Il Circolo Carlo Rosselli è una realtà associativa presente a Milano sin dal 1981. http://www.circolorossellimilano.org/
giovedì 31 gennaio 2013
Paolo Bagnoli: Chiudere l'ellissi del governo tecnico
Dall'Avvenire dei lavoratori
Chiudere l’ellissi
del governo tecnico
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Se ci viene passata una battuta abbiamo avuto, in contemporanea, tanto per non farci mancare niente, sia l’uomo della Provvidenza, Mario Monti, che la donna della Previdenza, Elsa Fornero. I risultati sono sotto gli occhi di tutti!
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di Paolo Bagnoli
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Qualche settimana fa il presidente della Repubblica, non sappiamo se per prassi di ruolo o per convincimento, aveva raccomandato una campagna elettorale misurata. Con il massimo rispetto verso Giorgio Napolitano osserviamo, qualunque fosse la sua intenzione, che essa avrebbe, per forza, scontato un’ingenuità. I fatti dimostrano quanto non era difficile prevedere. Premesso che in ogni campagna elettorale, fisiologicamente, i toni si fanno sempre più alti del dovuto, come sarebbe stato possibile che, da un quadro politico fortemente anomalo e democraticamente alterato, potesse scaturire un clima di pacatezza? Lo svolgimento della campagna elettorale altro non è che l’epifania delle condizioni cui è giunto il Paese; siamo, infatti, convinti che le elezioni non rappresenteranno un passaggio ricostruttivo, ma solo uno ulteriore nello smottamento di un sistema che da tempo, troppo tempo, non è più tale.
Il contesto complessivo si è ulteriormente aggravato e non perché, siamo sinceri, Mario Monti dal governo ha fatto – cosa previdibilissima – una specie di partito, ma perché queste elezioni sono inficiate da un’improprietà politica, funzionale e gestionale, del governo tecnico espressosi in un’illogica superbia e ruvidità sapienziale che ha peggiorato il quadro d’insieme. Esso, già fortemente guastato, è stato aggravato per i metodi usati, l’arroganza nel porsi, il cinismo sociale applicato e la totale assenza di ogni intenzione politica: vale a dire, ricostruire un’idea dell’Italia e di come rifondare lo Stato avendo cognizione, come avviene peraltro in ogni altro Paese, della propria memoria storica. Un’operazione, quest’ultima, per cercare di riavviare il Paese chiudendo vent’anni di non politica i quali, inevitabilmente, hanno prodotto uno Stato che, evirato dalla dimensione della politica, naviga verso derive, ora cesaristiche, ora di una sapienza tecnica per di più aggravata da un ridicolo porsi. Come se la democrazia fosse frutto della Provvidenza.
Se ci viene passata una battuta abbiamo avuto, in contemporanea, tanto per non farci mancare niente, sia l’uomo della Provvidenza, Mario Monti, che la donna della Previdenza, Elsa Fornero. I risultati sono sotto gli occhi di tutti!
Naturalmente la Provvidenza di Monti, in un Paese in cui chiudono mille attività commerciali al giorno, non ha prodotto “provvidenze” visto l’accrescersi dell’impoverimento generale perché la tassazione è iniqua e perché il profilo finanziario ha sostituito quello politico.
Ora, tutti sanno che la “politica” è tale perché, di là delle misure che adottano coloro che sono chiamati a gestirla, si fonda su una concezione collettiva del Paese e non sugli interessi di un singolo comparto. Quando, poi, alcuni di questi interessi vanno in emergenza e in taluni momenti risultano preminenti, è doveroso affrontarli; sempre, però, nell’ottica della “coesione sociale” e non di particolarità esclusive; nello specifico, di genere finanziario.
Al corpo ferito e martoriato del Paese il governo tecnico ha causato ulteriori lacerazioni aggravando la deriva di allontanamento dallo spirito repubblicano della Costituzione; quello spirito che avevano assicurato al senso di essere della democrazia italiana i vecchi partiti politici – ed è un dato di fatto che quelli appaiono, alla luce degli odierni, addirittura meritevoli, nonostante i loro limiti.
Così, se l’unica proposta del raggruppamento montiano, ma soprattutto del suo leader, è di demonizzare Vendola e la Cgil, – la matrice berlusconiana non si smentisce e il marchionismo si palesa mentre Giorgio Squinzi ragiona con serietà e senso del Paese – e Berlusconi, da sconfitto storico procedendo brillantemente sui vecchi percorsi della sue pantomime, dice tutto e il contrario di tutto ringalluzzito com’è dal fatto che lo hanno resuscitato. Ed è poi veramente singolare la posizione del Pd il quale ha sostenuto Monti ac perinde cadavere ricevendone pesci in faccia a più non posso. Il Pd, infatti, ne ha votato tutti i provvedimenti antisociali, salvo dire un minuto dopo che non era d’accordo; alla fine è sceso in battaglia contro di lui pur auspicando un’intesa dopo le elezioni e pure parlando di “polvere sotto il tappeto”.
Monti si è arrabbiato. Bersani non ha detto di quale "polvere" di tratti, ma siccome la polvere non si accumula in un giorno, non poteva il Pd, che chiede “un po’ di lavoro” mentre tace sulla patrimoniale, cercare di alzare il tappeto invece di fare il soldatino ubbidiente agli ordini del generale incapace?
La questione della democrazia è del tutto assente. Non si capisce se interessa ancora a qualcuno. Sulla legge elettorale si è assistito, per mesi, a una commedia in cui ognuno voleva esattamente quello che è avvenuto: non cambiare l’ignominia calderoliana. Il tema nella campagna elettorale latita. Anzi, dimostrando carenza di senso dello Stato, il Pd ebbro delle primarie, le ha rappresentate come la risoluzione alla violenza costituzionale perpetrata, aggiungendo, così, alla gravità generale un’altra cifra di pericolosa confusione.
Ancora: la discriminazione verso gli operai è norma. E la norma, quella della legge vera, non sembra valere. La ripresa, tanto invocata, è solo il secondo tempo delle partite di calcio, mentre la corsa all’arricchimento personale, con lo scialo dei soldi destinati alla politica, sembra fenomeno così esteso che Tangentopoli recupera una dimensione strapaesana.
Potremmo aggiungere il progressivo smantellamento dell’università pubblica, lo stato delle scuole di ogni ordine e grado, parte della magistratura che appare sempre più come la necessaria scuola di formazione per entrare in Parlamento.
Il tutto rimbalza tra scandali, "retroscena" giornalistici, pollai televisivi, untuose e false dichiarazioni di europeismo, in un esplodere di quell’Italia provinciale, particolaristica, anticivica e dallo spiccato senso pezzentesco-proprietario che, liberata da ogni vincolo sia giuridico che morale, riemerge con forza: è l’ Italia della “desistenza” di calamandreiana memoria; quella stessa che ordì la pugnalata a Ferruccio Parri.
Cancellata l’idea fondante del partito politico come corpo che vive di gente e, quindi, fattore vivo della sovranità democratica, confermato un corpo rappresentativo imposto dalle oligarchie delle varie formazioni, demonizzato il sindacato e vessato il mondo del lavoro, considerato addirittura pestilenziale chi emblematizza in qualche modo la sinistra – ridotta al tardo bertinottismo di Vendola – in assenza di ogni contrafforto serio, come sarebbe un partito socialista finalmente degno di una gloriosa tradizione e di un’altrettanto gloriosa storia che il craxismo non ha sminuito pur portandolo alla tomba, l’Italia, scomparsa oramai anche la falsità del bipolarismo – falsità sì, perché quello italiano era solo lo scontro tra berlusconismo e antibelusconismo per la conquista del governo – queste elezioni appaiono destinate a non risolvere niente, se non a chiudere l’eclissi del governo tecnico. Che torni il sole, tuttavia, appare veramente improbabile.
mercoledì 30 gennaio 2013
martedì 29 gennaio 2013
lunedì 28 gennaio 2013
domenica 27 gennaio 2013
sabato 26 gennaio 2013
Gruppo di Volpedo: Chi difende il Porcellum?
COMUNICATO DEL GRUPPO DI VOLPEDO
Chi difende il “PORCELLUM” nelle urne?
Se abbiamo questa legge elettorale di sospetta costituzionalità dal 2008( sentenze n. 15 e 16 Corte Costituzionale) la responsabilità istituzionale è del Parlamento e quella politica di PD e PdL e per ignavia del Presidente del Consiglio Monti: soltanto il Presidente Napolitano si salva per le sue ripetute esortazioni a cambiare la legge. Sarebbe però sbagliato -sottolinea il Gruppo di Volpedo- non sottolineare le responsabilità della magistratura. Se un giudice avesse, come sollecitato stessa Corte Costituzionale, sollevato la questione il Parlamento non sarebbe stato inerte. Invece a pochi giorni dall’udienza del 30 gennaio 2013 la Prima Sezione della Corte di Cassazione rinvia sine die l’udienza di trattazione del ricorso RG 18249/12 promosso da un gruppo di avvocati milanesi, con alla testa l’avv. Aldo Bozzi, di cui fa parte il nostro associato on. avv. Felice Besostri, senatore della XIII legislatura. L’on. Besostri interverrà, su mandato politico, del Gruppo di Volpedo, a sostegno del ricorso dell’elettore romano Franco Ragusa per l’annullamento di parte della legge elettorale innanzi a TAR Lazio sez. Seconda bis il giorno 29 gennaio ne ricorso RG 651/2013
venerdì 25 gennaio 2013
giovedì 24 gennaio 2013
mercoledì 23 gennaio 2013
Etico smonta la grande bufala leghista
Etico smonta la grande bufala leghista del 75% di tasse in Lombardia
• In questa campagna elettorale la Lega sta ripetutamente affermando che “trattenere” il 75% delle imposte in Lombardia consentirebbe di disporre di svariati (16?) miliardi di euro da spendere in Regione.
• Non è chiaro come arrivino a questi calcoli, ma è certo che essi si basano su una omissione gigantesca: i servizi che già oggi sono disponibili per i cittadini lombardi grazie a quel 75%.
• Più precisamente: è possibile dimostrare che l’ammontare delle spese pubbliche (statali e regionali) realizzate sul territorio dello Stato è pari già oggi al 75% delle entrate realizzate in Lombardia.
• Nella Tabella che segue sono riepilogati alcuni dati tratti da una pubblicazione della Banca d’Italia del 2009
Valori pro-capite Regione Lombardia media 2004-200614.579
Entrate 14.579
Spese primarie 9.977
Rapporto 68%
• Le spese primarie sono:
le spese per prestazioni sociali;
le spese correnti;
gli investimenti in beni e servizi a beneficio dei cittadini e delle
imprese lombarde
• tuttavia nel conteggio precedente mancano gli interessi da pagare sul debito e che gravano su tutti gli italiani
• se ripartiamo questi interessi pro-capite, si ottiene un ammontare di circa 1500 euro per residente in Lombardia, e a questo punto si ottiene che ciò che spende la PA per i residenti in Lombardia è già più del 75% delle entrate realizzate in Lombardia: (9.977+1500)/14579=78%
• Questo significa che se la Regione Lombardia volesse trattenere una percentuale del 75% delle entrate sul proprio territorio dovrebbe necessariamente
- fornire tutti i beni e i servizi che oggi sono forniti dallo Stato, e dagli enti pubblici (Inps in primis)
- assumersi una quota di debito e pagarne gli interessi
Che cosa cambierebbe per i cittadini e le imprese lombarde?
Nulla, se non un enorme caos amministrativo e burocratico…
Ovviamente il “residuo fiscale” della Lombardia c’è ed è positivo: è vero che mediamente la Lombardia versa più di quanto ottiene
• ma questo “residuo:
- ritorna in parte a beneficio della Lombardia attraverso la domanda di beni e servizi dei cittadini e delle imprese residenti in altre Regioni: il saldo commerciale della Regione Lombardia verso le altre è positivo per un ammontare pari al 23% del Pil*…
- avviene in tutti i paesi caratterizzati da forti squilibri di reddito tra regioni diverse ed è quindi normale, sempre che non si voglia mettere in discussione l’idea di uno stato unitario.
Analisi elaborata per Etico dal prof. Alessandro Santoro
Alberto Quadrio Curzio: Il Giappone keynesiano di Shinzo Abe
Mentre l’Europa continua a insistere su rigore fiscale e pareggi di bilancio senza crescita, il Giappone – senza preoccuparsi troppo del debito pubblico alle stelle – promuove una aggressiva strategia di incremento della spesa pubblica e politiche monetarie espansive per rilanciare la propria economia. È ora che anche nel Vecchio Continente le Merkenomics siano messe da parte.
di Alberto Quadrio Curzio da Il Sole 24 Ore, 15 gennaio 2013
Abenomics: così è stata battezzata la strategia del nuovo primo ministro giapponese, Shinzo Abe, che punta ad una politica economica della crescita con l’innovazione e gli investimenti, la domanda interna e le esportazioni.
La Abenomics, che si compone di due politiche connesse (quella di economia reale; quella di economia monetaria), ha già generato un ampio dibattito sia per le probabilità di successo sia per i rischi che ne possono derivare al Giappone ma anche ai rapporti valutari ed economici internazionali. Compresi quelli con l’eurozona che ci interessano maggiormente anche se l’analisi dovrebbe riguardare Uem [Unione economica e monetaria europea, ndr], Usa, Giappone e Cina. Cioè le quattro maggiori economie del mondo.
Il programma giapponese si basa su una forte espansione di spesa pubblica con un primo intervento di circa 10 trilioni di yen ovvero di circa 85 miliardi di euro ad opera del governo centrale che dovrebbe essere affiancato da un altro analogo dei governi locali e dei capitali privati. Si arriverebbe a un intervento pari a 170 miliardi di euro finalizzati a incentivi per investimenti in tecnologie avanzate, specie in energia e ambiente, in ricerca e sviluppo, in sostegni vari alle imprese, nella ricostruzione infrastrutturale e abitativa post tsunami, nella sicurezza anti-sismica, nel sostegno ai redditi dei meno abbienti, in spese varie nelle aree più deboli del Paese. Il Governo ritiene che il programma dovrebbe portare già nell’anno fiscale 2013 (che inizia ad aprile) ad una crescita del Pil del 2% con conseguente aumento di 600 mila posti di lavoro.
Questa politica aggressiva di spesa pubblica va valutata in relazione a due aspetti dell’economia giapponese. Il primo è la deflazione di cui il Giappone soffre da 15 anni e dalla quale vuole uscire. La situazione non è tuttavia peggiorata, comparativamente all’Eurozona, nel corso della crisi iniziata nel 2008. Anzi. Infatti nel 2012 il Pil cresce intorno al 2,2% (la Uem cala dello 0,4), la disoccupazione è al 4,5% (la Uem è sopra l’11%), la bilancia dei pagamenti di parte corrente (e cioè il saldo tra esportazioni ed importazioni del Giappone per beni, servizi e redditi) è all’1,6% del Pil (nella Uem è all’1,1%). Il secondo aspetto riguarda le finanze pubbliche dalle quali verrà lo stimolo alla crescita. Nel 2012 il debito pubblico lordo sul Pil è pari al 236% e il deficit sul pil pari al 10% e qui la Uem è ben più solida. In queste condizioni avviare una politica di spesa pubblica appare un azzardo che il Governo nipponico affronta però con due ammortizzatori. Uno riguarda il finanziamento del debito pubblico che per la quasi totalità è detenuto all’interno del Giappone e sul quale si pagano tassi di interesse sui decennali allo 0,82% e quindi minori di quelli tedeschi e americani.
L’altro riguarda l’enorme entità di crediti sull’estero accumulati con i surplus commerciali.
Nella sfida giapponese vi è anche un profilo di geo-economia dove il Giappone sta arretrando rispetto alla Cina. La quota del suo Pil su quello mondiale (in termini di parità di potere d’acquisto) nel 2000 era al 7,6% e quella della Cina al 7,1%,nel 2012 è al 5,5% e quella della Cina al 14,9%, nel 2017 è prevista al 4,8% e quella della Cina al 18,2%. Anche in termini di dollari correnti la Cina ha già superato il Giappone.
Per spingere sulla crescita la Abenomics punta anche ad una forte espansione monetaria della Banca Centrale Giapponese per contribuire al sostegno dell’occupazione e della crescita alzando subito il limite di inflazione accettabile dall’attuale 1% (mentre quella effettiva è allo zero) al 2% ed in prospettiva al 3%. A ciò viene aggiunto l’obiettivo di deprezzare lo Yen per rilanciare le esportazioni che hanno subito un forte rallentamento nel 2012 anche a causa della recessione in Usa e Ue.
Sin qui la Abenomics che ha già avuto alcuni effetti come quello di indebolire lo yen e di rilanciare le quotazioni delle azioni nipponiche.
È chiaro che la Abenomics ha molti rischi sia interni che esterni al Giappone e che sarebbe molto meglio un concerto tra Uem, Usa, Giappone e Cina per evitare bolle e guerre valutarie.
In attesa del “concerto” la Uem dovrebbe però convincersi che la Merkenomics del rigore fiscale e dei pareggi di bilancio senza crescita peggiorerà con la Abenomics. Infatti l’euro da fine luglio (quando Draghi lo salvò) ad oggi ha guadagnato circa il 25% sullo Yen (e il 10% sul dollaro). Ne seguirà un calo delle esportazioni della Uem che rallenterà la nostra ripresa o prolungherà la recessione. Dalla quale non si uscirà sperando in un aumento della domanda aggregata solo in virtù delle liberalizzazioni e della politica monetaria della Bce che non arriva alle imprese.
Bisogna allora finanziare i programmi di investimenti infrastrutturali e in ricerca e sviluppo (di Europa 2020 e di Horizon 2020). A tal fine potremmo avere un sostegno dalla Abenomics che con le riserve valutarie punta anche all’acquisto di obbligazioni del Fondo Europeo Esm che andrebbe subito trasformato in Fondo Finanziario Europeo per mettere in sicurezza una parte dei debiti pubblici nazionali e per finanziare i nostri investimenti. È la nota ricetta degli EuroUnionBond che, senza correre i rischi eccessivi della Abenomics, ci consentirebbero di passare dalla Merkenomics recessiva alla Euronomics espansiva.
Leggi anche: Giappone: La Banca centrale si piega al governo
martedì 22 gennaio 2013
Luciano Belli Paci: Le parole che aspettavamo
Vendola: "... Io mi batto per una cosa che in Europa c'è già: un grande
partito socialista europeo. E credo che ci sia bisogno di Sinistra Ecologia
e Libertà per costruire la casa dei progressisti europei. In Italia
quell'europeista di Monti teorizza che non ci debba essere la contesa tra
destra e sinistra, la stessa che contraddistingue qualunque nazione europea.
Io vorrei europeizzare l'Italia".
Intervista su Left, supplemento dell'Unità del 19.1.2013, pagg. 22-25.
Claudio Bellavita: Giovani e politica
sarebbe il caso di fare delle serie riflessioni su questo sondaggio, e pensare quante delle cose che diciamo o scriviamo abbia un senso per questa importante fascia di popolazione
Corriere della Sera - 20 gennaio 2013
L'INDAGINE UN SONDAGGIO DI MTV SUGLI ELETTORI TRA I 18 E I 34 ANNI: SOLO SEI SU DIECI SONO SICURI CHE ANDRANNO ALLE URNE
Giovani, l'astensionismo è il primo partito (ma in calo)
Delusi e disillusi Il 51% si informa di politica, ma il giudizio sulla classe dirigente è impietoso: per il 76% è «incompetente»
MILANO - Delusi, disillusi, arrabbiati. È il ritratto dei giovani italiani tra i diciotto e i trentaquattro anni. Ventenni e trentenni rapiti dal vento
dell'antipolitica e frastornati dagli scandali che hanno colpito i partiti, ragazzi che vivono con disincanto il presente e guardano con incertezza al
futuro. Secondo un sondaggio condotto da Mtv Italia (che ha lanciato la campagna «Io voto» per sensibilizzare i giovani verso la politica), solo il 45%
degli intervistati si ritiene realmente felice e il 70% si dice fiero di vivere in Italia (una delle percentuali più basse a livello mondiale, la media
internazionale è dell'82%, ndr ).
Il loro rapporto con la politica è emblematico: il 74% la associa alla corruzione, il 67% a una sensazione di disgusto, mentre al 57% degli intervistati
provoca rabbia. Nonostante le elezioni siano alle porte poco più di 6 su dieci (62%) si dichiarano certi di andare a votare e quasi tre su quattro (73%)
vedono nell'astensionismo «un modo per protestare, per esprimere dissenso rispetto all'attuale sistema politico».
Numeri che fanno riflettere, specie se accostati all'idea che i ventenni/trentenni hanno della nostra attuale classe politica: per il 76% è «incompetente»,
per il 67% «raccomandata» e per il 60% «anacronistica e incapace di rinnovarsi». Mondi che sembrano opposti. Siamo lontani dalla visione in cui «tutto
è politica» di Thomas Mann, quasi agli antipodi. Uno su due (51%) si informa di politica ma la ritiene una componente non prioritaria della propria vita
(e il dato è ancora più alto tra i ventenni), il 23% non si interessa o tende ad evitare temi politici. Solo il 2% è coinvolto attivamente. Tuttavia c'è
qualche spiraglio di ottimismo. Il 49% dei giovani crede che un interessamento «inteso come informazione e consapevolezza oltre che come supporto diretto
a un partito» sia fondamentale.
E anche a livello di orizzonti, i giovani hanno delle certezze. Il loro leader politico ideale lo hanno in mente: onesto (81%), chiaro, trasparente (66%),
credibile (65%). Sull'agenda politica da lanciare hanno le idee chiare. Dopo tutte le polemiche di questi anni su bamboccioni e giovani schizzinosi al
primo posto, tra le priorità, svetta la lotta alla disoccupazione giovanile (con il 28%). Subito a ruota i ventenni/trentenni vorrebbero risolvere i problemi
legati alla crisi economica (26%) e alla pressione fiscale (13%). Lavoro, economia, anzitutto. Cambia invece il modo di manifestare il dissenso: ora il
mondo dei giovani si divide. Il 46% ritiene che la protesta nelle strade sia «un valido mezzo», ma ora spunta anche un 45% che «pensa alla protesta sul
web e sui social media». D'altronde in un altro sondaggio sugli under 30 promosso dall'Istituto Toniolo e dalla Fondazione Cariplo e diffuso a dicembre,
solo l'8,5% dà un voto almeno sufficiente ai partiti.
La disaffezione è in realtà una costante: nulla di diverso con il passato. Negli ultimi quattro anni è cambiato poco, nonostante l'ulteriore deterioramento
dell'immagine del mondo politico. Sempre per un'indagine sui giovani condotta da Mtv, nel 2009 il 92% degli intervistati dichiarava di non fidarsi dei
politici. L'unica a salvarsi nel 2009 era l'Unione europea, che godeva della fiducia del 52% dei ragazzi. All'epoca i potenziali astenuti toccavano cifre
record: il 90% aveva affermato che avrebbe evitato le urne in caso di elezioni. Oggi, alla vigilia delle Politiche, il partito del non-voto è ancora una
solida realtà, ma è in netto calo. Anche se restano la rabbia e la delusione.
Emanuele Buzzi
PLG
lunedì 21 gennaio 2013
Peppe Giudice: Una riflessione
Giuseppe Giudice
In occasione dell'annversario della scomparsa di Bettino CRaxi facevo una riflessione che va ben oltre le solite e stucchevoli contrapposizione tra chi vede in CRaxi un eroe e chi invece lo considera poco più che un delinquente comune. Disputa ben poco esaltante. Certamente Craxi non era un delinquente comune. ERa un politico di grande statura (ma non era Willi Brandt o Palme certamente) che ha commesso una serie di gravi errori ma su cui va comunque espresso un giudizio articolato e contestualizzato. Ma la vicenda di Craxi può rappresentare un paradigma delle contraddizioni e delle occasioni mancate dalla sinistra italiana. A tale proposito voglio citare alcuni passi di una intervista di Riccardo Lombardi a Simona Colarizi del Giugno 1984 quattro mesi prima della sua scomparsa ed in una fase (subito dopo il decreto di S.Valentino sulla Scala Mobile) in cui il conflitto (poi rivelatosi distruttivo) tra Psi e Pci iniziava a farsi molto aspro. "Riccardo Lombardi, leader storico del PSI, mi guarda sorridendo: di rotture, di lacerazioni, di momenti di crisi è intessuta tutta la storia della sinistra italiana, fin dal lontano 1921, e lui ne è stato uno dei protagonisti. Oggi, di nuovo, PSI e PCI sono divisi; la polemica è aspra. Tuttavia, l’attuale dissenso è solo l’aspetto più appariscente e formale del problema complessivo.
Se la strategia dell’alternativa, come proiezione nel futuro, si è allontanata, dice Lombardi, bisogna individuare cause più profonde del raffreddamento del dialogo tra i due partiti. Oggi, la proposta dell’alternativa non è più sostenuta da un’impostazione progettuale e culturale sufficiente a darle credibilità e quindi successo. L’alternativa fu lanciata in un periodo di svolta nel sistema economico e nella società italiana, che aveva messo in crisi gli equilibri di governo tradizionali.
Era un’occasione, per la sinistra, di intervenire come protagonista diretta e di porre con forza la questione dell’alternanza democratica, candidandosi a governare il cambiamento in atto. Un’occasione che non si può ancora considerare perduta, anche se ormai, a distanza di dodici anni dalla prima formulazione di questa strategia, dell’alternativa sembra rimanere solo un’eco sbiadita. Il processo di trasformazione non si è arrestato; anzi, prosegue velocemente, palesando sempre più il ritardo politico a gestirlo e il ritardo culturale a interpretarlo."......" Cito una frase di Nenni del 1945: "Socialisti e comunisti sono alleati o sono nemici. Non c’è via di mezzo". Lombardi mi risponde in maniera altrettanto lapidaria: "Quanto più si è vicini, tanto più, per evitare confusioni, per non essere assorbiti e condizionati, si tende a marcare gli elementi di diversità". Basterebbe, dice, considerare quanto è avvenuto e avviene tra le diverse sette di una stessa confessione.
La ricerca della propria identità da parte dei socialisti e dei comunisti che sono forze vive e attive in una società a sua volta in movimento, si pone come un processo continuo. E dinamico è dunque il loro confronto che non può non avere anche fasi di scontro e di tensione. Questa dialettica non è, per Lombardi, un fatto negativo: "Io ho sempre pensato che la divisione nella sinistra sia un elemento positivo. Non dico l’ostilità permanente; ma la pluralità delle posizioni, la specificità delle singole vicende arricchiscono il patrimonio della sinistra e finiscono col diventare una ricchezza comune ai due partiti". La sinistra si impoverisce solo quando la capacità di elaborazione politica delle sue componenti diminuisce, e ciascuna tende ad arroccarsi su posizioni di consolidamento dell’esistente.
Socialisti e comunisti appaiono oggi preoccupati soprattutto di preservare il terreno di consenso già acquisito, caso mai di ampliarlo, finalizzando a questo la propria strategia. Possiedono appunto strategie di potere assai più che linee progettuali riconoscibili. Concorrenti nel reclutamento di adesioni nel paese, PCI e PSI, proprio perché si somigliano, si sentono maggiormente minacciati l’uno dall’altro, e si difendono accentuando la polemica reciproca. La competizione, di per sé stimolante, racchiusa in questo orizzonte, diventa sterile. E’ nel campo progettuale che i due partiti dovrebbero lanciarsi reciprocamente una sfida per dar corpo e sostanza alla strategia di governo delle sinistre.
Il richiamo alla vicenda passata del primo centro sinistra viene spontaneo. Anche se oggi la situazione è diversa, rimane il fatto che l’ostilità tra socialisti e comunisti esplode sempre nel momento in cui il PSI assume responsabilità di governo. E’ una reazione facilmente spiegabile, sostiene Lombardi: i comunisti intuiscono che, nonostante la loro superiorità numerica, i socialisti eserciterebbero un’indiscutibile egemonia culturale e politica in un governo di sinistra. Nell’ipotesi di un governo di collaborazione tra le sinistre, sarà la tradizione della democrazia socialista a prevalere, sarà cioè la politica riformatrice iscritta nella storia del PSI, non (o troppo di recente) in quella del PCI. Del resto, il partito comunista sta da molti anni attraversando una profonda crisi di identità; il patrimonio della tradizione comunista è in parte dissolto, e anche se il PCI esita a compiere alcuni passi, la sua fisionomia è profondamente mutata. Altro che la "mutazione genetica" attribuita da qualcuno al PSI! E’ logico che questa incertezza di sé pesi negativamente sulla capacità di elaborazione politica, e si rifletta in un moto di difesa esasperato, specie in una situazione obiettivamente difficile."......"O forse, nella crisi delle ideologie che caratterizza la nostra epoca, si va perdendo il significato stesso di socialismo?
"Naturalmente Lombardi non è d’accordo. La caduta delle ideologie è un elemento positivo se inteso nel senso del superamento di quanto di mistificatorio c’era in ogni ideologismo esasperato. Certamente il messaggio palingenetico, messianico di cui le ideologie sono state portatrici nel passato, proprio per la sua estrema semplicità - la promessa di un "paradiso in terra" - costituiva un fattore di grande mobilitazione delle masse. Ma, una volta liberato dagli elementi mitici, il socialismo non ha perduto né la sua forza di attrazione, né la sua capacità di convincimento.
Il progetto di una società socialista ha ancora oggi alcuni fondamenti ineliminabili: dal punto di vista economico, la centralità del profitto e del valore di scambio deve essere sostituita da quella del valore d’uso; insomma, produrre per il consumo della popolazione, non per massimizzare il valore di scambio. "Sono concetti semplici e non sono neppure cos’ rivoluzionari. Quanto poi l messaggio politico che oggi esprime il socialismo, a me pare molto bella questa definizione:" Una società socialista è quella nella quale a ciascun individuo sia data la massima possibilità di influire sulla propria esistenza e sulla costruzione della propria vita".
Lombardi dimostra ad 84 anni una capacità di lettura ed interpretazione dei processi in atto straordinaria. Ed è estremamente lontano da semplificazioni e schematismi da propaganda la sua analisi molto problematica. Ma perchè viene fuori Craxi, all'improvviso nella sinistra italiana? Lo storico del socialismo, Maurizio DEgli Innocenti mette in rilievo come vent'anni di fascismo hanno inibito un processo di elaborazione nel socialismo italiano, quel processo di rinnovamento e ripensamento del socialismo che in Europa ci fu nel periodo tra le due guerre mondiali. Bauer, Hilferding, Polany, De Man, Cole contribuirono in forma diverse alla individuazione di un socialismo nuovo estremamente critico con l'esperienza sovietica, ma che offriva anche una soluzione di continuità con la vecchia II Internazionale finita con lo scoppio del primo conflitto mondiale. In Italia questo ripensamento restò confinato nel gruppo di intellettuali socialisti ed antifascisti presenti in GL di Rosselli. Non a caso furono i socialisti provenienti dal Partito D'Azione , Lombardi e Foa soprattutto, i migliori interpreti di quel ripensamento. NOn è un caso che Lombardi fu il primo autonomista nel Psi del dopoguerra. Il Fronte Popolare in Italia giunse dopo dieci anni il suo sviluppo in Europa. In Europa fini nel 39 dopo il patto Hitler.Stalin. In Italia invece il mito dell'URSS fu coltivato non solo dal PCI ma anche dal Psi (dal 48 al 56). Qui sta la ragione più profonda dei ritardi della sinistra italiana rispetto a quella europea. E qui sta anche la incapacità , non solo del PCI , ma anche di un pezzo del Psi (i "carristi" ed i loro residui ) di comprendere le ragioni del socialismo europeo. IL Psi aveva fatto con chiarezza la svolta autonomista nel 1956 ed avviato una grande elaborazione teorica e politica con Lombardi, Giolitti e Santi (che poi servì di supporto al primo centrosinistra), ma la scissione del Psiup prima e la unificazione fallita con il Psdi poi lasciò profonde ferite organizzative proprio nel periodo in cui nella società italiana avvenivano profonde trasformazioni, anche come conseguenza del primo centrosinistra. Per cui la segreteria De Martino sembrò rassegnata ad un ruolo subalterno del PSI. Che scese al suo minimo storico (9,6%). Craxi si spiega anche così. Come un processo di reazione del Psi al suo dissolvimento. In Craxi si avverte l'esigenza (in questo condivisa anche da Lombardi e Giolitti) della necessità per la sinistra di liberarsi degli ultimi residui della cultura frontista che poi la rendevano anomala rispetto all'Europa. E quindi vi fu un nuovo periodo di importante elaborazione teorica e politica. Ma negli anni 80 questo si disperse in una politica governista che alla fine condusse il Psi in un vicolo cieco . Lombard è profetico nel 1984 non solo nei confronti del Psi ma anche del PCI. Certo la deriva pentapartitica fu una reazione anche alla deriva settaria ed integralista dell'ultimo Berlinguer. Non c'è dubbio però che la gestione bonapartista di Craxi finì per produrre processi degenerativi. Con tutte le giuste critiche che si devono condurre verso tali degenerazioni, è indubbio che il PSI pagò un prezzo sproporzionato alle sue responsabiltà - Fu il clima consociativo complessivo dovuto alla impossibiltà di costruire una alternativa alla DC a far precipitare il sistema. Che fu sostituito poi da un sistema peggiore. E comunque la fine del Psi comportò anche la cancellazione della cultura socialista che causò una mortale mutilazione della sinistra italiana che poi si è persa nella sterile diatriba tra il "riformismo" subalterno al mercatismo liberista di D'Alema e Veltroni ed i gargarismi antagonisti di Bertinotti (che ha in pezzi della Fiom e del Prc "ingroizzato") i suoi ultimi vagiti. Pd da un lato ed Arcobaleno, dall'altro. In occasione di questo anniversario è utile ragionare sui gravi limiti non superati finora se si vuole costruire una idea forte di riformismo socialista alternativ sia al tecnoliberismo che al populismo.
Claudio Marra: PD-PSI
Pd-Psi: accordo Bersani-Nencini per 'patto di consultazione'
Formule improbabili per alimentare una politica ambigua della sinistra torcendo le parole e deformando la realtà.
Sarà un bene per il Socialismo Italiano oppure no che tra Bersani e Nencini si sia stipulato il "patto di consultazione"?
Sembrerebbe una ovvietà quanto previsto dal patto ovvero che tra Partiti alleati ci si consulti oltre a godere ciascuno di autonomia finanziaria e organizzativa; meno ovvio è l'impegno dei "i segretari del Pd e del Psi a lavorare nella casa del socialismo europeo ed a confrontarsi con i leader democratici"; poco credibile è la convinzione di Nencini che "La lista Pd-Psi rappresenta la sinistra riformista italiana che lavora nella casa del socialismo ...". (AGI- Roma, 16 gen ).
Benché quasi incredibile è comunque un sollievo, dopo lustri di propaganda dei segretari dello SDI e del PSI per la costruzione della CASA DEI RIFORMISTI o alternativamente dei PROGRESSISTI vedere la dichiarazione di Nencini a favore della CASA DEL SOCIALISMO. Ancora più incredibile che alla CASA DEL SOCIALISMO ci voglia (o possa) lavorare Bersani.
Nella Carta di intenti, sottoscritta per lo svolgimento delle Primarie, i gruppi politici partecipanti vengono indicati così: "Noi democratici e progressisti ...." Di socialismo nessuna traccia.
Benchè nel " Manifesto for a European Socialist Alternative" http://europeansocialistalternative.blogspot.it/), la parola progressista appaia una sola volta per qualificare le idee e non per qualificare gruppi politici nella traduzione italiana l'intestazione viene arricchita di un inutile e fuorviante termine progressista (MANIFESTO DEI PROGRESSISTI EUROPEI PER UN'ALTERNATIVA SOCIALISTA).
I firmatari infatti si qualificano nella frase seguente " socialisti, socialdemocratici e laburisti", non riformisti o progressisti.
"Noi sottoscritti, da lungo tempo membri dei partiti socialisti, socialdemocratici e laburisti, crediamo che i cittadini d’Europa meritino di più delle prospettive inquietanti promesse dai conservatori al potere e dei risultati catastrofici che hanno ottenuto."
e propongono un contenuto progressista in "alcune idee".
"A questo scopo proponiamo in questo documento alcune idee progressiste per una riforma socialista che potrebbe costituire la base per un nuovo appello ai cittadini europei."
Tra i firmatari italiani oltre ai Socialisti di nome e di fatto quali Felice Besostri, ancien sénateur (PSI, Italie) e Pia Locatelli, Présidente de l’Internationale Socialiste des Femmes (PSI, Italie) appaiono anche un certo numero di esponenti PD
Sergio Cofferati, Député européen (PD, Italie);
Anna Colombo, Secrétaire générale du Groupe S&D (PD, Italie);
Andrea Cozzolino, Député européen (PD, Italie);
Leonardo Domenici, Député européen (PD, Italie);
Pietro Folena (PD, Italie);
Nicola Latorre, Sénateur (PD, Italie);
Gianni Pittella, Vice-Président du Parlement européen (PD, Italie);
Evidentemente nel documento successivo elaborato a Parigi alla Convention progressista, firmato dai leader socialisti europei i pruriti antisocialisti del PD hanno avuto la meglio se il documento comincia così nella traduzione italiana "Un nuovo Rinascimento per l'Europa. Verso una visione progressista comune" forzando il testo francese con l'introduzione del termine progressista che comunque esiste nella chiusura del testo originale che comincia "Renaissance pour l’Europe - Croissance, solidarité, démocratie : un autre chemin est possible" e finisce " A cette fin, les partis progressistes européens devraient proposer un candidat commun à la présidence de la Commission européenne."
Il problema è ... non c'è più socialismo organizzato in Italia. I democratici italiani sviliscono, a cominciare dal nome, passando per i referenti storici e per gli inni, l'identità del socialismo europeo. Nencini supporta e i socialisti sopportano. Usque tandem, Catilina ...
Claudio Marra
domenica 20 gennaio 2013
Franco Astengo: “DOBBIAMO TOGLIERE L’ITALIA DALLE MANI DEGLI INCAPACI”.
“DOBBIAMO TOGLIERE L’ITALIA DALLE MANI DEGLI INCAPACI”.
LA “DEMOCRAZIA DI COMPETENZA” ALLA PROVA DEL VOTO
Le elettrici e gli elettori che, il prossimo 24 Febbraio, avranno deciso di esprimere il proprio voto per l’una o l’altra delle liste in competizione per le elezioni legislative generali si troveranno di fronte ad alcune novità importanti poste sul piano dell’espressione complessiva che esce dall’analisi del quadro politico di partenza.
Prime fra tutte, già individuata e analizzata abbastanza a sufficienza ma forse poco considerata dal punto di vista dell’esito del voto è la caduta dell’ipotesi bipolare che aveva retto il sistema – almeno come ipotesi di fondo – dall’avvento del maggioritario alle elezioni del 2008: questa volta, invece, il ritorno a una sorta di multipartitismo appare scontato.
La seconda novità è invece ancora poco analizzata e, in quest’occasione, non sarà possibile andare oltre ad alcune indicazioni diciamo così: “di direzione di marcia”.
Una novità resa, almeno a mio giudizio, del tutto esplicita dai contenuti compresi dal testo della lunga “conversazione” tra il direttore De Bortoli e il presidente del consiglio Monti, apparsa oggi sulle colonne del “Corriere della Sera”.
Assumo tre frasi dal contesto al fine di agevolare la possibilità di definire al meglio un’ipotesi di analisi politica.
La prima “Dobbiamo togliere l’Italia dalle mani degli incapaci”.
La seconda: “ Se non ci impegniamo direttamente, su di noi cadrà una colpa grave". Il Paese è un insieme di tribù, corporazioni e fortini che difendono interessi clientelari”.
La terza: “ Noi e Grillo siamo espressioni differenti dell’insofferenza popolare. La sua è l’iconografia della rabbia gestuale, vivace ma inconcludente”.
A queste tre affermazioni va aggiunta quella che rivendica la formazione della lista per la Camera dei Deputati che non comprende alcun parlamentare uscente.
Emerge così un’idea delle istituzioni e del loro rapporto con la società, insieme con un giudizio della situazione italiana, che si pone compiutamente sul terreno di quella che è stata definita la “Democrazia di competenza”, una sorta di “cerchia degli ottimati” che si sottopone al giudizio degli elettori perché si tratta di una inevitabile ma fastidiosa incombenza, nelle spire di un’antiquata democrazia parlamentare, ma con lo scopo – comunque – di governare costringendo gli “altri”, a prescindere dai consensi ricevuti, a convergere sulla necessità di riconoscere il “Primato dei competenti” essendo, appunto, il consenso di questi altri frutto di una sorta di nuova plebe che si esprime proprio attraverso quelle tribù, corporazioni, fortini, di cui si faceva cenno.
Così ci si colloca ben oltre il quadro del “rapporto diretto” tra il Capo e le masse: il Gruppo Dirigente siede in una sorta di Areopago e le istituzioni sono da considerarsi al loro servizio: del resto allo stesso prof. Monti, evidentemente massimo interprete di questa nuova (o antica?) filosofia politica, la toga da senatore fu consegnata in anticipo rispetto alla sua personale concessione di “impegnarsi per il bene del Paese”.
Per scendere nel concreto della vicenda politica di oggi: la nomina di Monti a senatore a vita, da parte del Presidente della Repubblica, nell’immediata precedenza al conferimento dell’incarico di formare il Governo è stato un vero e proprio “sfregio democratico” assolutamente sottovalutato dagli altri partner politici (in quel momento presi alla gola dalla vicenda dello “spread”) e da analisti e commentatori, ma in futuro sarà vista come una vera e propria “svolta” nella storia democratica del nostro Paese, in contemporanea con l’assunzione di una concezione di tipo “monarchico” del ruolo del Capo dello Stato.
Non sono in grado, ovviamente, di poter prevedere – sia pure in una qualche approssimazione – il consenso che questa “Democrazia di competenza” riuscirà a raccogliere nel Paese; così come non è possibile anticipare plausibilmente quale percentuale di voti otterrà l’altra faccia della medaglia (quella dell’insofferenza popolare) dell’antipolitica che si fa politica attraverso il Movimento 5 Stelle e che pone il tema dell’azzeramento dei corpi intermedi, ma non ha ancora dichiarato che uso farà del Parlamento (forse il passaggio più difficile per Grillo, data la scarsa conoscenza che lui stesso ha del personale politico che alla fine approderà alla Camera e al Senato).
La matrice dei due soggetti , “Democrazia di Competenza”, e “Antipolitica che si fa politica”, appare però avere molti punti in comune, il più importante dei quali appare essere quello dell’autoritarismo.
Mi era già capitato di scriverlo qualche tempo fa ma lo ripeto adesso, con maggior convinzione e cognizione di causa: il tragitto vero che sta per compiere la nostra democrazia repubblicana è quello verso una forma di “salazarismo”, una visione autoritaria del potere, governata dalle esigenze dei detentori dei grandi patrimoni finanziari, in una sorta di regime “ottundente” anche se non escludente le opposizioni, verso il quale è necessario riferirsi come a un “dominus”.
E gli altri, più o meno protagonisti della campagna elettorale? Navigano a vista, dentro le loro formule antiquate del personalismo e di una convulsa ricerca di alleanze poste sul piano della mera tattica elettorale, come se da quegli esiti potesse sortire davvero un’alternativa plausibile.
L’ipotesi più probabile, insomma, è che si stia per entrare in una nuova fase della “transizione italiana” nel corso della quale si completeranno, grazie agli “Ottimati” e al loro Capo, due elementi fondamentali: il primo quello del rapporto con l’Europa nel senso di una definizione ulteriore di un sistema “a diverse velocità” regolato dalla BCE e senza alcuna prospettiva di colmatura del “deficit democratico” anzi con la riaffermazione che quel “deficit” è davvero congegnale a tutti i livelli a nuove dimensioni di governo (il previsto successo della CDU-CSU in Germania porterà con sé, probabilmente, una soluzione di questo tipo); il secondo, sul piano interno, il completamento del processo di riduzione ne rapporto tra la politica e la società che, nel segno del taglio dell’ “eccesso di domanda” avanza ormai da molto tempo, ma che richiede – appunto – una sua definizione anche sul terreno dell’uso delle Istituzioni.
Una secca sconfitta elettorale della “Democrazia di Competenza” potrebbe arrestare questo progetto? Purtroppo non pare ci si voglia misurare con questo elemento ponendolo al centro della competizione. E’ più facile il bersaglio grosso del vecchio “populismo di destra” ben rappresentato dal consueto Cavaliere al quale si offrono ghiotte passerelle televisive.
Due osservazioni conclusive: è evidente come risulti del tutto assente, in questa campagna elettorale (comunque espressione delle dinamiche complessive del sistema e non frutto isolato di scelte compiute semplicisticamente in nome dell’ autonomia del politico”) una possibilità di rappresentanza effettiva di quella che rimane la “contraddizioni principale” del conflitto capitale/lavoro, che la crisi tende a incrementare costringendo interi settori sociali nella morsa di un’incertezza, un impoverimento complessivo, una crescita nelle condizioni di sfruttamento che non si voglio intendere quale base di un progetto politico in grado di recuperare e proporre in termini di “classe”.
La seconda osservazione riguarda l’ampiezza che raggiungerà l’espressione dell’astensionismo che, in questi giorni, si tende a occultare ( o a considerare in calo, soprattutto per esigenze sceniche di tipo televisivo al riguardo della presentazione dei tanti sondaggi). Un astensionismo che, a questo punto della campagna elettorale, pare rappresentare – come base di partenza – circa il 40% dell’elettorato.
Se in crescita o in calo lo diranno le urne: certo che, in queste condizioni, l’appello al “voto utile” che pare essere il cavallo di battaglia del PD appare quanto mai anacronistico rispetto alla necessità, che sarebbe stata improcrastinabile, di presentare un’analisi realistica del nostro sistema politico, elaborando un’alternativa.
Così non è stato e ne valuteremo i risultati.
sabato 19 gennaio 2013
venerdì 18 gennaio 2013
Socialist International : In support of peace and democracy in the Sahel region
In support of peace and democracy in the Sahel region16 January 2013
The Socialist International continues to be engaged in support of the efforts of its member parties in Mali, the ADEMA-PASJ of HE Dioncounda Traoré the interim President of Mali and the RPM led by Ibrahim Boubacar Keita, in defending the democratic institutions of the country, its territorial integrity and the security of its citizens.
At this difficult juncture for Mali, under threat from terrorist and rebel forces, the Socialist International has welcomed and fully supported the multilateral efforts to help the Malian government, including those of ECOWAS and the African Union, and Resolution 2085 adopted by the Security Council of the United Nations with regard to the establishment of an African-led international support mission in Mali (AFISMA). We recognise and commend the declared willingness and availability of countries from Africa to take the lead in response to the appeals to provide troops, as well as the swift assistance of the President of the Republic of France, HE François Hollande, and his government with the support of the members of the UN Security Council, in helping to secure the territory of Mali from occupation, disruption and violence.
Reports in relation to Mali from the United Nations High Commissioner for Refugees on the increasing numbers of displaced people, and from the international medical humanitarian organisation Doctors Without Borders in regard to the wounded are of grave concern to our organisation.
While extending solidarity with all the peoples of the Sahel region, our International continues to stand firmly in support of the efforts of HE President Mahamadou Issoufou and our member party the PNDS of the neighbouring Republic of Niger, to consolidate the democratic institutions and to raise its people out of poverty. We stand equally in support of the efforts of our member party in Mauritania, the RFD, led by Ahmed Ould Daddah, who is currently engaged in moving forward demands for free and fair elections, to begin a new era for democracy in that country.
The Socialist International has been in touch with its member parties from the Sahel region in recent days and has undertaken to schedule a full discussion on these issues at the forthcoming Council meeting to take place in Cascais, Portugal on 4-5 February, as an emergency item. Our discussions will include exchanges on how best to effectively contribute to these international efforts, in support of peace and democracy in Mali as well as to security in the entire region.
SOCIALIST INTERNATIONAL, MARITIME HOUSE, OLD TOWN, CLAPHAM, LONDON SW4 0JW, UNITED KINGDOM
T: (44 20) 7627 4449 | F: (44 20) 7720 4448 / 7498 1293 | E: secretariat@socialistinternational.org
giovedì 17 gennaio 2013
Paolo Bagnoli: Cominciare di nuovo
Anticipazione dell'articolo di apertura del direttore della rivista'La Rivoluzione Democratica"(n.3), Paolo Bagnoli."
COMINCIARE DI NUOVO
L’Italia in pulsione elettorale sta tirando fuori,a piene mani,tutta la sua vacuità. Mettersi a contare il tutto e il contrario di tutto che viene fuori sarebbe troppo lungo;la realtà è che alla crisi della democrazia,caratterizzata e allargata dall’esperimento Monti, nessuno sembra mettere attenzione in un gioco di furbizie e accuse reciproche che sono il termometro di un qualcosa di cui non solo non si respira nemmeno la percezione,ma su cui si scivola con irresponsabilità generalizzata nella visione visionaria o dell’interdizione di una forza o di uno schieramento rispetto a un altro oppure,ed è la cosa che pesa di più,della conquista del governo. La sensazione è più per il gusto dell’esercizio del potere che per la responsabilità del governare. Comunque vedremo. Naturalmente di cose da dire ce ne sono tante; ciò che a noi interessa è richiamare ancora una volta la necessità e l’urgenza della questione socialista in Italia; questione resa ancor più pressante dal momento che,come la Costa Concordia è affogata nelle onde del Giglio,il PSI lo è nei marosi del Partito Democratico. Intendiamoci, non è che se non lo avesse fatto la questione avrebbe cambiato qualità;fatto si è che la scelta di avere qualche scranno parlamentare non solo non ha niente a che vedere con il ritorno dei socialisti sulla scena politica,ma,soprattutto,è del tutto aliena dalla questione del socialismo che in Italia va rifondato,ricostruito e,forse,anche,reinventato. Il fatto poi che il PSI appartenga al PSE significa la sublimazione del nulla poiché il PSE è solo la sigla che giustifica un gruppo al Parlamento europeo;per il resto non è nemmeno una delusione,bensì solo una sigla che raccoglie forze che si definiscono tali;per il resto quale sia l’ideologia del PSE è,e rimane,un mistero. E certo che,messi da parte i revenants, se il PSE – ma bisognerebbe esistesse – desse una mano a ricostruire in’Italia una forza socialista avrebbe fatto il minimo che gli sarebbe dovuto. Così,se il PSI,formalmente rappresenta il soggetto socialista non è che nel cono d’ombra da esso emanato sia raccolto l’insieme della galassia socialista e non parliamo di quei già socialisti,come che hanno aderito al berlusconismo,ma dei tanti compagni che, o senza tessera oppure nel PD,in SEL o nel PSI si rendono conto dell’insufficienza genetica del quadro e vorrebbero muoversi per riagganciare la questione socialista alla storia italiana sia per riiniziare un processo di ricostruzione della sinistra, sia per dar vita a una presenza di garanzia e sviluppo democratico nel momento in cui,con la crisi del berlusconismo,l’anomalia del montismo e la perdita di senso della democrazia repubblicana, il Paese ha iniziato una decisa svolta a destra con conseguenze sociali devastanti.
In tale contesto, frastagliato e a geometria variabile, non tutto è stato fermo.L’esperienza di Volpedo e del Network socialista ha segnato momenti significativi sia per quanto concerne una testimonianza militante,anche diffusa, sia perché ha espresso punti di coagulo che hanno impedito una ulteriore dispersione tenendo aperta l’esigenza di un’azione la quale,peraltro,strategicamente,non è mai stata esplicitata in modo chiaro e univoco. Si è, infatti, andati dal cercare di influenzare verso il socialismo il PD,o almeno una parte di esso,al ritenere che SEL – ossia l’archeologia vivente del bertinottismo – potessero evolvere verso collocazioni socialiste oppure che,in vista delle prossime elezioni europee,attorno al PSI si condensasse,nel nome del PSE e magari sotto le sue insegne una raccolta di quanti più momenti socialisti possibile. Sia chiaro:tutte le idee hanno legittimità,ma la controreplica della realtà è stata più forte delle intenzioni per cui,nell’indeterminatezza di un’azione decisa che facesse capire di volere essere in qualche modo almeno un embrione di “soggetto”,non solo non vi è stata strategia,ma lo spesso tatticismo,dell’uno come dell’altro, è stato travolto fino a cancellarne,nei fatti,l’impostazione e l’intenzione orginaria. Nella fase nuova che si è aperta non sono riproponibili gli schemi originari né di Volpedo né del Network;e se questi due soggetti esprimevano,con forza, passione e impegno,un profilo di soggettività socialista ora,soprattutto dopochè l’annegamento del PSI nel PD ha anche formalmente allargato ulteriormente gli spazi,è il momento di sapere,senza ambiguità,né tatticismi,né attese di virtuosità esterne che possono venire dal PSE,se ci vogliamo porre con la serietà e responsabilità voluta mettere alla prova perché quel profilo di soggettività lo divenga di un soggetto.
Le obiezioni a tale osservazione già ce le sentiamo fischiare negli orecchi.Ma c’è bisogno,proprio bisogno,di un altro partitino a sinistra?che senso ha?o non c’è SEL,ove si può fare una battaglia – come,poi,nessuno lo sa – non c’è l’esperienza degli arancioni in cui pure qualificati compagni socialisti sono impegnati;non ci sono nel PD presenze di sinistra che fanno bene sperare? E allora,cosa potrebbe rappresentare,un nuovo luogo che si definisce socialista? Ora,fermo restando che il bello della democrazia e della libertà consiste nel fatto che ognuno è,appunto,libero di pensare e di agire come meglio crede,tutte queste ipotetiche,ma non tanto,osservazioni,non danno risposta al problema che rimane aperto poiché una presenza socialista che,riaggacciandosi alla storia del PSI nella storia d’Italia,rivendichi la legittimità della nozione sociale e culturale di sinistra e di quella che un tempo veniva definita “la cultura del movimento operaio”,ossia dei salariati,dei lavoratori contro i cui diritti il governo Monti si è addirittura scatenato con sussieguo sapienziale e talora toni sprezzanti sul concetto – ma che bella innovazione,riconosciamolo! – che destra e sinistra sono concetti superati e che è l’ora che tutti i riformismi convergano. Confessiamo che troviamo assai difficile commentare un così ampio cesto di scemenze!
Noi crediamo che i socialisti oggi abbiano l’occasione per mettersi alla prova,sempre che ne abbiano l’intenzione visto che il quadro generale è sgombro da ogni possibile equivoco:il PSI è nel ventre nel PD;SEL cammina serena e tranquilla sul tragitto bertinottiano; il PD,al di là delle voci di dentro,è tutto e il contrario di tutto;l’esperienza arancione non può essere rapportata a una qualsiasi forma partito poiché ha una valenza di chiara cifra localistica;Grillo,Ingroia e Di Pietro non sono cose nostre. Bisogna accertare se c’è l’intenzione ripartendo,in primo luogo,da quanto è rimasto di Volpedo e del Network e stlare un manifesto di raccolta e di rifondazione del socialismo italiano. Questa è la prova.Insomma, cominciare di nuovo.
PAOLO BAGNOLI
Franco D'Alfonso: elezioni regionali in Lombardia e apparentamento coi radicali
DICHIARAZIONE FRANCO D’ALFONSO, PRESIDENTE FEDERAZIONE REGIONALE LISTE CIVICHE LOMBARDE, ASSESSORE AL COMMERCIO DEL COMUNE DI MILANO
ELEZIONI REGIONALI IN LOMBARDIA: CONCEDERE SENZA INDUGIO L’APPARENTAMENTO ALLE LISTE RADICALI NELLA COALIZIONE A SOSTEGNO DEL CANDIDATO AMBROSOLI
Considero del tutto privo di senso politico l’eventuale non inclusione delle Liste Radicali per la Regione Lombardia nella coalizione che sostiene Umberto Ambrosoli . I Radicali sono organicamente parte della maggioranza che governa Milano, che resta l’esempio migliore di governo del centro sinistra in Lombardia e un riferimento fondamentale per l’intero Paese. I Radicali sono stati i protagonisti più esposti nella battaglia per la legalità nella Regione Lombardia di Formigoni che, non dimentichiamolo, è caduta sotto il peso di irregolarità , malaffare e infiltrazione della n’drangheta senza precedenti in una zona del Nord.
Ritengo che la questione della denominazione della Lista , a questo punto del cammino , sia meramente semantica, essendo del tutto evidente che il richiamo alla campagna nazionale dei Radicali è inevitabile ma del tutto privo di influenza sul piano regionale, dove come è noto non vi è alcuna competenza nelle materie richiamate nel simbolo .
La rigenerazione della Regione Lombardia, che resta l’obiettivo della coalizione e di tanti, tantissimi cittadini lombardi, passa attraverso una campagna elettorale e politica che richiede grande attenzione e nessuna sottovalutazione, come invece mi pare ci sia stato in questo caso.
Condivido le indicazioni date da molti altri esponenti della coalizione - ultima in ordine di tempo Chiara Cremonesi di SeL - per invitare Umberto Ambrosoli a ricordarsi che la forma è sostanza in materia di giustizia, ma in politica è la sostanza che deve trovare la forma di espressione.
E l’unica forma di conferma di una consonanza politica che c’è tra gli elettori è concedere senza indugio ulteriore l’apparentamento alla Lista Radicale, indispensabile componente numerica e politica nella coalizione che presentiamo agli elettori lombardi che si recheranno alle urne tra meno di 40 giorni.
PD-PSI: patto di consultazione
Psi news 16 gennaio 2012
PD-PSI: ACCORDO BERSANI-NENCINI PER PATTO DI CONSULTAZIONE
Oggi a Roma i due segretari hanno firmato un "gentlemen's agreement"
Pier Luigi Bersani e Riccardo Nencini hanno firmato questa mattina un accordo che prevede un 'patto di consultazione' fra Pd e Psi sulle questioni di maggiore rilevanza politica, in vista delle prossime elezioni politiche 2013. Una "gentlemen's agreement", lo ha definito il segretario socialista, Riccardo Nencini subito dopo la firma dell'accordo con il segretario del Pd, Bersani, siglato dai due leader a Roma, presso la sede dei democratici al Nazareno. L'accordo prevede anche la presentazione di una unica lista alle prossime elezioni e la partecipazione della delegazione socialista 'nella sua autonomia' alle riunioni congiunte nella prossima legislatura dei gruppi parlamentari che hanno sottoscritto la 'Carta di intenti' lo scorso ottobre.
La presentazione di un'unica lista Pd-Psi si inserisce - si legge nell'accordo - nel percorso avviatosi con il congresso del PSE tenuto a Bruxelles nel settembre scorso, quando venne condivisa la candidatura a premier di Pier Luigi Bersani con altri leader del socialismo europeo. I due partiti si impegnano a coordinare la campagna elettorale prevedendo iniziative comuni. Ecco alcuni punti dell'intesa: 1) la delegazione socialista in Parlamento partecipera', nella sua autonomia, alle riunioni congiunte dei gruppi che hanno sottoscritto la 'carta di intenti'; 2) la delegazione socialista godra' di autonomia finanziaria e organizzativa; 3) i segretari del Pd e del Psi sottoscrivono un 'patto di consultazione' attraverso il quale valuteranno congiuntamente le questioni di maggiore rilevanza politica: 4) i segretari del Pd e del Psi si impegnano a lavorare nella casa del socialismo europeo ed a confrontarsi con i leader democratici. Sull'intesa Nencini afferma:
"La lista Pd-Psi rappresenta la sinistra riformista italiana che lavora nella casa del socialismo europeo e si propone di governare l'Italia".
LE INTERVISTE DI UGO INTINI E CLAUDIO MARTELLI ALL'AVANTIONLINE
mercoledì 16 gennaio 2013
Renzo Penna: L'incubo del debito pubblico
di Renzo Penna
C’è un tema che, nell’attuale fase di crisi economica e sociale, viene - con un consenso che non trova obiezioni - posto al di sopra di tutti gli altri, condiziona ed inibisce le iniziative dei governi e rende afone le proposte dei partiti e della politica. Si tratta, naturalmente, del “debito pubblico”, una sorta di mantra che viene fatto vivere come una colpa collettiva da espiare, un incubo nel quale viviamo tutti immersi e dal quale dobbiamo uscire anche a costo di gravi “sacrifici”. Anche se l’esempio della Grecia non fa presagire nulla di positivo e non pare essere stato neppure risolutivo.
Un obbligo, quello di ridurre il debito e “tagliare” le spese, che - ci viene detto - è imposto dall’Europa attraverso il Consiglio, la Commissione e la Bce, e che il nostro Parlamento - su proposta del governo Monti - ha ratificato mesi fa. In particolare l’articolo 4 del “Trattato sulla stabilità” prevede che: “Quando il rapporto tra il debito pubblico e il prodotto interno lordo di una parte contraente supera il valore del 60% ... tale parte opera una riduzione a un ritmo medio di un ventesimo all’anno”. Siccome il nostro Pil supera i 1650 miliardi e il 60 per cento ne vale circa 1000, se ne deduce che, avendo il nostro debito superato i 2000 miliardi, per farlo scendere si dovrebbe ridurre il medesimo di 50 miliardi l’anno per circa venti anni. Con risorse che, naturalmente, devono essere trovate in aggiunta a quelle necessarie per le normale attività del Paese, le quali dovrebbero essere almeno pari alla rata del debito.
Si tratta, con tutta evidenza, dell’argomento più importante nella campagna elettorale che si è aperta e che inevitabilmente condizionerà il futuro governo. Ma che non sembra, al momento, essere vissuto come tale dalle diverse coalizioni che si contendono il primato. Mentre sarebbe utile conoscere, ad esempio, come le forze politiche e i candidati valutano in proposito l’opinione di Luciano Gallino che considera improponibile l’operazione - a meno di ritenere possibile “immiserire tre quarti della popolazione” e decretare la definitiva “discesa della nostra economia in serie D” - per la ragione che il debito deriva sin dagli anni ’60: “non da un eccesso di spesa, bensì dall’accumulazione di interessi troppo alti”. Per effetto del tasso medio del 4 per cento, l’interesse sul debito comporta, infatti, una spesa di 80 miliardi l’anno, la quale si somma al debito pregresso che non smette di crescere. E la riduzione del debito di 50 miliardi - una cifra comunque paurosa e impossibile da reperire - di miliardi ne fa risparmiare solo un paio.
Se, come a me pare, le considerazioni del professore di Torino sono tutt’altro che banali, bisognerebbe che almeno le forze progressiste e, in particolare, la coalizione guidata dal Segretario del Pd - oggi il candidato più accreditato nei sondaggi - prendessero finalmente atto che le ricette sin qui prospettate dalle teorie neoliberiste, non solo non sono risolutive della crisi, ma peggiorano le condizioni dell’economia e aggravano quelle di gran parte della popolazione.
L’idea che i mercati siano sempre virtuosi e capaci di “autoregolarsi”, mentre lo Stato ha il “vizio” del debito e, come conseguenza, occorra “affamare la bestia” (cioè lo Stato e quasi tutti noi), tagliando le spese per sanità, scuola, cultura, servizi sociali, previdenza e pensioni, è profondamente sbagliata. In una fase di generale recessione, l’inasprimento fiscale su lavoratori e imprese, le politiche di austerity e i tagli operati sulle risorse pubbliche - portate avanti dal governo Monti, in questo in continuità con quello di Berlusconi - hanno ulteriormente aggravato la condizione dell’economia reale, pesantemente accresciuto la disoccupazione e stanno riducendo il potere d’acquisto e le condizioni reddituali della maggioranza dei cittadini. Accentuando le distanze tra il 10% degli italiani che possiede la metà della ricchezza nazionale, mentre il restante 90% si divide quel che resta.
Al contrario negli Stati Uniti Barack Obama - nei termini di una crescita del Pil di quasi il 3% e di una disoccupazione calata al 7,8% - raccoglie all’inizio del 2013 i primi frutti delle misure anticicliche e anti recessive varate nel gennaio del 2009, attraverso un poderoso piano di investimenti pubblici di poco inferiore agli 800 miliardi di dollari.
Nello stesso periodo i buchi di bilancio di banche, istituti di credito e finanziarie, causati da investimenti speculativi e gravi errori che il mercato non ha saputo auto-correggere, vengono ripianati dallo Stato, cioè da tutti noi, o almeno da quelli che pagano regolarmente e correttamente le tasse. Come ha recentemente rivelato il governatore della Banca d’Italia: “tra il 2008 e il 2010 sono stati erogati aiuti di Stato alle banche europee sotto forma di ricapitalizzazione e copertura di perdite per 409 miliardi di euro.” Mentre secondo la Banca d’Inghilterra: “non meno di 14000 mila miliardi di dollari di fondi pubblici hanno preso la strada di banche e imprese finanziarie in Europa e Usa tra il 2008 e i primi mesi del 2009.”
Insomma l’economia neoliberista, così attenta ad accumulare ogni centesimo di profitto quando le cose vanno bene, diventa rapidamente neo-keynesiana e invoca l’intervento dello Stato quando deve ripianare le perdite e lo fa alle spese del benessere dei cittadini.
Ma, tornando al debito pubblico, a rendere più difficile il superamento e la fuoriuscita dalla crisi in Europa - almeno rispetto agli USA e al Giappone - sono, insieme ad un cambio troppo forte dell’Euro e alla conferma dell’impegno della Germania per il pareggio strutturale del bilancio pubblico nel 2014 che rischia di limitarne le possibilità di sviluppo, un ruolo della Banca centrale europea sempre più difficile da accettare, in particolare, dalle attività economiche e dalle industrie del continente. Una Bce che, come è successo nel 2012, presta migliaia di miliardi alle banche all’1 per cento, ma non può fare altrettanto con gli stati che sono costretti a pagare interessi tripli o quadrupli alle medesime, rappresenta una evidente contraddizione che non può che essere affrontata dai governi a livello di Unione Europea.
Anche per questo è fondamentale che la coalizione guidata da Bersani e sostenuta da Vendola sia messa dagli elettori nelle condizioni di vincere le elezioni con una maggioranza chiara e autosufficiente, tale da non essere costretta ai condizionamenti del cosiddetto “centro montiano” la cui “agenda” è del tutto coerente con le teorie economiche liberiste della destra europea. Le stesse che sono all’origine della crisi. E ponendo il nuovo governo italiano nelle condizioni politiche di rafforzare in Europa le ragioni dei governi progressisti con l’obiettivo di cambiare, ad esempio, quella parte del Trattato Ue che vieta alla Bce di prestare denaro direttamente agli stati, superando le resistenze della Bundesbank e la sua ossessione anti inflazionista.
Una misura che potrebbe aiutare il nostro e gli altri governi anche nella graduale riduzione del debito pubblico, senza dover ricorrere a misure, inutilmente dolorose e per giunta inefficaci, di tagli allo stato sociale.
Alessandria 16 gennaio 2013
martedì 15 gennaio 2013
lunedì 14 gennaio 2013
Lanfranco Turci: Crisi, il centrosinistra sia più combattivo
Crisi, il centrosinistra sia più combattivo
Lanfranco Turci
Network per il socialismo europeo
L’Unità 14 gennaio 2013
Drole de guerre era il modo in cui i francesi definivano la fase quasi sospesa della seconda guerra mondiale dopo l’invasione tedesca della Polonia e prima dell’apertura del fronte francese. Non è in qualche modo drole anche questa campagna elettorale? E resterà così fino alla fine o ci sarà uno sviluppo più incisivo e più ravvicinato ai processi sociali reali? Mi riferisco ovviamente alla campagna elettorale del PD. Questo partito, forte del porcellum che gli assicura alla Camera una maggioranza schiacciante, anche con risultati elettorali non strabilianti, tonificato per di più dalle doppie primarie volute da Bersani che, per quanto espressione di un partito ancora incerto sulla propria identità e sul proprio modo di essere, si sono dimostrate una scelta intelligente e pagante, sembra voler gestire tutta la propria campagna elettorale in souplesse. Non c’è un affondo su Monti e si insiste principalmente sull’esigenza di sconfiggere la minaccia demagogica e populista del berlusconismo di ritorno. Ma può bastare a contenere l’effetto Monti l’accusa mossagli di comportamento sleale per non essere rimasto in panchina come riserva della repubblica ed essersi buttato nella mischia? Così minacciando di drenare una parte di voti moderati che, in mancanza di una alternativa adeguata, sarebbero rimasti nell’orbita del centro sinistra come reazione all’indecente ripresentazione di Berlusconi? E questa critica non corre inoltre il rischio di essere vanificata dalla contemporanea offerta di collaborazione allo schieramento centrista per il dopo elezioni? Temo che alla base di questa strana contesa con Monti ci sia la ritrosia a misurarsi con il significato effettivo della sfida che egli ha lanciato al centro sinistra, di cui è emblematica la ingiunzione di tacitare Fassina, Vendola e la Cgil. Non possiamo nasconderci che Monti è in campo con la bandiera dell’austerity europea, delle politiche di deflazione interna e dei compiti da fare a casa dettati dalla Merkel e dalla Bce. Anche ai fini di mettere picchetti ben chiari alla necessità di cercare future collaborazioni, più o meno imposte dagli eventuali numeri del Senato, bisogna portare il confronto sul terreno che Monti propone. E su questo terreno cercare le alleanze europee dei partiti socialisti più sensibili e dei paesi più esposti ai costi di queste politiche. Tanto più dopo che voci fino a ieri impensabili come l’FMI o il presidente dell’eurogruppo Junker hanno cominciato a mettere in discussione la ortodossia del Fiscal Compact e delle politiche connesse. Ci si deve augurare che la campagna elettorale esca presto dal limbo in cui si fatica a cogliere l’oggetto vero del contendere. La crisi, la recessione,il lavoro e lo stato sociale: su questo si devono chiamare alla scelta gli elettori, senza farsi intrappolare univocamente sul terreno sdrucciolevole del fisco e dei fuochi di artificio cui esso si presta. La crisi , le politiche europee da rimettere in discussione e un disegno nuovo e coraggioso di sviluppo del paese sono i temi su cui si può costruire il profilo autonomo e vincente del discorso del centro sinistra e smontare anche la costruzione, da non sottovalutare, del discorso berlusconiano. Sarebbe un errore drammatico pensare di evitare una rimonta della destra facendo perno unicamente sui tratti scomposti del suo ritorno, o sulla impresentabilità di Berlusconi come uomo di governo e leader internazionale. La stessa accusa di contiguità con altri movimenti populisti, che in Italia e in altri paesi europei hanno fatto dell’Euro, della Bce e della Germania i loro obiettivi polemici, non può essere mossa in nome di un europeismo puramente retorico e volontaristico, senza la necessaria ridefinizione da parte nostra di un’altra idea di Europa, alternativa a quella costruita dalle politiche liberiste e classiste delle destre europee, cui il passato governo Berlusconi ha direttamente contribuito. Il centro sinistra deve sviluppare un discorso a tutto campo capace di rispondere distintamente e coerentemente sia a Monti che a Berlusconi, non certo per fare di tutte le erbe un fascio, ma per marcare il carattere specifico della sua lettura della crisi e delle risposte necessarie sul piano interno e su quello internazionale, Più che una lepre che costringe gli altri all’inseguimento penso che dovremmo immaginarci come una luce laser capace di leggere e di far leggere le contraddizioni altrui, puntando così a scomporre e riorganizzare consensi elettorali che non possono essere pensati come già cristallizzati a questo punto della campagna elettorale. Soprattutto da parte di chi ritiene di avere una proposta che partendo dalle aree sociali di maggiore sofferenza aspira comunque a parlare in nome dell’interesse generale del paese e dell’Europa.
Franco Astengo: La rimonta possibile
LA RIMONTA POSSIBILE? TRA ASTENSIONISMO E VENTRE MOLLE COME SI POTRANNO VINCERE LE PROSSIME ELEZIONI
Dopo qualche settimana di attenzione esclusivamente rivolta, da parte degli analisti, al prossimo esito delle elezioni senatoriali in Lombardia e in Sicilia, regioni considerate (giustamente) decisive per la possibile composizione della futura maggioranza di governo, i riflettori dei “media” si sono spostati nuovamente verso il futuro possibile esito complessivo della competizione elettorale prevista per il prossimo 24 Febbraio.
Uno spostamento nell’interesse che si è verificato in coincidenza con la recente trasmissione TV che ha visto Berlusconi protagonista in “partibus infidelium”: uno spostamento d’interesse che ha dimostrato, ancora una volta, il peso preponderante del mezzo televisivo nella formazione dell’opinione pubblica e dei processi politici (il web, che nelle vicende politiche sta sicuramente rappresentando un mezzo molto utilizzato, pare, infatti, destinato a giocare un ruolo nella costruzione di “community” dialoganti, quasi come sede di sezioni di partito virtuali).
E’ il caso allora di analizzare le prospettive generali dello scontro in atto, muovendoci sul terreno della comparazione con l’esito delle elezioni 2008, le uniche con le quali possa essere svolto un paragone sul piano dell’omogeneità sia rispetto alla base elettorale, sia rispetto alla dimensione territoriale.
Prima di tutto, fermo restando in vigore quest’orrido sistema elettorale, le elezioni 2013 segneranno rispetto a quelle 2008 un sicuro elemento di novità.
Cinque anni fa si delineò, infatti, una netta prevalenza dello schema bipolare (che si tentò addirittura di ridurre a bipartitico) con la sola variante rappresentata dall’UDC (in una dimensione numerica molto ridotta).
Adesso si può facilmente prevedere il ritorno a uno schema di tipo multipartitico (sorge a questo punto il tema relativo all’eccesso di dimensione del premio di maggioranza alla Camera, ma si tratta di un aspetto da affrontare in una sede diversa da questa) con almeno 5 soggetti in lizza per ottenere seggi: il centro-destra basato sulla consueta alleanza PDL-Lega (più aggregati minori, in ispecie al Sud), il centro raccolto attorno a Monti ma che alla Camera presenterà tre liste, il movimento 5 Stelle, il centro-sinistra imperniato sull’alleanza PD-Sel (più altri soggetti minori) e la variopinta alleanza tra giustizialisti e soggetti residuali della ex-Sinistra Arcobaleno stretti attorno alla figura dell’ex-magistrato Ingroia.
Il vero protagonista dell’esito elettorale dovrebbe, però, essere rappresentato dalla crescita dell’astensionismo.
In tutte le rilevazioni di sondaggi svoltesi nel corso degli ultimi mesi la somma di indecisi e potenziali astenuti si è sempre più avvicinata alla quota del 40%, record assoluto nella storia elettorale della Repubblica.
Molti pensano che alla fine il richiamo della campagna elettorale riporterà molti all’ovile della espressione di un voto, purtuttavia è il caso di ricordare che, nel corso delle tornate amministrative svoltesi nel corso di questi anni, l’astensione effettiva è risultata superiore a quella prevista dai sondaggi: in Sicilia i voti validi sono scesi al di sotto del 50%, il Sindaco di Genova, alla fine, è stato eletto con il 22% dei voti rispetto al totale degli aventi diritto.
Nel 2008 parteciparono al voto l’80,5% delle cittadine e dei cittadini iscritti nelle liste, per un totale di 36.452.286 voti validi (al netto quindi di schede bianche e nulle, per le quali non si prevede un particolare incremento).
Un’astensione attorno o appena al di sotto del 40% ridurrebbe, quindi, la quota di voti attorno ai 30.000.000 (al netto sempre di schede bianche e nulle, da considerarsi come non valide).
Rispetto al 2008 verrebbero così a mancare all’appello circa 7.000.000 di voti, facendo toccare la somma di astensione, schede bianche e nulle il tetto, all’incirca al numero di 20.000.000 di elettrici ed elettori che potrebbe compiere questo tipo di scelta.
Verifichiamo, allora, dove, stando alla media della rilevazione effettuata per i diversi sondaggi e al trend palesatosi nel corso delle tornate amministrative, si sono presumibilmente collocati questi voti che potremmo definire “in aspettativa”.
La somma PDL-Lega Nord è valutata, in questo momento, attorno al 22% che corrisponderebbe, in cifra assoluta, a circa 6.600.000 suffragi. Ne mancano all’appello, su questo versante, circa 10.000.000.
Il “Centro” è valutato sul 15%, quindi un totale di 4.500.000 voti, oltre 2 milioni in più rispetto a quelli ottenuti dall’UDC nel 2008.
Il centro-sinistra (PD e SeL) è quotato attorno al 35%, si tratterebbe quindi di 10.500.000 voti, con un calo di 3.000.000 di voti rispetto a quelli ottenuti dall’alleanza PD-IdV, cinque anni fa (un caso, questo, se si verificasse davvero il successo del centro-sinistra di classica “vittoria in discesa”).
E’ possibile valutare la quota percentuale effettiva del Movimento 5 Stelle attorno al 10%, corrispondente a 3.000.000 di voti non comparabili con alcun schieramento presente nelle passate elezioni.
La lista Ingroia per ottenere il quorum dovrebbe, quindi, raccogliere 1.200.000 voti, circa 100.000 in più di quelli ottenuti dalla Lista Arcobaleno (che si posizionò al 3,1%, però su 37 milioni di voti validi circa).
Debbono essere considerate, ancora, le possibilità di raccolta di voti da parte di formazioni minori che non paiono allo stato attuale essere in grado di ottenere seggi, salvo alleanze con i poli più forti (potrebbe essere il caso della Destra con il PDL): da tener conto che, nel 2008, 23 formazioni di vario peso e schieramento ottennero complessivamente circa 2.800.000 (il 5,5%) voti del tutto inutili dal punto di vista dell’utilizzo in chiave parlamentare, il cui spazio adesso dovrebbe essere ridotto a circa 2.000.000 di voti.
In pratica, secondo lo schema fin qui seguito, resterebbero da recuperare, dagli indecisi e dagli astenuti dichiarati e compresi i voti potenziali delle liste minori a circa 9.000.000 di suffragi. Ritengo, infatti, che la quota delle liste minori sia comunque in palio dato il mutarsi dello scenario nel corso dei 5 anni, in quella parte del sistema politico.
Di questi 9.000.000 di voti è prevedibile, appunto, che una parte rilevante rimanga comunque nell’alveo del non voto, del quale tutti gli analisti concordano nel dare per certa la crescita rispetto ai 13.000.000 di elettrici ed elettori che l’hanno considerata nel 2008 la loro scelta politica.
Valutata, ancora, la scarsità numerica nei passaggi da un fronte all’altro anche nel tempo del bipolarismo (soltanto 300.000 – 400.000 elettrici ed elettorali, di volta, in volta, sono stati in grado di compiere scelte di vero e proprio mutamento di campo, il resto della volatilità è sempre rimasto interno allo schieramento di precedente appartenenza), il confronto vero sotto questo aspetto si giocherà tra PDL e Lega e il centro di Monti, avendo probabilmente PD-Sel fatto già il pieno, in entrata e in uscita.
Per PDL-Lega l’obiettivo dovrebbe essere quello di recuperare almeno 5.000.000 di voti, riducendo alla metà il potenziale della crescita delle astensioni e riportando così il totale dei voti validi al di sopra della soglia minima del 60%.
5.000.000 di voti da strappare a quel “ventre molle” che vive la politica soprattutto come spettacolo televisivo e che il progressivo inasprirsi della crisi economica (si tratta in prevalenza di casalinghe e pensionati) ha fatto slittare nell’astensionismo (c’è poi una quota di indignados per via degli scandali offerti dal ceto politico, ma in questo caso, mi permetto di vedere il recupero molto più difficile).
All’interno di questo possibile movimento di voti ci stanno anche, ovviamente, anche gli esiti lombardi e siciliani, ma per adesso cerchiamo di seguire con il massimo dell’attenzione lo spostamento generale nei flussi di voto.
In conclusione : per il PD, dopo aver attivamente contribuito a mantenere la legge elettorale vigente, in questo momento conviene che il tasso di disaffezione dal voto rimanga molto alto, almeno per ottenere alla Camera quella “vittoria in discesa” cui ho già fatto cenno (torno a far rimarcare del resto come le “primarie” siano servite a costruire una semplice rete di attivisti.) L’esaltata partecipazione, è bene ricordarlo, ha toccato, nella sua punta massima, tra primo turno, ballottaggio, “parlamentarie” circa il 6% dell’intero corpo elettorale.
domenica 13 gennaio 2013
sabato 12 gennaio 2013
Antonio Caputo: Ricorso elettorale
Ricorso elettorale per l'inammissibilita della lista denominata "Amnistia Giustizia e Liberta'"
Nella qualita' di Presidente del Movimento d'Azione Giustizia e Liberta' e di Coordinatore della Federazione italiana dei Circoli di Giustizia e Liberta', si contesta ed impugna ad ogni effetto di legge l'ammissibilita' della lista denominata "Amnistia Giustizia e Liberta'", presentata a codesto Ministero in vista delle elezioni politiche del 24-25 febbraio 2013.
Quanto sopra a norma di legge che fa divieto di abusi e confusione con denominazioni e simboli, anche storicamente precostituiti.
Nel caso di specie la denominazione "Giustizia e Liberta'", utilizzata per fini diversi e distorcenti dai presentatori della lista la cui ammissibilita' si contesta, e l'uso legittimo in sede politica della stessa, appartengono indiscutibilmente al Movimento d'Azione Giustizia e Liberta', anche in forza dello Statuto e atto costitutivo di cui all'atto pubblico Notaio Mario Mazzola di Torino, Corso San Martino 3, del 7 maggio 2002.
Come recita lo Statuto, il Movimento d'Azione Giustizia e Liberta' e' "un'associazione politica e culturale che si ispira agli insegnamenti di Piero Gobetti e Carlo Rosselli e alla tradizione politica del Movimento Giustizia e Liberta' fondato nel 1929 e del Partito d'Azione".
"L'Associazione, denominata Movimento d'Azione Giustizia e Liberta' ha un simbolo che "e' rappresentato da un cerchio contenente al suo interno il disegno della penisola italiana e la spada fiammeggiante rivolta verso l'alto e reca impressa, lungo il perimetro del cerchio la scritta movimento d'Azione Giustizia e Liberta'" (cfr.atto pubblico).
Si rappresenta inoltre che fa parte della federazione dei Circoli di Giustizia e Liberta' in Italia lo storico Circolo di Giustizia e Liberta', come tale denominato e noto anche internazionalmente di Roma, Via Andrea Doria 79, di cui e' Presidente l'ing.Guido Albertelli, fondato nel 1947 da Ferruccio Parri, primo Presidente del Consiglio dell'Italia liberata.
Al fine di meglio specificare i termini dell'abuso che si chiede di impedire, si allega alla presente che ha valore di ricorso formale in opposizione, la lettera indirizzata all'On.Marco Pannella l'8 gennaio 2013, ancor prima della presentazione incauta della lista, rimasta senza riscontro alcuno, che esplica e dettaglia ulteriormente le motivazioni di questa opposizione, non gia' intesa a ostacolare minimamente l'esercizio di diritti politici, ma ad impedire l'inaccettabile uso strumentale della denominazione Giustizia e Liberta', che se inserita, anche come acronimo, nel nome di una lista di ben diversa ispirazione e natura, comunque di una lista asseritamente e dichiaratamente "politica", ha inevitabili effetti distorcenti e anche diseducativi, in contrasto con i principi di legalita', trasparenza che governano e devono governare la competizione elettorale, luogo di libere scelte incondizionate da confusione e abusi capaci di alterarne il libero svolgimento e l'altrettanto libera espressione del voto..
Sono in gioco valori e principi difesi dalla carta costituzionale ed e' in gioco l'onore e il nome di gloriosa Associazione che legittimamente ha il nome di Giustizia e Liberta'.
E la tutela del nome e' protetta dall'ordinamento anche ad ogni altro effetto, per cui ci si riserva ogni conseguenziale diritto e azione a carico di chi spetta, anche per danni.
Certo che il ricorso, ictu oculi fondato anche sulla base del notorio, giacce' GL , Giiustizia e Liberta' e' un "marchio" storico, verra' prontamente accolto,
si chiede
che venga esclusa dalla competizione la lista "Amnistia Giustizia e Liberta'", in ogni caso inibendosi e dichiarando illecito e abusivo l'uso in tale lista politica e con contenuto politico dei termini" Giustizia e Liberta'".
In attesa di ricevere comunicazioni, si resta a disposizione.
Avv.Antonio Caputo, Presidente e legale rappresentante del Movimento d'Azione Giustizia e Liberta', Coordinatore della Federazione nazionale dei circoli di Giustizia e Liberta'.
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