Da ultimo ci ammoniscono che occorre “saper distinguere” (l’Unità domenica 7 dicembre 2008). Per “saper distinguere” però, non basta volerlo, anche se volerlo ne è senz’altro il prerequisito primo e irrinunciabile; per “saper distinguere” bisogna essere, mettersi, non essere impediti a mettersi, nelle condizioni di poterlo fare. Bisogna disporre di uno sguardo limpido, di una mente aperta, e poi …… “sperare” appunto di non essere deviati, velati, disinformati, confusi, da una azione possente e devastante come quella che il potere dominante orchestra nell’ambito dell’informazione, e che sistematicamente in Italia è diretta a danno della reale possibilità per i cittadini, appunto di “saper distinguere”. Ed è allora senza pudore (al di là di ogni buona fede da salvare), chiedere a noi cittadini di “saper distinguere”, dopo che ciascuno di noi è messo con le spalle al muro da una disinformazione sistematica, capace di disorientare chiunque anche quando si trovasse in un grande prato verde, e mentre è sempre più evidente che i cittadini italiani da decenni, sono invece impantanati in una soffocante e putrescente e intricata marcita, fatta di informazioni e speculari controinformazioni ammansite financo nell’ambito dello stesso periodare, senza che spesso nemmeno una virgola separi, nella stessa proposizione, il tutto e il contrario di tutto. Questa questione enorme, questa “questione fattuale”, questa “questione immorale”, è sistematicamente ignorata, e al suo estremo manifestarsi si stagliano colpevoli riveriti come fossero innocenti e innocenti trattati come colpevoli, e senza nemmeno che un fiato sia speso a ricordare che i primi continuano a procurar danni a tutti, intanto che i secondi, oltre che patire oltraggio sulla loro pelle, sono pure usati da paravento per gridare all’innocente quando non c’è, e consentire così al colpevole di continuare appunto indisturbato il suo cammino. Lo chiamano, con un estremo insulto alla ragione, “garantismo”. E oggi si arriva anche a parlare di “bande togate” in guerra fra loro. Quindici anni fa Bettino Craxi aveva parlato in Parlamento a più riprese di “mano invisibile” all’opera; Fabrizio Cicchitto sulla rivista Pagina nell’estate del 1981 aveva giustificato la sua adesione alla P2 con l’essersi a sua volta «sentito “oggetto” delle attenzioni di qualcosa di “invisibile”»; Enrico Berlinguer la “questione morale” l’aveva, ben più autorevolmente dall’alto della sua statura appunto morale, denunciata prima ancora, anche prima dell’intervista ad Eugenio Scalfari del luglio ’81, e poi: poi è successo che nulla sia cambiato in meglio. Non è bastato il terremoto di Tangentopoli segnalato dal sismografo “Mani-pulite”, e nemmeno il barbaro assassinio di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, e nemmeno la scomparsa (immortalata da una impertinente fotografia) della “agenda rossa” di quest’ultimo, e meno che mai (nonostante la fortuna editoriale) la comparsa del libro denuncia “Gomorra”, di Roberto Saviano, che dice chiaramente come non sia più semplicemente la “mafia”, a corrodere sin dalle sue viscere il nostro paese, ma sia una “criminalità organizzata” sempre più diversificata e infiltrata in ogni anfratto della nostra società. Oggi infatti nonostante tutto questo, e molto, molto altro ancora, capita di leggere che un articolo su la Repubblica che si conclude ricordando che il Presidente del Consiglio On. Berlusconi Cav. Silvio «è imputato “prescritto”, amnistiato, in salvo per leggi ad personam» e che è «lo stesso uomo che definisce un mafioso acclarato “un eroe”», capita di leggere dicevo, che tale articolo sia intestato da un titolo senza pudore, “un primo passo, ma non basta”, riferito alla rimozione dal loro incarico di due giudici. Da decenni in Italia è “notte e tutte le vacche appaiano nere”, leggere la mattina del 7 dicembre 2008 che non si vuole che accada, e leggerlo per la firma di un giornalista prestigioso come Giuseppe D’Avanzo, non fa che acuire lo sconcerto, e in me rafforza una convinzione: non so come non so quando, ma solo i cittadini di questo paese, prendendone nelle loro mani le sorti, potranno cavarlo dal buco nero nel quale sta precipitando da decenni. Tutta la sua classe dirigente, civile, politica, militare e religiosa, compresa la sua parte migliore, che sicuramente da qualche parte c’è, ha ampiamente dimostrato di non avere il coraggio manco di provarci.
Vittorio Melandri
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