giovedì 20 ottobre 2016

Jobs (re)act

Da Avanti! online www.avantionline.it/ JOBS (RE)ACT L'effetto Jobs act sull'occupazione è finito. L'abolizione del­l'articolo 18 ha portato un aumento dei licenziamenti per giusta causa. Con il taglio della decontribuzione le assunzioni a tempo indeterminato sono crollate del 32,9%. Barbagallo (UIL): «I dati Inps confermano le nostre preoc­cu­pazioni». di Liberato Ricciardi Arriva l’altra faccia della medaglia del Jobs Act, dopo la forte crescita del 2015 trainata dagli sgravi, nel 2016 le assunzioni segnano il passo, con una forte impennata sia sulla disoccupazione che sul precariato. Non solo, ma eliminato di fatto l’articolo 18 e finiti gli incentivi per la creazione di nuovi posti di lavoro, il trend è tutto tranne che positivo, e ad attestarlo è l’Osservatorio sul precariato dell’Inps: -8,5% di assunzioni e +31% di licenziamenti rispetto ai primi otto mesi del 2015. Arrivano al 28% in più, inoltre, i licenziamenti disciplinari, quelli che il Jobs Act ha reso a tutti gli effetti più facili da portare a termine per le aziende. Secondo i dati dell’Osservatorio Inps, in particolare crollano le assunzioni a tempo indeterminato, mentre invece l’abolizione dell’articolo 18 contenuta nel Jobs Act ha fatto impennare il numero dei licenziamenti. In altre parole, come pure avevano ammonito molti economisti e i critici della riforma del lavoro Renzi, non appena è venuta meno in modo significativo la convenienza ad assumere, il numero delle conversioni di contratti più precari e delle assunzioni “nuove” si sta riducendo sempre più rispetto al boom del 2015, “drogato” dagli incentivi più generosi. Le imprese cominciano gradualmente a usufruire sempre più della nuova libertà garantita dal Jobs Act di liberarsi del personale. Per adesso si tratta di numeri modesti, ma il ritmo di crescita è notevole. Complessivamente le assunzioni di datori di lavoro privati, nel periodo gennaio-agosto 2016, sono risultate 3.782.000, con una riduzione di 351.000 unità rispetto al corrispondente periodo del 2015 (-8,5%). Nel complesso delle assunzioni sono comprese anche le assunzioni stagionali (447.000). Il rallentamento delle assunzioni ha riguardato principalmente i contratti a tempo indeterminato: -395.000 unità, pari a -32,9% rispetto ai primi otto mesi del 2015. “Il calo – spiega l’Inps – va considerato in relazione al forte incremento delle assunzioni a tempo indeterminato registrato nel 2015, anno in cui dette assunzioni potevano beneficiare dell’abbattimento integrale dei contributi previdenziali a carico del datore di lavoro per un periodo di tre anni”. Analoghe considerazioni possono essere sviluppate per la contrazione del flusso di trasformazioni a tempo indeterminato (-35,4%). Per i contratti a tempo determinato, nei primi otto mesi del 2016, si registrano 2.385.000 assunzioni, in aumento sia sul 2015 (+2,5%), sia sul 2014 (+5,5%). Per i contratti in apprendistato si osserva una crescita del 18% rispetto allo stesso periodo del 2015 mentre i contratti stagionali calano del 7,4%. La maggior flessibilità avrebbe dovuto dare al mercato quella spinta necessaria a ripartire, ma a un anno e mezzo dall’entrata in vigore del Jobs Act, però, l’occupazione ancora latita con un tasso di senza lavoro fermo all’11,4%. L’Inps conferma quindi la dinamica emersa dalle rilevazioni statistiche dell’Istat e mostra, a fine agosto, un quadro a tinte fosche. Mentre continua a crescere senza sosta il ricorso ai voucher – la stretta del governo è arrivata solo a settembre – rallentano le assunzioni a tempo indeterminato e in generale i nuovi contratti. A preoccupare gli addetti ai lavori è soprattutto il trend delle assunzioni a tempo indeterminato: ad agosto sono state solo il 24,9% dei nuovi rapporti di lavoro, il dato mensile più basso dell’ultimo biennio. Insomma, la cura Renzi inizia a scricchiolare, soprattutto in considerazione di un tasso di disoccupazione che resta stabile all’11,4%. L’altra faccia della medaglia non è per nulla rassicurante: nonostante le buone intenzioni, infatti, a fronte di un’occupazione che non riparte, non calano neppure dimissioni e licenziamenti. Per coloro che sono stati assunti con il contratto a tutele crescenti previsto dal Jobs act a partire dal marzo 2015, sono cambiate le sanzio­ni in caso di licenziamento ingiusto, con la sostanziale cancellazione del­l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori e quindi con l’impossibilità del­la reintegra nel posto di lavoro. Cresce in modo preoccupante anche il pre­cariato e il riscontro è dato dal continuo aumento dei Voucher: tra gen­naio e agosto di quest’anno sono stati venduti 96,6 milioni di vou­cher destinati al pagamento delle prestazioni di lavoro accessorio, del valore nominale di 10 euro, con un incremento, rispetto ai primi otto mesi del 2015, pari al 35,9%. Nei primi otto mesi del 2015, la crescita dell’utilizzo dei voucher, rispetto al 2014, era stata pari al 71,3%. I buoni sono stati sperimentati dall’agosto del 2008, in particolare per i lavoratori delle vendemmie. Da allora al 30 giugno 2016 ne sono stati saccati 347,2 milioni. Il voucher si è rapidamente diffuso e ha accelerato negli ultimi anni: “Ha registrato un tasso di crescita del 66%” tra il 2014 e il 2015, cui va aggiunto un ulteriore +40% tra i primi sei mesi del 2015 e i primi sei mesi del 2016, annota oggi l’Inps. I dati dell’Inps sull’occupazione nei primi otto mesi del 2016 “con­fer­mano le preoccupazioni” della Uil sullo scarso impatto sulla crescita del Jobs act e della decontribuzione. Lo afferma il segretario generale del sindacato, Carmelo Barbagallo. “Purtroppo, i dati Inps di oggi – di­ce – confermano le preoccupazioni che avevamo espresso sui rischi che il Jobs act determinasse solo un riciclaggio di posti di lavoro. Tutto poi tende a complicarsi ulteriormente a causa della successiva riduzio­ne degli incentivi e del diffuso ricorso ai voucher. Ci dispiace sot­toli­near­lo, ma avevamo previsto anche un incremento dei licenzia­men­ti, cosiddetti, “per giusta causa”: siamo stati facili profeti. Adesso, il Go­ver­no e anche noi abbiamo un ulteriore problema sociale: dovre­mo ge­sti­re questi lavoratori licenziati in più proprio a causa della ri­du­zio­ne delle tutele generata, di fatto, dal Jobs act. Qual è la soluzione per que­ste altre diecimila persone che, ora, si ritrovano senza occupazione?”.

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