservare da vicino le diverse dinamiche messe in moto per formare una lista unitaria della sinistra comprensiva degli ambientalisti ed inclusa in una coalizione comprendente anche PD, "civici", Italia Viva e Azione (escluso il movimento 5 stelle) nell'appoggio al candidato Sindaco .
Uno schieramento credo assolutamente originale nel panorama che si sta presentando in vista delle elezioni amministrative del 3-4 ottobre ,anche perché questa lista comprende Rifondazione Comunista.
Di questi tempi occuparsi di costruzione politica sia pure appunto semplicemente osservando la formazione di una lista elettorale significa ricevere una lezione intorno ai mutamenti registrati nel tempo dai comportamenti politici, sia all'interno del collettivo dei soggetti organizzati sia nel muoversi dei singoli.
I singoli che, nel quadro della dispersione sociale e culturale in atto, si rendono disponibili ad una aggregazione sia pure parziale e temporanea come nel caso di una scadenza elettorale, appaiono mossi, nella gran parte dei casi, da quel moto di "individualismo competitivo" che rimane l’elemento più importante che si riscontra analizzando il mutamento in atto sul piano delle relazioni sociali, culturali e anche umane.
Nella fattispecie la costruzione nella condizione data di una presenza elettorale (con la pretesa di mettere assieme soggetti diversi in un contesto di provincia, quindi senza nessuna possibilità di efficace richiamo al quadro generale e abbastanza al di fuori dai riflettori accesi dai media) si è potuta realizzare soltanto attraverso l’espressione di due fattori (una novità per chi era abituato a muoversi per linee collettive verticali):
a) per sottrazione: nella difficoltà delle forze politiche nell' esprimere aggregazione, radicamento sociale, capacità organizzativa;
b) per somma: di aspirazioni individuali (anche di richiamo morale o a riferimento a tradizioni passate, riferite però al vissuto del singolo) e di piccolo gruppo. In questo senso appaiono molto presenti logiche da “clan” e l’utilizzo di tecniche di tipo lobbistico ( usate magari casualmente).
Alla fine anche se il risultato politico di facciata potrà essere considerato positivo perché offrirà comunque all'elettorato un immaginario di unità finirà con il prevalere come "anima" del complesso il secondo fattore, quello delle aspirazioni individuali o di clan.
Le motivazioni politiche generali ( prima fra tutte quella del "richiamo unitario") risulteranno senz'altro in secondo piano rispetto a una visione utilitaristica riguardante il singolo o il suo minuscolo ambito di riferimento.
Sarà interessante verificare su andamento ed esito della campagna elettorale quanto inciderà questo doppio registro, quello unitario nella facciata e quello delle più o meno larvate motivazioni personalistiche.
Nello sviluppo dell'analisi rimangono da considerare altri due elementi:
1) La difficoltà di far valere un’idea di egemonia della progettualità. Il livello di confronto possibile sui contenuti appare ormai molto ridotto a temi di piccolo cabotaggio rispecchiando infatti la mediocrità del contesto (e l’assenza, già segnalata, di possibilità di richiamo a livelli più complessivi di riflessione e di iniziativa politica);
2) Il confronto con un avversario che, nello specifico, sta puntando sul tema della personalizzazione non tanto della politica ma del potere in un ritorno a una sorta di concezione feudale.
L’incertezza al momento è quella tra far valere come prevalente l’idea del contrasto diretto con l'avversario oppure tentare la strada di una espressione di egemonia della progettualità misurata anche (e soprattutto) al di fuori dal riferimento agonistico imposto dalla scadenza elettorale.
Alla fine abbiamo di fronte l’antico dilemma gramsciano : “Pessimismo della ragione, Ottimismo della volontà” cercando di riflettere anche sulla “classica” indicazione che ci veniva da Alessandro Natta attorno “all’illuminismo giacobino”.
mercoledì 1 settembre 2021
Stop Listening to Tony Blair
Stop Listening to Tony Blair: Tony Blair has been proven wrong in his predictions about not only Afghanistan but the entire War on Terror – instead of giving him more airtime, it's time to listen to those who called this disaster correctly from the start.
Elezioni Germania, il primo confronto fra i tre candidati: Scholz rintuzza gli attacchi di Laschet. E la sua Spd è prima nei sondaggi - Il Fatto Quotidiano
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