sabato 22 agosto 2009

Giuseppe Casarrubea: Le ceneri del socialismo

Dal suo blog

Le ceneri del socialismo
8 Luglio 2009 di casarrubea




"O socialismo o morte" (da stefanominguzzi.com)
In molti si chiedono quali siano le differenze tra destra e ciò che resta della sinistra. L’interrogativo se lo pongono le persone che incontriamo ogni giorno per strada ma anche quelle che un tempo avremmo collocato dentro i confini della cultura egemonica. Gli iscritti ai partiti e soprattutto i militanti di sinistra che si trovano, all’improvviso, come sfrattati senza un tetto, una fissa dimora, ritengono invece di stare al sicuro dentro la nicchia del loro orticello che collocano al centro o a sinistra, o in un vago centrosinistra, a seconda dei casi.

I nuovi vincitori sono una stirpe silenziosa e agguerrita, abituata da tempo a giocar di sciabola e, al momento opportuno, capaci persino di fare saltare qualche testa. Enzo Biagi è stato per tutti l’emblema della spregiudicatezza di questa nuova classe al potere, fatta di militi pronti a ubbidire e sensibili al potere attrattivo delle poltrone. Hanno molto a cui pensare perchè per loro la cultura è tutta nella materia del loro agire, del loro immediato interesse. Nudo e crudo. E questo fa parte del gioco. Così sappiamo che non solo le guerre possono vincersi o perdersi, ma anche le forme dell’egemonia culturale. Quello che ci dobbiamo augurare è che, questa volta, non ci siano solo scorze vuote, ma che ciò che buttiamo nella spazzatura abbia dei precedenti contenuti di dignità, cioè dei punti concettualmente vulnerabili. Se ci fossero solo pattumiere, avremmo poco da discutere. Consumiamo e via. Costi quel che costi. E’ la grande palude universale in cui nuotiamo.



Vauro 2002 03 28

Dunque, alla domanda che ci siamo posti, potremmo rispondere sbrigativamente che la destra è la forza gravitazionale dei modelli del libero mercato e della loro sperimentazione su scala planetaria; l’invasione produttivistica degli spazi materiali e mentali delle persone, delle città, dei gruppi. La sinistra è il controllo della spregiudicatezza, delle voglie edonistiche del consumo e del piacere senza limiti naturali. E’ l’attenzione a evitare lo schiacciamento della persona e dei suoi diritti fondamentali, a cominciare da quelli dei più deboli. E’ la politica degli investimenti per lo sviluppo armonico possibile. Contro ogni forma di emarginazione. L’assurdo è che ci voleva un Obama pronto a farcelo ricordare al G8 dell’Aquila.

Ora non ci pare che a sinistra le grandi questioni che interessano la nozione del popolo, siano sufficientemente considerate e, soprattutto, che ci sia una lettura del valore del lavoro adeguata ai bisogni dei tempi che stiamo vivendo. Registriamo divisioni, battibecchi, personalismi e attacchi moralistici. Riflessi dell’involuzione generale. In altri tempi non si sarebbe neanche posto il problema di sapere se un tipo come Berlusconi avrebbe potuto continuare a fare il premier dopo quello che ha combinato. E mentre si svolge uno dei più grandi appuntamenti dei potenti della Terra, giusto in Italia, Franceschini pianta i suoi paletti in vista del futuro congresso del Pd; Bersani alza le sue bandiere liberal e cambia look; Marino si mette di traverso e D’Alema continua a giostrare, facendo l’eterno sornione dei cattivi giochi altrui.

Ridotti a considerare con amarezza i tempi che viviamo, dobbiamo perciò prendere atto del fatto che uomini come Moro, La Pira e persino Fanfani oggi sarebbero più statalisti e rivoluzionari di qualsiasi militante o dirigente del Pd e che l’avvenuta riduzione a zero della politica pone a tutti, destra compresa, il compito di fare i conti con la propria identità e col modello di democrazia nel quale ciascuno è vissuto e vuole vivere.

Al contrario assistiamo ad una gara di nuoto dopo un naufragio; ciascuno si è acchiappato al suo scoglio o alla sua scialuppa di salvataggio. Il massimo della politica a sinistra che oggi registriamo. Qui, alcuni hanno già preso gli opportuni provvedimenti, costruendosi una casa tutta per loro, magari senza fondamenta e senza tetto. Altri sono ancora spaesati e increduli. Non hanno bussole e perciò navigano a vista, come naufraghi. Improvvisamente emarginati dagli avversari, resi ridicoli, pezzi da museo.

Appare naturale che il trauma del processo a centrifuga che hanno subito, per il venir meno della cultura di sinistra, sia ben misera cosa rispetto al crollo del cosiddetto “socialismo reale” di un ventennio fa, quando iniziò una diaspora senza precedenti. I più duri si sono attaccati alle antiche certezze simboliche, fatte di falci, martelli, stelle e bandiere rosse, i meno duri, hanno scoperto il valore unificante della democrazia e si sono adunati nel Pd. Non c’è dubbio, però, che tutta la sinistra anche quella più nostrana e socialdemocratica, ha avuto inferto un primo duro colpo col precipitare degli eventi, con la caduta del muro di Berlino, la fine dell’Urss e dei Paesi dell’Est, la morte della prima Repubblica e la nascita del berlusconismo. Un mutamento progressivo che ha visto i gruppi dirigenti della sinistra incapaci di leggere il futuro, sempre più ipercritici, incazzati neri, disorientati e ridotti con le spalle al muro.

Costretti ora a dover credere che lo scontro politico in Italia sia tra il berlusconismo e il Pd, pensano realmente che non ci sia alternativa alla vera questione: la tendenza indotta, a un livello ipogeo e silente, del sistema bipartitico, con la cancellazione di tutte le altre voci dissonanti. Dunque la questione non è l’esistenza di Berlusconi e del suo popolo della libertà da un lato e l’opposizione del Pd dall’altro. Ma la democrazia nella sua reale consistenza e storicità, così come è stata costruita dall’antifascismo. Cosa che appare legittimo considerare per una intelligenza di medio livello, e per un comune buon senso.

Nessuno è infatti in grado di spiegare le ragioni della rimozione della tradizione socialista e laica dell’Italia, da Gramsci e Labriola ai nostri giorni, o del pensiero liberale e anticlericale che tanta parte ha avuto nella storia politica dell’Italia e nell’affermazione delle sue prerogative di autonomia rispetto al potere temporale della Chiesa, e via dicendo. Valori che un tempo avrebbero provocato delle vere e proprie guerre e che oggi, al contrario, sono i campi della sudditanza politica dello Stato al Vaticano.

Da sinistra si attribuisce alla destra il carattere distintivo di un disfacimento etico cementato da una dozzinale materialità consumistica, fanghiglia paludosa priva di risorse vitali, il connotato dell’amoralismo non disgiunto da una forte carica antistatale e antisociale priva di senso politico.



Vauro 2005
Il fatto è che la sinistra cosiddetta “radicale”, o socialcomunista, non troverebbe più neanche collocazione concettuale, come se fosse una negazione di senso. E’ la propaganda occulta della “comunicazione” massmediale. Persino nel lessico degli italiani ciò che è condiviso è normale. Ciò che non lo è si definisce “radicale”. Le fattispecie di questa radicalità sono molteplici: si manifesta in Di Pietro e Beppe Grillo, in Diliberto e Ferrero, in Vendola e Fava, e via dicendo. Certamente tutti hanno i loro difetti. Sono soprattutto nomi e sigle; vorrebbero che le cose andassero per il verso giusto in direzione di una democrazia reale. Non un “socialismo reale “ come ai tempi in cui per le strade, nei cortei, si gridava “Lenin, Stalin e Mao Tse Tung”. In Italia non credo si sia mai posto neppure ai tempi di Stalin. Tutte queste voci critiche, dunque, sono espressione di un’Italia che tiene, che rivendica il diritto a esprimere le proprie diversità.

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Al contrario, da un lungo tempo ormai si è sancita la fine delle ideologie e si sono vanificati strutture e scopi finali della politica. Perciò a qualcuno può anche piacere l’orgoglio di un Diliberto o di un Ferrrero di attestare la persistenza e il senso dell’essere comunisti italiani, oggi. Italiani, appunto, non coreani, o cinesi, eredi dello stalinismo o del leninismo. Posizioni, queste, che, incredibile a dirsi, sono proprie della maggioranza che governa il Paese. A fronte del decisionismo di Berlusconi, Lenin (nel cui nome i sovietici diedero vita all’omonimno premio per la pace) sarebbe un chierichetto. L’anticomunismo del premier risulta paragonabile agli eserciti dell’Oberkommando della Wehrmacht durante la seconda guerra mondiale, di cui egli stesso potrebbe essere capo supremo.

Cambiato l’ordine degli addendi la somma non cambia. Perciò il primo stalinista in Italia oggi è sempre Berlusconi. Non manda gli avversari nei campi di lavoro forzati in Siberia, ma li elimina criminalizzandoli, attraverso il processo tipico dell’etichettamento, dell’additamento.

Ma il problema non è solo questo. Rispetto alla centrifuga cui è sottoposta la sinistra tradizionale, la spremitura a secco di ciò che resta della sua, un tempo corpulenta, umidità, costituisce un vero problema.

E’ vero che tutti i ragionamenti vertono nel sapere se il bipartitismo che miracolosamente ci siamo trovati tra i piedi sia l’unico schema di riferimento della politica nazionale vulgata attraverso media compiacenti al gioco della riduzione ai minimi termini della politica italiana. Ma stupisce che tutti stanno al gioco e giocano come se il mazzo di carte che ci siamo trovati tra le mani sia quello giusto, con le carte contate secondo le regole e con giocatori di rispetto seduti al tavolo da gioco. I due signori sono entrambi intenti alla vittoria, ognuno con le sue carte. Non credo che abbiano le stesse intenzioni nel non barare. Magari l’uno è più leale, l’altro, anche se fa l’impressione di arrangiarsi come può, infonde più sicurezza. Cosa che gli italiani hanno sempre cercato nei loro governanti, a cominciare dal fondatore del fascismo e dell’Impero. Ne parlava Leonardo Sciascia che descrivendo l’immagine che i contadini siciliani avevano di Stalin, scriveva che a loro giudizio egli era come un grande giocatore, pronto a tirare sempre la carta vincente. Da qui il fascino di Baffone. Ma il popolo degli italiani non assomiglia per nulla ai contadini del Sud e ai siciliani in particolare. Perciò non aveva torto Curzio Malaparte, il “maledetto toscano” , quando scriveva del “culo bifronte” di certi italiani. Sono sempre quelli, pronti a diventare ora clericali, ora berlusconiani, e chissà cos’altro.

Così i giocatori sembrano credibili, e molti degli spettatori nell’assistere allo spettacolo confermano con cenni di assenso che la partita è corretta. E giustamente ognuno applaude la sua parte, sa che vince il giocatore che ha più soldi e più potere; che persuade meglio, che mostra sicurezza, che domina lo scenario. Anche le sue sparate o le carte che getta sul tavolo definiscono la scenografia. Agli italiani poco importa se bara o meno. E non vanno per il sottile sulle questioni dell’amoralismo politico e sulle passioni mascoline di chi gioca bene la sua partita.

Entrambe le posizioni, a destra e a sinistra, hanno proprie ragioni d’essere. La prima sta nella virtù delle cose concrete, dell’andare avanti, del fare, anche a prescindere dai risultati. E’ il pragmatismo della tronfietà parossistica e dell’autosufficienza, una sorta di idiozia dell’ottimismo capace di smuovere le cose in avanti. E’ l’ottimismo delle idee, secondo una visione quasi hegeliana. E difatti sono le idee che, secondo gli idealisti, muovono la storia. Solo che questa volta le idee sono scorze vuote e il popolo non sa di non essere più popolo (G.C.).

1 commento:

Melchiorre Gerbino ha detto...

In 2500 anni di memoria, la Sicilia a due grandi storici ha dato i natali, a Diodoro Siculo di Agira e a Giuseppe Casarrubea di Partinico https://www.youtube.com/watch?v=eIjQ7EvTS-c&feature=youtu.be