sabato 7 giugno 2014

Pierpaolo Pecchiari: Pus, PUN, nuova DC

Vorrei condividere con voi alcune riflessioni, nel tentativo di analizzare lo scenario politico attuale da un punto di vista diverso da quello "organizzativista" e "politicista" che va per la maggiore nei nostri ambiti in queste settimane, e che ci ha portati a discutere di PUS (Partito Unico della Sinistra), PUN (Partito Unico della Nazione, una mostruosità degna delle peggiori fantasie orwelliane) e nuova DC (una evidente ucronia). Sto preparando un testo un po' di più lungo e con uno stile alla Alberto e Piero Angela, ma con voi posso sicuramente saltare qualche passaggio. Vi conosco persone attente al dibattito e di buone letture, quindi riconoscerete un po' di Colajanni, un po' di Katz e Mair, un po' di Rosanvallon, un po' di Offe. Di mio nelle analisi non c'è nulla di originale. Di personale c'è invece il tentativo di riassemblare le tessere del mosaico, mettere a fuoco una visione di sistema, e trarne le conseguenze politiche. Su questo chiedo il vostro parere. I punti della mia analisi sono questi. le società liquide post-industriali sono interessate da un conflitto per l'appropriazione di risorse tanto virulento quanto quello che interessava le società industriali. Sono cambiati gli attori: soprattutto, in una società "liquida", questi sono molti di più rispetto alla diade "capitale industriale" e "lavoro salariato". E sono cambiati i luoghi in cui questo conflitto si combatte: non più la grande fabbrica fordista, ma lo Stato, in tutte le sue articolazioni esecutive e legislative, a livello locale o centrale. questa analisi rende conto - in maniera più convincente di quanto si sia sentito fino ad oggi - delle motivazioni della trasformazione dei partiti politici "di governo" in "partiti cartello". Le letture di chi lega la scomparsa dei partiti organizzati secondo il modello del partito di integrazione di massa alla sparizione della grande fabbrica fordista e della società industriale sono corrette, ma non ci portano da nessuna parte. anzi: distolgono la nostra attenzione verso fatti ormai assodati e processi conclusi già dalla prima metà degli anni '80. Le analisi più interessanti - che peraltro circolano dai primi anni '90 - riguardano invece la trasformazione dei partiti, ai tempi già partiti "pigliatutto" (leader carismatico + pragmatismo + superamento delle ideologie + uso intensivo dei media, soprattutto della televisione) in "partiti cartello". Viviamo in un'epoca post-ideologica, che relega i partiti ideologizzati nel dimenticatoio, e in una situazione in cui l'opinione pubblica è stanca e (relativamente) poco interessata alla brillantezza e all'inventiva dei leader carismatici dei partiti pigliatutto. Non fatevi distogliere dalla situazione italiana, come al solito arretrata. Quanti leader carismatici, di centrodestra come di centrosinistra, mettono in campo i partiti a vocazione maggioritaria delle grandi democrazie occidentali? Nessuno, direi. Renzi è un'eccezione, ma è la classica eccezione che conferma la regola. Le fortune dei partiti cartello non dipendono dalla brillantezza dei loro leader, ma piuttosto dalla possibilità di occupare lo Stato e utilizzarne le risorse, operando come arbitri, certamente non imparziali, nel conflitto tra le varie classi, ceti, e interessi organizzati. Purtroppo per ovvie ragioni i partiti cartello non hanno grande interesse a modificare radicalmente la situazione - nessuno taglia il ramo dell'albero sul quale sta seduto - e quindi finiscono per operare sempre e comunque nella cornice del sistema, e a volte anche in maniera collusiva. Come soggetti di un medesimo cartello, appunto. Per quanto ci riguarda, è rilevante soprattutto il fatto che non possono esistere infiniti partiti cartello. Al massimo uno di centrodestra, e uno di centrosinistra. una democrazia rappresentativa dominata da partiti cartello ha dei limiti evidenti. Questo genera da un lato la richiesta della cittadinanza attiva ad ottenere forme di "controdemocrazia", ovvero istituti che assicurino la possibilità di mettere in atto qualche forma di controllo, indirizzo e censura degli eletti e degli esecutivi, indipendentemente dai momenti elettorali. Una tensione che (forse) può trasformarsi e prendere corpo in qualcosa di più significativo in occasione di elezioni locali - penso al caso di Milano 2011, ad esempio. Ma dall'altro lato genera in gran parte dell'elettorato una fortissima tentazione - soprattutto in momenti di crisi economica e sociale, quelli che i partiti cartello sono meno attrezzati ad affrontare, e che spingono buona parte dell'elettorato su posizioni non già anti-politiche, ma anti-sistema tout court - a sostenere movimenti e partiti radicali, populisti e demagogici. Se questo è il quadro, non abbiamo grandi scelte. L'evoluzione è verso un bipolarismo quadripartito, tuttavia molto diverso da quello su cui si ragionava negli anni '80 e nei primi anni '90, che prevedeva due partiti a vocazione maggioritaria, uno di centrodestra e l'altro di centro sinistra, affiancati sulle rispettive ali da formazioni più caratterizzate politicamente, con funzione di stimolo, pungolo, e "guardiania della Rivoluzione". Purtroppo tutti i ragionamenti di chi immagina qualche possibilità di sopravvivenza per partiti "a vocazione identitaria" partono dal presupposto che questo scenario sia ancora valido. Non è così. Lo scenario oggi attuale prevede: due "partiti cartello" - uno di centrosinistra, l'altro di centrodestra - che si alternano al governo del Paese o che addirittura governano assieme. I partiti cartello si reggono sulla capacità di interpretare al meglio il ruolo di arbitraggio nella redistribuzione delle risorse intermediate dello Stato, non per il fatto che alcune vergini vestali con il 4 o il 5% dei consensi ne certifichino o meno la purezza ideologica, cosa che non interessa più a nessuno da tempo. I partiti cartello non hanno bisogno di alleati minori, che non hanno più alcuna funzione; pertanto questi vengono fagocitati o svaniscono nel nulla due partiti o movimenti anti-sistema sulle due ali: una sinistra radicale, una destra populista e fascistoide. Entrambi impossibilitati a qualsiasi coalizione con i partiti-cartello a vocazione maggioritaria, pena la liquefazione elettorale per tradimento dell'oggetto della ragione sociale. Questo è il quadro emerso anche dalle ultime elezioni europee, in tutta l'Unione. Ed è rispetto a questo quadro che dobbiamo fare delle scelte. Il rischio della totale e definitiva irrilevanza è concreto, sia che si scelga di essere "testa di topo" nell'ennesima "novità della politica italiana", come al solito a vocazione identitaria-minoritaria e condannata al nulla elettorale, sia che si scelga di essere "coda di leone" altrove. Tuttavia l'alternativa all'essere "coda di leone" nel partito cartello a vocazione maggioritaria di centrosinistra è quella di essere "testa di topo" altrove, ma non vorrei che questa ci riduca al ruolo di chierici per conto di principi senza trono e regni immaginari e comunque senza eserciti, perché se la mia analisi corretta dovremmo entrare ne M5S, cosa di per se assurda. Di certo, se il quadro è questo, un partitino chiuso nel suo recinto identitario non ha grandi prospettive. Del resto, non ce la fa nemmeno SEL, che è organizzativamente, culturalmente, politicamente e finanziariamente molto più attrezzata di tutti noi socialisti messi assieme. Quello dell'unità socialista, peraltro, è un concetto astratto, una categoria dello spirito, che fa mi ricorda il "mera espressione geografica", riferita all'Italia dei primi dell'800. Pierpaolo Pecchiari

2 commenti:

roel ha detto...

Quindi, sic stantibus rebus, bisogna cercare altre vie.

Personalmente, in tempi lontani, avanzai a mezzo stampa, una proposta che prevedeva l'introduzione di un parziale sorteggio nell'assegnazione dei seggi .

Ovviamente da chi occupa il potere attraverso clientele e vive di rendita consolidata , la cosa viene presa per una banalità, senza considerare che in via sperimentale, si potrebbe cominciare dal basso: circoscrizioni, comuni, province, regioni.

roel ha detto...

Questo nuovo meccanismo elettorale, se introdotto, chiamerebbe all'effettiva partecipazione quanti si sono attestati su posizione di scetticismo e sfiducia.

Invece vengono riproposti i soliti "pannicelli caldi" della preferenza, dimenticando i danni che essa ha prodotto in termini di corruttela, specie nel Sud, dove le cordate in molte aree erano gestite dalla delinquenza organizzata, di cui l'eletto diventava il legittimo rappresentante , pur proclamato in nome del popolo.

Tra quanti vogliono la preferenza vi sono anche vecchi tromboni che aspirano a ricostituire antichi legami, visto che l'eventuale dimezzamento delle rappresentanze li taglierebbe fuori..

Come non vedere che è preferibile avere il partito come referente responsabile delle candidature, se designate dopo aver fissato rigorosamente i prerequisiti da prevedere nello Statuto.? Non è vero che la preferenza, specie nella aree di degrado e di endemica disoccupazione, rappresenta elemento di maggiore democrazia, come alcuni demagogicamente e furbescamente declamano. E' vero invece il contrario.

Per convincersene basta uno sguardo al passato, quando le preferenze venivano bloccate dalle federazioni e il "libero elettore" si illudeva di scegliere, senza avvedersi che portava solo "acqua al mulino" dei soliti già designati.

Non solo, ma una lotta senza esclusione di colpi si verificava anche tra candidati dello stesso partito nelle varie circoscrizioni regionali, e la caccia al voto non conosceva limiti o discernimento circa l'origine e la provenienza, anzi le cosche , in alcune realtà, patteggiavano col candidato il numero di voti per denaro, favori o altro.

Le stesse primarie del PD di Napoli sono state oggetto d'indagine della magistratura per infiltrazioni di camorra: un'ulteriore prova di quanto deleterio sia il criterio del voto al singolo?

Da notare che col sistema del parziale sorteggio, l'impegno del candidato a sostegno del partito da lui scelto liberamente, diventerebbe pressante, visto che quanto maggiore risulterebbe il numero dei seggi conquistati dal partito, tanto maggiore sarebbe per lui la possibilità di essere sorteggiato.

Personalmente resto del parere che, una volta fatta salva la percentuale dei seggi (30%)da destinare ai candidati di bandiera del partito, e un'altra percentuale(30%) da destinare ai benemeriti della cultura, dell'arte e delle scienze, dell'economia, della finanza, delle forze sociali, ecc., il restante 40% andrebbe ripartito tra quanti liberamente avrebbero comunicato di voler partecipare al sorteggio.

Ovviamente dopo aver fissato tassativamente i prerequisiti (livelli culturali, benemerenze eventuali, fedina penale pulita, mancanza di indagini giudiziarie, assenza di carichi pendenti, non fallimenti, non parentele e affiliazioni con persone e ambienti malavitosi, ecc., ecc.), permettere a chiunque abbia i requisiti di affidabilità di poter inoltrare istanza di partecipazione a seconda dei propri orientamenti politici, in un sistema di liste compatibilmente aperte (di 300-500 candidati), produrrebbe sì un vero salto di qualità e di reale partecipazione.

Col vantaggio aggiuntivo che gli eletti per sorteggio rappresenterebbero un vero e proprio manipolo non controllabile dalle gerarchie, in quanto, non dovendo rispondere ad esse della propria elezione, nè temerne le sanzioni per "disobbedienza", gli unici vincoli riconosciuti sarebbero quelli della libera coscienza e quelli fissati dallo Statuto (aggiornato). Non sarebbe un vantaggio da poco contendere il potere decisionale nelle assemblee rappresentative agli "intruppati", ai galoppini e ai "manichini" a comando!!!!

Un saluto Roel