giovedì 20 ottobre 2016

Andrea Ermano: Preferirei di no

EDITORIALE AdL E però preferirei di No Variazioni sulle “subordinate” che, in politica come nella vita, sono molto importanti di Andrea Ermano Il PSE, JP Morgan, Merkel, l’ambasciatore Usa in Italia “dovrebbero farsi gli affari loro sul referendum”, ha dichiarato qualche giorno fa Massimo D’Alema dopo che il Partito Socialista Europeo aveva manifestato il proprio sostegno al Sì. A stretto giro di posta, il vicesegretario generale del PSE, Filibeck, ha risposto all'ex premier diessino: “Come si fa a dire al Pse di farsi gli affari propri? Il referendum italiano è affare del Pse”. Qui evidentemente ha ragione Giacomo Filibeck, che oltre tutto è ex segretario nazionale della “Sinistra Giovanile” (in qualche modo erede della FGCI di Berlinguer, Occhetto, Petruccioli, D'Alema, Folena e Cuperlo). Poi uno può contestare al PSE che parla a vanvera, che su tanti temi nemmeno si esprime, che sulla situazione italiana si dimostra subalterno ai poteri forti della globalizzazione eccetera. Ed è poi chiaro che ciascuna di queste opinioni sarà a sua volta opinabile e confutabile. Ma, finché possibile, occorrerebbe discutere sul merito e sul metodo, senza revocare il diritto di parola a nessuno, fatto salvo il dovere dei media (dovere alquanto disatteso) di fornirci un’informazione corretta e ragionevolmente completa. Se tutti, dunque, hanno il diritto di esprimersi sulla disfida referendaria italiana, questo non varrà in minor misura, immaginiamo, per il Presidente degli Stati Uniti d'America, in quanto rappresentante di un Paese al quale l’Italia deve la propria liberazione dal nazifa­scismo e senza il quale perciò la nostra Costituzione forse nemmeno ci sarebbe. Dopodiché, idem come sopra. Anche Obama può sbagliare, come forse ha dimostrato indirizzando al premier Renzi, ospite martedì alla Casa Bianca, questa frase idiomatica in italiano: “Patti chiari, amicizia lunga”. Perché, forse, ha sbagliato? Perché nella nostra lingua queste parole hanno un senso ambivalente: da un lato enunciano il duplice presupposto di una lunga partnership secondo il quale i patti vanno formulati in modo assolutamente comprensibile e rispettati in modo assolutamente leale. Dall’altro lato, però, – proprio nel dover esplicitare questa duplice ovvietà – dal proverbio traspare in subordine che, se emergesse una qualche ambiguità o slealtà, l’amicizia potrebbe anche non durare. “Patti chiari, amicizia lunga” Dato che nella politica come nella vita le “subordinate” sono importantissime, “Patti chiari, amicizia lunga” suona quasi come una minaccia. E in effetti, spesso, questo proverbio entra in scena nei giochi linguistici del nostro bell'idioma quando è necessario definire molto bene le regole del gioco “non affinché possano essere comprese, ma affinché non possano essere travisate”, diceva Quintiliano. A questo punto, una volta esclusa cioè ogni possibilità di fraintendimento, e ciò grazie a formule nette e precise, si usa concludere: “Patti chiari, amicizia lunga”. In questo modo s'intende che d’ora in poi, nessuno potrebbe più appellarsi ai "non credevo, non sapevo, non volevo". No, adesso, qualora qualcosa girasse storto, comproverebbe un caso di patente slealtà. E non ci sarebbe più amicizia. Fin qui il senso del proverbio nella nostra lingua. E non riusciamo a immaginarci che Barack Obama possa voler avere detto: Ok, dear Matteo, recitiamo pure questo siparietto sul bel prato della Casa Bianca, che tanto piace a Benigni, affinché tu possa poi tornare in Italia con il mio endorsement e spenderlo nella campagna referendaria. Ma non dimenticare che, in cambio, gli USA si attendono dal tuo Governo questo e questo. Ha ragione quindi Bartezzaghi, il quale sulla Repubblica, riassume così lo stato dell’arte: “Barack Obama gli ha rivolto un saluto e una frase gentile in italiano. Con questo sforzo ospitale ha così contribuito alla settimana della lingua italiana nel mondo”. Inversamente, se per ipotesi Obama invece avesse inteso dire quel che ha detto, non sarebbe irrilevante interrogarsi su quale sia il prezzo pattuito dal nostro Governo per sdebitarsi dell’endorsement di cui sopra. E le prime cose venute in mente ai commentatori sono state: a) una partecipazione militare italiana rafforzata (boots on the ground) in Libia) e b) un indurimento diplomatico nei riguardi della Russia. Ma scacciamo i cattivi pensieri. Chi siamo, in fondo, noi dell’ADL per mettere in dubbio la facoltà di giudizio di tanti grandi uomini, rappresentanti di realtà istituzionali così importanti e potenti? Se il PSE, JP Morgan, Angela Merkel, l’ambasciatore Usa in Italia e ora anche Barack Obama ci dicono e ci ripetono che la Revisione Renzi-Boschi va bene per l’Italia, non sarebbe più intelligente evitare atteggiamenti da bastian contrari? Certo, si parva licet, lasciateci qui ricordare che in altri tempi (per esempio durante la Prima Guerra mondiale, il Fascismo, lo Stalinismo, la Seconda Guerra mondiale), dalle colonne di questo “giornalino”, come lo chiamava Silone, ci fu gente capace di assumere posizioni controcorrente – per esempio contro l’immane macello bellico, contro le dittature di ogni colore, a favore degli Stati Uniti d’Europa in garanzia della pace nel nostro continente – posizioni che stanno lì a dimostrare come il Kaiser, lo Zar e persino il Papa possano avere torto… e che ognuno alla fine avrebbe il dovere di pensare con la propria testa. A parte ciò, eccovi qua una buona ragione per la quale persino un vecchio politico tutt’altro che infallibile, un rottamato e demonizzato come D’Alema, non può essere però molto lontano dal vero quando sostiene il NO al referendum sulla Revisione Renzi-Boschi perché (nel combinato disposto con l’Italicum) essa spalanca le porte a revisioni costituzionali “a colpi di maggioranza” e perché essa stessa (grazie al Porcellum) è passata “a colpi di maggioranza”. Bill Clinton e Massimo D’Alema all’epoca in cui l’uno era Presidente degli USA e l’altro Presidente del Consiglio Su Wikipedia leggiamo che nel 2006 Romano Prodi “incaricò tredici personalità di spicco del mondo della cultura e della politica di redigere un Manifesto per il Partito Democra­tico, utile a enun­ciare i valori del nuovo soggetto politico”. Nel solenne do­cu­mento riveste un' importan­za par­tico­lare il tema della “difesa della Costitu­zione” (vai al link). Wikipedia rinvia qui a due link sul sito ufficiale del PD contenenti sia la bozza del “Manifesto dei valori” sia la versione approvata dal­l'Assemblea costituente del PD il 16 febbraio 2008. (Detto tra parentesi: Se cercate questi siti, vi apparirà la scritta: “Impossibile contattare il server”. Abbiamo lungamente cercato su internet questo “Manifesto dei valori”, dove si sottolinea “l’importanza della difesa della Costituzione”: non siamo riusciti a trovarlo da nessuna parte. Se altri ne sono capaci, p.f. ce ne indichino il luogo e noi non mancheremo di segnalarlo alle lettrici e ai lettori dell’ADL). La “difesa della Costituzione” è una questione importante, dati gli esiti negativi delle revisioni costituzionali condotte (o tentate e abortite) in questi anni “a colpi di maggio­ranza”. Questo tema, è stato recentemente ripreso da Massimo D’Alema che citato un frammento dal Manifesto dei Valori del PD: “La sicurezza dei diritti e della libertà di ognuno risiede nella stabilità della Costituzione, nella certezza che essa non è alla mercé della maggioranza del momento e resta la fonte di legittimazione e di limita­zione di tutti i poteri. Il Partito Democratico s'impegna perciò a ristabilire la supremazia della Costituzione e a difenderne la stabilità, e a mettere fine alla stagione delle riforme costituzionali imposte a colpi di maggioranza” (vai al video su Radio Radicale, min. 32:30 > 34:25). Se questo diceva il Manifesto dei Valori del PD (heri dicebamus…), mi dici tu come fai a fidarti ciecamente di questi annunci di serenità circa il futuro della Repubblica?! Detto ciò, vogliamo concludere con una nota di speranza: è bello che a Washington il premier Renzi abbia voluto escludere l'imminenza di catastrofi in caso di vittoria del NO. E che Obama gli abbia chiesto di "restare in politica qualunque sia il risultato del referendum".

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