domenica 24 luglio 2011

Franco Astengo: La No-tav contraddizione principale

LA “NO-TAV” CONTRADDIZIONE PRINCIPALE?
Il corteo genovese, svoltosi ieri 23 Luglio, per ricordare i 10 anni dalla “macelleria messicana” che si consumò in occasione del G8 del Luglio 2001, ha forse rappresentato un importante momento di passaggio, proprio nella rappresentazione “visiva” e di conseguenza dell’immaginario collettivo, nella gerarchia tradizionale delle contraddizioni sociali operanti nella realtà.
Non si è trattato, sicuramente, di un’occasione celebrativa.
Prima di tutto c’è da considerare come, ovviamente, rispetto all’occasione precedente cui ci si stava riferendo nella manifestazione, la tensione “no-global”, la dimensione “un altro mondo è possibile” sia rimasta sullo sfondo, fornendo spazio invece alle “fratture sociali” emergenti, in questa fase, nella società italiana.
Questa osservazione vale, per conto nostro, a definire, appunto, un nuovo quadro delle contraddizioni.
In questa fase, infatti, la “NO-TAV” rappresenta, sicuramente, l’insorgenza sociale più rilevante e più acuta.
Gli atti simbolici rivestono, in questi casi, un’importanza decisiva: il fatto che la folta rappresentanza della Val Susa provvista di visibilissime bandiere bianche sia partita dal fondo del concentramento per raggiungere, tra gli applausi degli astanti, la “mitica” (un tempo) “testa del corteo” ha fornito l’emblema, ha suffragato “coram populo” questa priorità (poi seguivano i Comitati per l’acqua pubblica, quelli che hanno diretto e orientato la vittoriosa campagna referendaria).
Quale significato politico assume questo importante atto simbolico?
Ne vediamo uno, a nostro giudizio assolutamente fondamentale: nella risposta “locale” alla globalizzazione emerge (forse retaggio dell’antica frattura centro-periferia, ma non è così certo) l’idea dell’intangibilità del proprio territorio, di fronte alle devastazioni che un certo tipo di concezione dello “sviluppo” ha provocato.
Sicuramente tutto ciò avviene in una situazione molto particolare, in una Valle alpina provvista di “proprie” difese naturali, in una condizione di forte coesione almeno da parte di alcuni strati di quella società: elementi specifici che devono essere tenuti in conto nell’analisi.
Il dato, però, della risposta “locale” alla globalizzazione di cui l’alta velocità ferroviaria transnazionale rappresenta sicuramente uno dei simboli più significativi, va tenuto in conto nell’analisi almeno sotto due aspetti: il primo riguarda l’idea di un diverso modello di sviluppo (non è detto che la richiesta debba essere necessariamente rivolta verso la “decrescita”: abbiamo usato appositamente infatti il vecchio termine, forse un po’ abusato del “diverso modello di sviluppo” proprio per segnalare questo tipo di diversità).
Il secondo aspetto riguarda quel fattore di rovesciamento tra “politics” e policy, sul quale si sta ragionando da qualche tempo e che, nello specifico del “caso italiano” era già emerso con prepotenza nell’occasione del recente esito referendario su acqua e nucleare.
La richiesta dal basso di politiche diverse da quelle proposte dai livelli “ufficiali” di governo, la costruzione, invece, di una “governance” multilivello partecipata fuori e dentro le istituzioni, l’elaborazione collettiva di programmi ritenuti adatti alla realtà del territorio, in relazione ai bisogni dei cittadini: può essere questa la nuova frontiera per un recupero di produttiva relazione tra i cittadini e le istituzioni; per un ritorno alla “politica”?
La domanda è molto importante, e la risposta molto difficile: una risposta che sta dentro alla soluzione della crisi dello “Stato-Nazione”, della capacità dei soggetti rappresentativi, fuori e dentro le istituzioni, di fare insieme “cultura politica” e “cultura del territorio” definendo progettualità che stiano dentro ad un quadro generale di principi a livello di progetto (il pubblico che si occupa di economia, il pubblico che propone il recupero dello stato sociale universalistico, un sistema politico strutturato in modo da fornire rappresentanza all’insieme delle sensibilità sociali e politiche e non semplicemente orientato per garantire la “governabilità” esercitata da pochi legittimati da un numero sempre più scarso di elettori, chiamati alla semplice ratifica: tanto per fare degli esempi).
La “testa del corteo” di Genova 23 Luglio 2011 ha, forse, codificato questi interrogativi sui quali ci si arrovella da qualche tempo senza riuscire a raggiungere definizioni precise: risalta, in questo vero e proprio “mutamento di processo” la debolezza dei “corpi intermedi”, in particolare dei partiti (che dovrebbero abbandonare lo schema “liquido” del personalismo per recuperare soprattutto una funzione di acculturazione collettiva e di capacità di rappresentanza politica) e del sindacato (all’interno del quale dovrebbe prendere piede in dimensione più accentuata la riflessione sulla necessità dell’intreccio tra le diverse contraddizioni, quelle della condizione materiale e della realtà del territorio).
Una nuova qualità della riflessione e della proposta nell’”agire politico”: questa la richiesta, urgente e prepotente, emersa dalla manifestazione genovese, al di là della retorica, della stanchezza nelle dichiarazioni, nella ripetitività espressa da molti esponenti politici che hanno dimostrato per davvero tutto il “deficit” di elaborazione che attraversa la sinistra italiana in questo momento.
Savona, li 24 luglio 2011 Franco Astengo

2 commenti:

dario ha detto...

Caro Francesco

ho letto con attenzione la tua riflessione sul TAV, premesso che io non sono nè un SITAV nè un NOTAV ma semplicemente un compagno che cerca di ragionare con la propria testa basandosi sui dati di fatto, e cerco di riassumere a te ed a tutti i compagni che non vivono in Valsusa i dati attuali del traffico sull'Autostrada del Frejus nei due sensi di marcia:

anno 2010

TIR e mezzi pesanti 2,3 milioni di mezzi,

Auto e mezzi leggeri 6.5 milioni di mezzi.

La Società che gestisce l'Autostrada per risolvere il problema propone di aprire una seconda canna del tunnel del Frejus, io ritengo che sarebbe invece meglio trasferire il traffico merci e persone dal traffico su gomma al traffico su ferro.

Per renderti meglio l'idea ti riassumo anche una mia personale esperienza. Da 30 anni ogni anno vado a fare una camminata su una mulattiera (molto bella) che porta dalla valle di Viù (lago di Malciaussia) al versante sud del Rocciamelone, il colle Croce di Ferro si trova a 2300 metri slm, bene da quindici anni a questa parte (con l'apertura dell'autostrada A32) al colle si sente l'odore di gasolio e benzina e la valle di Susa, ormai completamente coperta dallo smog, si vede malissimo.

Fraterni saluti

Dario Allamano

franco ha detto...

Caro Dario, anch'io non sono entrato nel merito, non ne ho la competenza specifica. Ho soltanto cercato di far rilevare lo spostarsi delle contraddizioni sociali, la loro nuova qualità e la richiesta che ne sale alla "poliitca" (scusa la semplificazione) di modificare alcuni dei propri canoni tradizionali di riflessione e, di consegenza (nella speranza che esista ancora una consequenzialità tra questi due passaggi) nella produzione delle politiche pubbliche. Grazie di cuore dell'interlocuzione. Franco Astengo